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Voci cattoliche al servizio della ... Parola

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    rosa22253
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    00 12/10/2007 09:32
    Da Tu solo hai parole ... di Alessandro Pronzato
    dal Giornale del Popolo del 12.10.

    L’equivoco di certe formazioni credo consista proprio nel
    confondere preparazione con abbigliamento o indottrinamento,
    educazione con addestramento. Preparazione significa
    togliere ciò che impedisce di ricevere.
    L’indottrinamento tradisce la preoccupazione ossessiva di
    dare, rivestire, abbellire, coprire, riempire, accumulare, ingozzare,
    plasmare secondo uno stampo garantito. Si forniscono
    definizioni, cultura, ideologie, schemi, automatismi,
    comportamenti, perfino linguaggio, senza accorgersi
    che quegli abiti, invece di rendere sensibili, vulnerabili,
    indifesi di fronte al Vangelo, possono diventare armatura
    impenetrabile. Su quella superficie impiastricciata e ovattata
    e gonfia, la parola rude del Cristo non provoca il più
    piccola vibrazione, il più impercettibile sussulto. Quella parola
    è già stata registrata, controllata, congelata, cristallizzata
    prima ancora che risuoni.
    Qualche volta si è preteso addirittura che i popoli dell’Africa
    o dell’Oriente andassero incontro al Signore indossando
    la cultura occidentale, gli parlassero col nostro linguaggio,
    lo festeggiassero con le nostre liturgie, sostituissero
    le loro danze e i loro canti con gesti inamidati e funerei,
    con inni zeppi di melensaggini pie.
    [Modificato da rosa22253 12/10/2007 09:33]
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    BENEDETTO COLUI CHE VIENE NEL NOME DEL SIGNORE!

    "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa"

    Mt 16,18





    La strada è lunga, ma non esiste che un mezzo per sapere dove può condurre, proseguire il cammino.
    (don Tonino Bello)


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    rosa22253
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    00 15/10/2007 12:15
    Re:
    Da Tu solo hai parole ... di Alessandro Pronzato
    dal Giornale del Popolo del 15.10.

    Spesso, nell’opera di educazione, si è sostituita
    la spontaneità col manichino dell’uniformità.
    Si è rischiato di pulire tutto ciò che era
    autentico, originale, vero, per spalmare sulla
    pelle – anzi, talvolta, non si è esitato a strappare
    la pelle “diversa” – rancide pomate, unguenti
    e ciprie prelevate in tetri magazzini filosofici
    e spirituali, che finivano per rendere irriconoscibili
    le persone.
    Una vera formazione deve portare, prima di
    tutto, per quanto paradossale possa sembrare
    la cosa, a disimparare. O, se si preferisce, a
    imparare in altra maniera.
    Una vera formazione, ricalcata sul modello offerto
    da Giovanni Battista, liquida il “già”, per
    aprire alla sorpresa del “non ancora”. Al posto
    della sufficienza e dell’appagamento, il desiderio.
    Al posto della sicurezza, l’imprevedibilità.
    Al posto delle abitudini e degli schemi, le sorprese.
    Al posto della saturazione e dell’ingozzamento
    artificiale, il vuoto genuino che reclama
    la pienezza.
    Questa è povertà. Questa è umiltà. La povertà,
    infatti, consiste nella spoliazione, non nell’addobbo
    (tantomeno quello cartaceo). L’umiltà
    è svuotamento, non morbido piumaggio.
    Soltanto quando uno non tiene capitali – anche
    di idee religiose – da conservare, bagagli
    vistosi da custodire e portarsi appresso, maestri
    provvisori da difendere, idoli da lucidare,
    secchi di formule senza vita da rovesciare addosso
    agli altri, zuppe di parole indigeste da ingollare,
    Dio ha qualcosa da dirgli.
    Dalla formazione non deve uscire uno che sa,
    ma uno capace di esporsi, senza protezioni, alla
    luce; di essere ferito dalla Parola.
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    rosa22253
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    Registrato il: 23/06/2005
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    00 16/10/2007 09:12
    Da Tu solo hai parole ... di Alessandro Pronzato
    dal Giornale del Popolo del 16.10.

    «Che cosa cercate?» (Gv 1, 38). La domanda
    non va circoscritta ai due discepoli che si staccano
    da Giovanni Battista si mettono a seguire
    Gesù, ma viene rivolta a ciascuno di noi.
    Chiunque si metta in cammino, è obbligato a
    verificare continuamente l’autenticità e l’onestà
    della propria ricerca. Occorre accertare se
    essa è orientata in direzione del Cristo, per trovare
    Dio (il Prologo ci ricorda che il Verbo è l’unico
    rivelatore, esegeta del Padre: Gv 1,18), oppure
    per trovare un’immagine di Dio che ci assomigli,
    ci faccia comodo, possiamo disporne
    a piacimento.
    Bisogna anche controllare se la nostra ricerca,
    esigente e pura all’inizio, per caso non si è appannata
    e affievolita per strada, ha perso slancio
    e ampiezza, e ora si è fatta parziale, limitata,
    perfino meschina. Oppure si è lasciata
    contaminare da elementi estranei.
    C’è sempre il rischio di cercare Gesù per motivi
    sbagliati. In tal caso, possiamo anche illuderci
    di trovarlo, ma Lui è altrove.
    E poi, un conto è ciò che cerchiamo noi, e un
    conto ciò che Gesù vorrebbe noi cercassimo.
    Esiste, infatti, immancabilmente, uno stacco
    tra la ricerca della creatura e l’offerta di Gesù.
    Tra le nostre esigenze, riduttive, e i suoi doni,
    eccessivi ed esigenti.
    L’uomo, troppo spesso, si accontenta di ciò che
    è effimero, relativo. Lui, invece, dona ciò che
    è assoluto, duraturo.
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    rosa22253
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    Registrato il: 23/06/2005
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    00 19/10/2007 09:46
    Da Tu solo hai parole ... di Alessandro Pronzato
    dal Giornale del Popolo

    17.10.07
    Ci può essere pure una ricerca che conduce a
    una semplice replica del passato (come la manna
    per gli ebrei), una riedizione – neppur migliorata
    – del vecchio sotto un’etichetta nuova.
    E una ricerca rischiosa, segno di fede intrepida,
    che sfocia nella novità più stupefacente.
    È necessario, soprattutto, avvertire il pericolo
    più subdolo, e tutt’altro che infrequente: ci si
    illude di cercare Dio, e si vorrebbe farlo credere.
    In realtà, si cerca se stessi: il proprio benessere
    psicologico, la propria sicurezza; oppure,
    più banalmente, onori, successo, prestigio, potere,
    fama, considerazione.
    La ricerca di sé, o dell’ammirazione altrui, rende
    sospetta ogni ricerca di fede; anzi, la falsa alla
    radice. Si ha così la grande bestemmia, lo
    scandalo più disgustoso: cercare la copertura
    del nome di Dio per la costruzione del proprio
    monumento. Partire da sé, spingersi – secondo
    le intenzioni dichiarate – in direzione di Dio,
    e… trovare se stessi. Ciò che si cercava, appunto.
    Uno squallido fallimento.
    Si passa, in tal modo, dalla schiera dei cercatori
    a quella degli ipocriti. Dalla categoria degli
    adoratori a quella degli idolatri.
    La ricerca, infatti, conduce sempre a qualcosa.
    A Dio, oppure ai surrogati, all’idolo.

    18.10.07
    «Venite e vedrete…» (Gv 1. 39). Sì, ci siamo
    mossi. Siamo riusciti, sia pure con enorme fatica,
    a staccare i piedi dal terreno familiare in
    cui stavamo piantati e abbiamo compiuto il
    primo passo in direzione di una terra promessa
    ancora inesplorata, e di cui sappiamo ben
    poco.
    «Quel giorno rimasero presso di lui» (Gv 1, 39b).
    Siamo dei principianti. Cominciamo solo ora
    a vedere, imparare, capire qualcosa, tentare...
    Né in un giorno, né in mille giorni, e neppure
    in duemila anni, vien fuori un cristiano “fatto”,
    salvo rarissime eccezioni, come quella rappresentata
    da un certo Francesco d’Assisi.
    Comprendiamo le vostre esigenze più che legittime.
    Da uno che si metta a seguire il Maestro,
    ci si aspetta molto, tutto, forse anche troppo.
    Ma dovete aver pazienza, come ce l’ha Lui
    nei nostri confronti. Perdonate le nostre lentezze,
    i nostri ritardi, la distanza che ci separa
    ancora dal Vangelo.
    Perdonare la dissomiglianza, la non conformità.
    Voi pretendereste di vedere subito il cristiano
    perfetto, che non delude, che non
    smentisce il proprio nome, che ha imparato e
    messo in pratica la lezione del Vangelo. Ahimè,
    l’attesa sarà ancora lunga.
    «Essere cristiano è un’eterna promessa, che in
    quanto tale non è mai adempiuta. È una tendenza,
    una ricerca, una lotta, un travaglio, un
    bussare e un’aspirazione, un qualcosa che si
    schiude continuamente senza essere mai
    aperto del tutto, qualcosa che è eternamente
    sul punto di decollare, che vuole eternamente
    uscire da quel centro che non gli riesce più
    sopportabile» (A. Von Speyr).

    19.10.07
    Intendiamoci bene. Non è che non vogliamo mantenere
    le promesse. Semplicemente, l’unica promessa
    che con onestà possiamo formulare è quella di
    muoverci, magari grazie alle vostre sollecitazioni, i
    vostri pungoli, le vostre critiche.
    Voi vi ostinate a pretendere che siamo degli “arrivati”.
    Noi siamo in grado di promettervi, ogni giorno,
    una nuova partenza, un ricominciare, un ritentare.
    Arriviamo a… partire.
    Abbiamo mosso i primi passi. Ne faremo altri. Ma
    risulta impossibile prevedere quanti ne occorreranno.
    Anche perché questo è un itinerario piuttosto
    insolito. Quando hai compiuto il primo passo, non
    sei certo di essertelo lasciato alle spalle. Domani te
    lo ritrovi ancora davanti. Il primo passo, una volta
    effettuato, resta ancora da fare. E così per tutti gli altri.
    Ecco perché, come vi abbiamo detto, pur non
    restando fermi, restiamo sempre dei principianti.
    Dimoriamo con Lui, almeno così ci illudiamo, ma
    in realtà non abbiamo ancora varcato la soglia. Abbiamo
    esaurito una, diecimila giornate. Il calendario,
    tuttavia, risulta ancora intatto.
    Non chiedeteci, per favore di comportarci da primi
    della classe, anche se alcuni di noi si atteggiano
    a tali. Non lo siamo, e il giorno in cui fossimo convinti
    di esserlo, meriteremmo di essere cacciati non
    soltanto nell’ultimo banco, ma addirittura fuori dall’aula,
    per comportamento scorretto. Accontentatevi
    del nostro tormento, dei nostri rimorsi (non basterebbe
    un camion con rimorchio per contenerli
    tutti), delle nostre inquietudini, dei nostri goffi tentativi.
    [Modificato da rosa22253 19/10/2007 09:46]
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    rosa22253
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    00 22/10/2007 12:25
    Da Tu solo hai parole ... di Alessandro Pronzato
    dal Giornale del Popolo

    22.10.07
    Accontentatevi della nostalgia che proviamo di
    ciò che dovremmo essere e che non siamo ancora
    riusciti ad essere. Accontentatevi che la
    Parola ci faccia star male, ci disturbi, ci sconvolga.
    Accontentatevi che indossiamo il nome
    di cristiani a testa alta (perché è dono), ma anche
    con rossore (per le clamorose inadempienze).
    Non esigete, per carità, il certificato di buona
    condotta. Non siamo migliori degli altri, né
    tantomeno ci riteniamo superiori. Confessiamo,
    però, che non riusciamo più a sopportarci
    come siamo, e vogliamo essere diversi. Maggiormente
    vicini a Lui, e quindi non troppo
    lontani dalle vostre attese. Non misurate la strada
    percorsa, non fissate impietosamente il
    punto cui siamo pervenuti. Contate piuttosto
    le nostre ferite.
    Sì, lo sappiamo. Siamo condannati alle parole.
    I saggi, i prudenti mettono le parole alla fine.
    Noi, purtroppo, abbiamo le parole come
    punto di partenza: «Al principio era la Parola»
    (Gv 1,1). E, afferrati, trascinati dalla Parola, e
    anche giudicati da essa, non sappiamo dove
    andremo a sbattere, e scalpicciamo maldestramente
    lungo una strada difficile, incappando
    in numerosi infortuni.
    «Venite e vedrete…». Se smettete i panni del
    giudice che condanna in base a mancanze fin
    troppo evidenti, e venite anche voi a dare
    un’occhiata, vi renderete conto di quanto sia
    ardua, e perfino temeraria, la nostra impresa.
    Non state a snocciolare le nostre singole manchevolezze.
    Ci riconosciamo senza difficoltà
    “mancanti”. Sì, ci manca tanta, troppa strada.
    Noi siamo “venuti” e abbiamo “visto”… che ci
    attendevano molte partenze. Chiamati, ma
    non ancora nati. Afferrati da Qualcuno, eppure
    lontanissimi. Sottovoce, vi possiamo però
    garantire che non abbiamo ancora voltato le
    spalle. Anche perché non riusciremmo, in tal
    caso, a sopportare il vostro sguardo.
    [Modificato da rosa22253 22/10/2007 12:25]
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    rosa22253
    Post: 1.298
    Registrato il: 23/06/2005
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    00 22/10/2007 12:29
    Ho trovato in giro questo, ma purtroppo non so chi l'ha scritto:

    -------------------

    Da molti anni lavoro a gomito a gomito con i sacerdoti e, per grazia di Dio, non ho ancora perso la fede. Ne conosco i limiti, i difetti e anche i peccati; ci ho litigato e ho anche sbattuto le porte: ho rischiato l'esaurimento nervoso, perché non sopportavo certo loro "ingiustizie". E così, tra alti e bassi, sono andata avanti, finché un giorno uno di loro me l'ha combinata talmente grossa, che presa dalla disperazione, mi sono infilata in una chiesa e ho vuotato il sacco. "Lo vuoi capire", ho detto al Signore, "che poi sei tu a farci brutta figura? Sei anche poco furbo; visto che hai la possibilità di scegliere, non puoi chiamare qualcuno con un po' più di cervello?".
    Dopo questo sfogo sono stata in silenzio e nel silenzio Dio mi ha risposto: "E' vero che li ho scelti io; è vero che sono dei poveretti, però io li amo così come sono. E tu chi credi di essere per giudicarli? Certo, sono dei peccatori, eppure io obbedisco a loro e quando dicono: "Io ti assolvo", tu sei assolta; quando dicono: "Questo è il mio corpo" io scendo sull'altare. Se avessi voluto farmi rappresentare dagli angeli, avrei potuto benissimo mandarli sulla terra. In vece ho scelto dei peccatori. E se va bene a me, a te cosa importa?".
    E ho concluso: se i sacerdoti fossero tanti e perfetti, forse seguiremo loro dimenticandoci del Signore.
    Da quel giorno ho incominciato a guardarli con occhi diversi: continuo a vedere i loro difetti, però li considero uomini che portano un benen prezioso in vasi di creta; che faticano più di tutti perché devono annunciare il Vangelo agli altri, mentre faticano a viverlo essi stessi; che devono consolare, confortare, rassicurare, mentre forse essi stessi sono nel dolore, nel buoi e nella tentazione. Certo, il loro "mestiere" è stare sulla croce, ma sulla croce non ha danzato nemmeno Gesù.

    Mesi fa ho partecipato ad un incontro di spiritualità per laici e, alla solita obiezione: "Va bene, ma il mio parroco ....", il relatore ci ha subito sistemati. "Incominciate con digiunare una volta alla settimana per il vostro parroco e, se riconoscete che è davvero un peccatore, digunate due volte: Poi , se volete, aggiungete venti minuti di adorazione per lui e il Rosario quotidiano. Vedrete che in primo luogo non lo giudicherete più con tanta durezze e, in secondo, può darsi che con un simile aiuto anche lui riesca a "convertirsi". Chissà che non lo desideri da anni, ma gli manchi la forza necessaria".
    Io ho sperimentato personalmente questa ricetta e posso garantire che... funziona!
    ------------------------

    Riflettiamoci [SM=g27829]
    [Modificato da rosa22253 22/10/2007 12:31]
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    rosa22253
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    00 23/10/2007 18:27
    Re:
    Da Tu solo hai parole ... di Alessandro Pronzato
    dal Giornale del Popolo

    23.10.07
    «Venite e vedrete…» (Gv 1, 39). Quello del Maestro
    è, insieme, invito e promessa di esperienza
    reale. Anche a Natanaele, tra poco, dirà: «Vedrai
    cose più grandi di queste» (Gv 1,50). Gesù
    introduce coloro che gli si avvicinano alla
    scoperta progressiva, alle sorprese. Non presenta
    un programma già chiuso, completo, definito
    una volta per sempre, soltanto da accettare,
    magari mettendo una firma in calce. Presenta,
    invece, una strada affascinante e misteriosa
    da percorrere insieme, un itinerario imprevedibile,
    un’avventura esaltante da vivere.
    Ci saranno rischio e cose inaspettate. Non
    mancheranno le novità e ci sarà posto per la
    meraviglia.
    Quando uno accetta il salto della fede, atterra
    in una zona tutta da esplorare. Non gli viene
    consegnato un “manuale di istruzioni”, un “libretto
    rosso”, un vademecum per il viaggio, ma
    un territorio, intatto e misterioso, da scoprire.
    Tutto è affidato ai passi (“venite”) e agli occhi
    (“vedrete”).
    Vengono in mente, all’opposto, certi libri religiosi,
    trattati di spiritualità, testi di ascetica e
    mistica, metodi educativi. Dove il credente è
    considerato uno sprovveduto da prendere
    per mano e accompagnare, come un automa,
    a passo a passo, sino al termine. O, addirittura,
    una docile marionetta, svuotata di capacità
    propria, cui è stata confiscata ogni libertà e fantasia,
    cui è negato ogni movimento autonomo,
    cui è permesso soltanto lo “sforzo”, mani, piedi
    e testa infilzati a un filo, e tutto si muove a
    comando, si progredisce e si arriva nei modi e
    nei tempi stabiliti, secondo tappe programmate
    in partenza. E il finale è scritto nel copione.
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    rosa22253
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    00 25/10/2007 11:51
    Da Tu solo hai parole ... di Alessandro Pronzato
    dal Giornale del Popolo

    24.10.07
    In certi programmi educativi tutto è già stato
    fissato. La vita è stata… vissuta da altri, la strada
    preventivamente esplorata, e si tratta solo
    di ripetere, riprodurre. Quelle sono guides
    bleus, più o meno prestigiose e affidabili, che
    contengono tutto ciò che si deve sapere, vedere
    e ammirare. Vengono fornite una quantità
    enorme di informazioni puntigliose, basta attenervisi,
    seguire scrupolosamente l’itinerario
    tracciato secondo gli orari stabiliti.
    Non mancano neppure le valutazioni sulle bellezze
    da non perdere. Così uno viene perfino
    dispensato dall’esprimere un apprezzamento
    personale sulle novità che frequenta. Sono già
    state indicate le emozioni che deve provare.
    Qui si gode, là si deve tirar dritto, in quel posto
    non vale la pena attardarsi ma basta una
    rapida sosta, laggiù invece bisogna assolutamente
    trattenersi per il tempo indicato, lungo
    quel tratto bisogna penare, poi ci sarà quella
    sorpresa descritta in tutti i dettagli.
    Non è questione di capire, ma di controllare.
    Il viaggio non serve per aprirsi al nuovo, ma per
    verificare se tutto corrisponde alla descrizione,
    ogni cosa a posto, come indicato.
    Hai in mano un catalogo, non una strada sotto
    i piedi. Gli occhi devono funzionare per vedere
    esattamente ciò che la guida ti indica, guai
    a mettere il naso e frugare in un angolo non segnalato.
    Inconcepibile che uno scopra, in
    proprio, qualcosa di originale, si avventuri lungo
    un percorso inedito. O, addirittura, ardisca
    fare una deviazione sconsigliata.

    25.10.07
    Ancora su certi determinati programmi di formazione cristiana
    che stanno all’opposto del “venite e vedrete” di Gesù.
    Qui i piedi vanno messi, obbligatoriamente, nei punti indicati
    dalle frecce direzionali, guai a uscire dal sentiero. Virtù,
    difetti, tappe, conquiste, gradini da superare, nutrimenti da
    ingurgitare secondo dosi e ricette rigorosamente imposte…
    In quei libri ogni cosa è prevista (o, almeno, largamente prevedibile).
    La vita di fede viene programmata secondo modi,
    tempi e scadenze ineluttabili. La dimensione religiosa è
    confezionata come un metodo di apprendimento che dovrebbe
    portare, se non salti arbitrariamente alcun esercizio,
    alla più indiscutibile ortodossia (che è la cosa che più sta a
    cuore ai compilatori di quei testi).
    Ma quella tracciata non è più una strada, bensì un labirinto
    oscuro, senz’aria, senza vita, senza fiori, senza poesia, senza
    musica, in un’atmosfera cupa, dove anche le luci sono
    quelle regolamentari. E, se si smarrisce il filo, non ci si ritrova
    più. Nel caso uno arrivi al termine, si può dire che si è mostrato
    bravo, docile, affidabile, non certo che è stato liberato.
    Quella è tecnica – anche della preghiera, addirittura dell’amore
    – non esperienza. Perfino l’incontro con Dio viene programmato
    con un cerimoniale immutabile, gesti, riti, parole
    e abbigliamento fissati in anticipo.
    Il monte della Trasfigurazione è stato appaltato agli agenti
    di viaggio religiosi che tengono in mano la chiave dell’interruttore
    per produrre – al verificarsi delle condizioni richieste,
    e quando tutti sono allineati disciplinatamente e gerarchicamente
    al posto loro assegnato – la luce dall’alto. E, naturalmente,
    i registi hanno la pretesa di commentare e interpretare
    il miracolo inaudito.
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    rosa22253
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    00 26/10/2007 14:19
    Da Tu solo hai parole ... di Alessandro Pronzato
    dal Giornale del Popolo

    26.10.07
    Ecco perché da certe esperienze artificiali, che
    abbiamo denunciato nelle puntate precedenti
    spuntano fiori di plastica, creature con una
    tintarella vagamente spirituale sulla pelle, e addirittura
    il prurito di comunicare agli altri le
    emozioni “comandate” che hanno provato.
    Non uomini di luce, segnati a fuoco in profondità,
    che ti accendono dentro il desiderio al loro
    solo contatto.
    È inevitabile che succeda questo quando si
    punta più sulla forma che sui contenuti, e ci
    si preoccupa più dei comportamenti esteriori
    che delle radici.
    A leggere quei libri, quei trattati, quei documenti
    ufficiali, si ricava l’impressione che la Parola
    sia risuonata una volta per tutte, lo Spirito
    si sia manifestato in una sola occasione “dimostrativa”.
    Alcuni incaricati hanno raccolto,
    registrato, conservato, annotato ogni particolare,
    aggiungendovi i loro commenti, gli unici
    autorizzati. Adesso ti viene offerta la cassetta
    registrata e garantita.
    Non “vieni e vedrai”, ma “siedi e impara”. Il meno
    che si possa dire è che il Dono gratuito sparisce
    e al suo posto affiora una specie di macchinoso
    “gioco a premi” (stavo per dire “giro
    dell’oca”), a tutto vantaggio dei più pedissequi
    ripetitori.
    Non qualcosa di intrinsecamente cattivo, intendiamoci:
    Peggio: qualcosa di uggioso. Il peccato
    contro la vita reca le livide cicatrici della
    monotonia, della noia, delle squallide e risapute
    imitazioni, delle logore repliche.
    ************************************************************************************


    BENEDETTO COLUI CHE VIENE NEL NOME DEL SIGNORE!

    "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa"

    Mt 16,18





    La strada è lunga, ma non esiste che un mezzo per sapere dove può condurre, proseguire il cammino.
    (don Tonino Bello)


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    rosa22253
    Post: 1.313
    Registrato il: 23/06/2005
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    00 03/11/2007 00:18
    Da Tu solo hai parole ... di Alessandro Pronzato
    dal Giornale del Popolo

    30.10.07
    «Venite e vedrete…» (Gv 1, 39). Un’altra variante,
    oggi di moda, della frase pronunciata da Gesù,
    è il “vieni e leggi”, oppure “entra e ti troverai
    realizzato, scoprirai la tua vera dimensione,
    avrai risolto tutti i tuoi problemi”. Invece
    dell’invito all’esperienza, un programma di indottrinamento.
    Ogni tanto mi lascio indurre in tentazione, sapendo
    già che me ne pentirò amaramente, e
    do una scorsa a certi “progetti di vita”. Ne ricavo
    un senso di mortificazione. La sensazione
    che san Francesco non sia mai apparso sul
    nostro orizzonte, san Benedetto non abbia
    scritto una Regola, Cristo non abbia detto «La
    verità vi farà liberi» (Gv 8,32).
    La programmazione più asfissiante celebra
    trionfi inenarrabili sui binari morti delle formule,
    delle definizioni, dei più vieti psicologismi,
    e di una cultura d’accatto. Il tutto abbellito
    dai cascami di pensieri scintillanti grazie
    alla vernice fresca. Non mancano le citazioni
    ricavate dalla Bibbia. Ma messe lì, nel punto
    voluto, perché oggi usa così, per puntellare una
    costruzione improbabile che si sviluppa secondo
    traiettorie del tutto estranee alla Parola di
    Dio. Una sfarinata di Vangelo su un intruglio
    confezionato in cucine e laboratori dove non
    si respira certo il profumo della “bella notizia”.
    Niente viene concesso all’imprevisto. Tutto si
    svolge meccanicamente, secondo moduli collaudati.
    Ogni problema, la sua precisa soluzione.
    Ogni questione, anche la più spinosa, la sua
    scontata risposta. Ogni possibile interlocutore,
    classificato e consegnato al discepolo con
    le istruzioni per l’uso (prefigurati tutti i casi:
    dalla conversione alla condanna, dall’incontro
    all’anatema, dalla cattura alla porta in faccia,
    dall’utilizzazione all’accusa di complotto).

    2.11.07
    Parlano di “discernimento degli spiriti”,
    è una formula di moda anche questa.
    Ma se uno lo pratica veramente, e ne
    vien fuori con una scelta non gradita a
    loro (magari la scelta, sofferta, costosa,
    di andarsene), un’iniziativa non contemplata
    nei programmi ufficiali, gli dicono
    che è vittima di pericolose illusioni
    e di idee devianti, andrà a finir male,
    come del resto è già accaduto a…
    Ironia del linguaggio. Li chiamano “progetti
    di vita”. E, invece, sono stampi incaricati
    di confezionare il prodotto desiderato,
    già impacchettato. Non il credente
    con in mano la semente da gettare,
    il lievito destinato a far fermentare
    la pasta, il sale da scaraventare su occhi,
    piaghe e piatti insapori, ma un
    bamboccio di marzapane, che ha tra
    l’altro il difetto di parlare (grazie al disco
    che gli hanno ficcato in pancia).
    Vengono definiti “progetti”. Ma il progetto
    – come indica l’etimologia del termine
    – dovrebbe “gettar fuori”, allo scoperto,
    all’urto con la realtà. Mentre, invece,
    il loro intento è quello di “far entrare”,
    inghiottire la persona, tenerla
    dentro, custodirla in un clima protetto,
    rivestirla di tutto punto, amministrarla.
    Il progetto implica un centro e un’uscita,
    ossia un dinamismo di irradiazione.
    Mentre il loro schema prevede essenzialmente
    un’entrata e una permanenza
    alla periferia del Vangelo, con uscite
    determinate, non da un’urgenza interiore,
    ma da freddi orari di servizio.
    Ciò che importa, per loro, è l’occupazione
    di posti.
    ************************************************************************************


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    rosa22253
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    00 05/11/2007 14:13
    “VANGELI SCOMODI” Il “long seller” di Pronzato

    Dopo 40 anni torna la versione originale

    In 40 anni il libro “Vangeli scomodi” ha raggiunto il
    traguardo della 30° edizione, questa volta
    firmata dalla prefazione di monsignor Gianfranco
    Ravasi. In occasione di questo anniversario
    l’autore ha deciso di fare un dono ai suoi lettori
    pubblicando la prima versione del libro, che era
    ormai introvabile.
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    BENEDETTO COLUI CHE VIENE NEL NOME DEL SIGNORE!

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    rosa22253
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    00 21/11/2007 16:03
    Da Tu solo hai parole ... di Alessandro Pronzato
    dal Giornale del Popolo

    6.11.07
    E propongono anche quello che chiamano “itinerario”.
    Più che altro una innocua, e bene vigilata
    escursione nel cortile domestico, e che
    assomiglia tanto a quei percorsi regolari di
    compìti ecclesiastici, che recitano il breviario
    avanti e indietro lungo un corridoio, un chiostro,
    o un vialetto, dove le uniche difficoltà sono
    rappresentate dalla ghiaietta che accarezza
    le suole o la cera che potrebbe compromettere
    l’equilibrio.
    Siamo sul versante opposto rispetto al “venite
    e vedrete” del Maestro. Gesù, infatti, propone
    una strada, lungo la quale si costruisce – dal
    di dentro – un credente, non uno stampo che
    sforna discepoli multipli e rassomigliantissimi
    (soprattutto nell’insignificanza). Tutti senza difetti,
    incluso quello, imperdonabile, di essere
    se stessi. Tutti “già visti” e previsti e prevedibili.
    Diligenti fattorini, costruiti in serie, non certo
    inattesi banditori della bella notizia.
    Non è sempre colpa loro (anche se ognuno ha
    il mastro che si merita). Scontano la pochezza
    accoppiata alla presunzione di addestratori
    improvvisati, i quali fingono di ignorare che
    gli schemi non sono scorciatoie verso il Cristo
    (non esistono scorciatoie per quell’incontro),
    ma complicazioni che tolgono il guato della ricerca,
    annullano la possibilità della sorpresa,
    amputano il senso dello stupore. Per non parlare
    dei vecchi volponi, di lungo pelo, che strumentalizzano
    i discepoli in funzione dei loro
    interessi inconfessati e inconfessabili.


    7.11.07
    Le scuole di certi pseudo educatori – anche se
    tanto celebrati – sfornano allievi che non hanno
    mai subito il fascino del Maestro, non sono
    mai passati attraverso la fase dell’innamoramento,
    ma ne hanno imparato la lezione attraverso
    aridi e sbrigativi riassunti che ne hanno
    disseccato la freschezza originale, fatto evaporare
    il profumo, ammorbidito la forza provocatoria.
    Gesù forma degli uomini familiari col fuoco,
    non dei festaioli gratificati da programmi che
    si concludono immancabilmente con lo spettacolo
    dei fuochi artificiali.
    Lui non tiene dei posti da assegnare ai suoi
    amici. I posti sono già stati assegnati dal Padre.
    Ma verranno occupati alla fine, a missione conclusa.
    Per adesso c’è un invito (o un comando): “Venite”.
    Tra poco ne scoccherà un altro: “Andate”.
    Tutti verbi di moto, incaricati di sloggiare
    le persone, disinstallarle. Niente che richiami
    l’immagine del nido o della tana.
    Certo, ci sarà anche il “dimorate nel mio amore”
    (Gv 15,9). Ma ciò comporterà, inevitabilmente,
    il rischio di indossare le misure del
    mondo e percorrere le strade impervie degli
    uomini.
    Certi maestri fabbricano allievi “rassicuranti”,
    in cui potersi riconoscere e compiacere. Gesù
    mette in piedi uomini nuovi, “irriconoscibili”,
    di cui tutti si possono fidare.
    Tutto sta a precisare che cosa si intenda quando
    si parla di “affidabilità”. E anche di “docilità”.


    8.11.07
    Il compito del testimone non è quello di consegnare
    un’esperienza già confezionata e collaudata,
    conclusa e definita, semplicemente da
    ripetere, ma di indirizzare sulla strada giusta,
    orientare discretamente la ricerca, dare magari
    qualche robusto scossone quando ci sono involuzioni
    in direzione di idoli e miraggi, rispettando
    sempre la libertà delle persone e stimolando
    la responsabilità.
    Il testimone non offre sicurezze, ma stimoli. Pochi
    chiodi fissi, e un uso frequente di pungoli.
    Gesù assicura che ci saranno sempre molte
    strade su cui camminare. Cose da vedere e scoprire,
    orizzonti su cui aprirsi, aurore da salutare
    con occhi colmi di stupore, approdi impensati
    da cui lasciarsi attrarre.
    Gesù, in un testo di Luca, dirà: «Le volpi hanno
    le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi,
    ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo
    » (9,58). Ecco le sicurezze che è in grado di
    offrire il Maestro! Altro che i posti… Lui garantisce
    posti all’aperto, sempre provvisori.
    Lui «non ha dove posare il capo». Ossia, non
    si porta dietro né la casa, né un guanciale. Perché
    vive nella certezza che ci sarà sempre, lungo
    un cammino, un sasso un mucchio di foglie.
    L’unica sicurezza che Gesù garantisce ai propri
    amici è l’insicurezza della strada.
    A chi intende camminare, e non ha paura di
    scorticarsi i piedi, non mancherà mai la strada…


    9.11.07
    Il compito del testimone non è quello di consegnare
    un’esperienza già confezionata e collaudata,
    conclusa e definita, semplicemente da
    ripetere, ma di indirizzare sulla strada giusta,
    orientare discretamente la ricerca, dare magari
    qualche robusto scossone quando ci sono involuzioni
    in direzione di idoli e miraggi, rispettando
    sempre la libertà delle persone e stimolando
    la responsabilità.
    Il testimone non offre sicurezze, ma stimoli. Pochi
    chiodi fissi, e un uso frequente di pungoli.
    Gesù assicura che ci saranno sempre molte
    strade su cui camminare. Cose da vedere e scoprire,
    orizzonti su cui aprirsi, aurore da salutare
    con occhi colmi di stupore, approdi impensati
    da cui lasciarsi attrarre.
    Gesù, in un testo di Luca, dirà: «Le volpi hanno
    le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi,
    ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo
    » (9,58). Ecco le sicurezze che è in grado di
    offr-re il Maestro! Altro che i posti… Lui garantisce
    posti all’aperto, sempre provvisori.
    Lui «non ha dove posare il capo». Ossia, non
    si porta dietro né la casa, né un guanciale. Perché
    vive nella certezza che ci sarà sempre, lungo
    un cammino, un sasso un mucchio di foglie.
    L’unica sicurezza che Gesù garantisce ai propri
    amici è l’insicurezza della strada.
    A chi intende camminare, e non ha paura di
    scorticarsi i piedi, non mancherà mai la strada…


    12.11.07
    Oggi, a un individuo che cerca con serietà, pare
    non sia troppo prudente rivolgere l’invito:
    “vieni e vedi”. Meglio non veda, non sappia,
    non sospetti.
    Non è consigliabile che entri in certe chiese dove
    si celebrano liturgie da cui il bello si astiene.
    Bisogna evitare che ascolti certe aride omelie,
    capaci di spegnere la più timida scintilla di interesse.
    Occorre raccomandargli di non ascoltare certe
    trasmissioni religiose, scoraggianti e indisponenti.
    Conviene non abbia tra le mani certi giornali
    “nostri”, che riproducono in maniera sfacciata
    unicamente la voce del “loro” padrone.
    È salutare che si tenga alla larga da certa “buona
    stampa” di una mortificante piattezza e
    conformismo.
    Meglio non scopra il vuoto che sta dietro alle
    dichiarazioni ufficiali.
    Meglio non veda l’ipocrisia, la meschinità, le
    incongruenze, i vergognosi compromessi, i ricatti,
    le feroci invidie, gli spregiudicati giochi
    di potere nascosti sotto l’etichetta del nome di
    Dio.
    Meglio non accerti la distanza abissale rispetto
    al Vangelo dei comportamenti, gesti, mentalità
    di chi ha sempre in bocca il Vangelo e lo
    chiama in causa soprattutto per faccende che
    hanno ben poco a vedere col suo messaggio.


    13.11.07
    Insisto. Uno che cerca seriamente è meglio si
    mantenga a distanza di sicurezza in modo da
    non avvertire il puzzo di denaro sospetto che
    ammorba l’aria di certe “opere di bene”.
    Meglio non abbia la possibilità di verificare la
    latitanza totale di gratuità dal Dono che viene
    presentato.
    Meglio non accerti l’inconsistenza di certe facciate,
    la pochezza (anche sul piano umano) di
    certi personaggi che dominano la scena ecclesiale.
    Meglio non si renda conto che qualcuno dice
    “servizio” e pensa “potere”.
    Meglio non si accorga che certe case, certe persone
    sono “disabitate”. Disabitate da Lui (ne è
    stato sfrattato silenziosamente). Anche se si sono
    moltiplicati i simboli che fanno riferimento
    a Lui.
    O, forse, no. È meglio non risparmiargli questa
    esperienza mortificante e deludente al tempo
    stesso, la quale, in fondo, rappresenta una
    tappa fondamentale di avvicinamento a Lui,
    l’unico che non delude, l’unico che può dire
    tranquillamente: «vieni e vedi».
    E, dopo, puoi gettare uno sguardo di benevolo
    compatimento verso tutte le contraffazioni,
    anche le più sfacciate.
    In fondo, potrai dire: «So in chi ho riposto la
    mia fiducia».


    14.11.07
    «Erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv
    1,39). Nel Prologo si parla del Verbo che è “al
    principio” (1,1). Dunque, il Verbo preesistente
    da tutta l’eternità, che si colloca fuori del
    tempo, a un certo punto entra nella storia degli
    uomini (evito il verbo “irrompe”, caro a tanti
    pappagalli che lo usano a proposito e, più
    spesso, a sproposito), diventa avvenimento
    nella cronaca di un gruppetto di individui, si
    inserisce nel quadrante del loro orologio: «Le
    quattro del pomeriggio» (per gli ebrei, l’ora decima).
    Dio infila il viottolo di un villaggio, desideroso
    di camminare in compagnia degli uomini,
    provocare incontri personali, scambiare confidenze.
    Non c’è nessuna scuola, nessuna accademia,
    nessun noviziato o seminario, che possano sostituire
    questa ora: «le quattro del pomeriggio».
    Puoi passare tutta la vita sui libri, trascorrere
    decenni a imparare ed esercitare le virtù, ma
    se manchi l’appuntamento delle “quattro del
    pomeriggio” hai perso tempo.
    Uno si prepara tredici anni in seminario, e magari
    mezza dozzina supplementare in una facoltà
    teologica, ma è prete soltanto se si accorge
    che sono scoccate le “quattro del pomeriggio”
    e che, proprio a quell’ora, nella vita si è
    prodotto un fatto insolito, sconvolgente. È successo
    qualcosa di unico, è successo Qualcuno.


    15.11.07
    A scuola si imparano “certe cose” e ci si addestra
    a dire “quelle cose”. Poi, però, ti accorgi che
    ciò che è decisivo, nella fede, è la risposta a Uno
    che “passa”, è il contato diretto con Lui nella
    trama del quotidiano, è il sentirsi toccato da
    una parola nella carne e nel sangue, un parola
    che provoca un sussulto, un fremito nel cuore,
    è una esistenza che viene sconvolta e rimane
    incendiata da una scintilla che è scoccata
    in un momento preciso.
    E allora ti rendi conto che la fede non la trasmetti
    come un “deposito”, o come un sapere,
    ma attraverso una parola viva, bruciante, che
    accende nell’altro un desiderio, risveglia una
    nostalgia. E le parole dell’annuncio non sono
    quelle imparate sui testi, bensì quelle che sgorgano,
    incontenibili, dall’esperienza sconvolgente:
    «Abbiamo trovato il Messia!» (Gv 1, 41).
    Non una dottrina, una lista di cose da credere,
    ma una scoperta. La lampada di Dio non si
    spegne nel Tempio (1Sam 3,3) fintantoché ci
    saranno uomini disposti a lasciarsi incendiare
    lo sguardo e a portare quella fiamma lungo
    le strade del villaggio o della metropoli. Voglio
    dire, portarla negli occhi. Senza escludere la luce
    abbagliante della vita di Damasco, che provoca
    la caduta da cavallo, il passaggio di Dio
    che trasforma un’esistenza, normalmente viene
    percepito dal trasalimento di un cuore.


    16.11.07
    Dio, abitualmente, taglia bruscamente la strada
    a una persona. Abitualmente, però, preferisce
    “passare”, e sentire che qualcuno, disposto a veder
    chiaro, sta muovendo i piedi… per non andare
    da un altro.
    ***
    Dunque, nel caso dei primi discepoli, si tratta delle
    “quattro del pomeriggio”. Tuttavia non è necessario
    ricordare con precisione il giorno e l’ora.
    Charles de Foucauld, a proposito della propria
    conversione clamorosa, inattesa, indicava, vagamente,
    un giorno di “fine ottobre” (1886) .). E
    nemmeno il suo confessore, l’umile abbé Huvelin,
    strumento della grazia per quel capovolgimento
    improvviso, era in grado di ricordare con
    esattezza quel giorno (e allora non usava, da parte
    dei confessori, concedere o sollecitare interviste
    per pubblicizzare i propri interventi “provvidenziali”
    nel caso di personaggi famosi, con lo
    scopo di costruirsi il proprio monumento di popolarità).
    Ciò che importa, piuttosto, è documentare come
    l’incontro con Cristo abbia tracciato una specie
    di confine, una linea spartiacque tra un “prima”
    e un “dopo”.
    Paolo, in alcune sue lettere, presenta una dialettica
    oscillante tra “un tempo…” e “ora”. «Ricordatevi
    che un tempo voi… eravate senza Cristo,…
    senza speranza e senza Dio in questo mondo. Ora,
    invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate
    i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di
    Cristo» (Ef 2, 11-13). Ancora: «… Voi che un tempo
    eravate stranieri e nemici con la mente intenta
    alle opere cattive che facevate, ora egli vi ha riconciliati…
    » (Col 1,21-22). Infine: «Anche noi un
    tempo eravamo insensati… Quando però si sono
    manifestati la bontà di Dio… e il suo amore
    per gli uomini…» (Tt 3,3-4).
    19.11.
    Clemente Rebora, il più grande poeta religioso
    italiano del Novecento, parla del tempo trascorso
    prima della conversione come di un
    tempo caratterizzato dal “campare”. Dopo, invece,
    inizia la vita, come un’infanzia: «La tenerezza
    del Divin Cuore, /… me, che da nove lustri
    già campavo / ma vita avevo da due anni
    appena, / rifece infante a scuola del vivente».
    Consiglio vivamente ai lettori di prendere in
    mano il libro delle sue “Poesie” (Garzanti) e
    percorrere lo stupendo, affascinante “Curriculum
    vitae”, in cui compare il momento decisivo
    allorché «La Parola zittì chiacchiere mie».
    Oggi ci sono “convertiti” che sorvolano sul loro
    “prima” (l’umiltà non appartiene al loro repertorio),
    e quanto al “dopo” non ne fanno alcun
    cenno, impegnati come sono a vivere di
    rendita grazie alla fama di convertiti, per cui
    non hanno tempo per dimostrare che cosa sono
    diventati dopo l’incontro con Cristo (sarebbe
    un discorso piuttosto imbarazzante…).
    Il cardinal Joseph Ratzinger faceva un’osservazione
    assai interessante: «Il limite prima-di-Cristo
    e dopo-Cristo non è un confine tracciato
    nella storia o sulla carta geografica, ma è un segno
    interiore che attraversa il nostro cuore. Finché
    viviamo nell’egoismo, siamo ancora oggi
    coloro che vivono prima-di-Cristo».
    Si tratta di una provocazione che non possiamo
    certo eludere: possiamo dire che nella esistenza
    esiste un “prima-di-Cristo” e un “dopo”,
    che caratterizza il nostro presente?



    20.11.
    «Videro dove abitava…» (Gv 1, 39). Qualche
    consiglio sottovoce. Attento a non sbagliare indirizzo,
    e attento soprattutto ai falsi indirizzi
    che qualcuno ti rifila. Devi puntare dove abita
    Lui, e quindi non accontentarti delle adiacenze,
    delle dépendances, delle anticamere dei
    vari palazzi che pretendono avere a che fare
    con Lui.
    Non abita nelle sacrestie, e nemmeno, necessariamente,
    in chiesa. Osserva Luisito Bianchi:
    «Ci sono chiese un po’ ovunque, ad ogni passo.
    Ma il sacro non è più dentro; è uscito e circola
    nelle vie dove c’è un passante ed è chiuso
    in ogni stanza dove c’è un uomo».
    Lui non sta nelle piazze, negli stadi, dove si allestiscono
    grandiosi e impeccabili spettacoli religiosi.
    Dove crepitano gli applausi, Lui si sente
    imbarazzato e si allontana perché sospetta
    ci sia, alla base, un colossale equivoco.
    Non lo trovi nelle statistiche, nelle inchieste, nei
    grandi numeri. Si direbbe che i grandi numeri
    gli vadano un po’ stretti…
    Non lo trovi nei trionfi. Lui si accompagna ai
    vinti, ai profeti umiliati, diffamati, perseguitati
    e derisi. Oserei dire che sta dalla parte di quelli
    che vengono considerati “eretici” dagli ottusi
    burocrati dell’ortodossia. Ama i “dissidenti”
    per esigenza di fedeltà al Vangelo.

    21.11.07
    Lui è schierato con quelli che perdono le loro
    battaglie contro i potenti del giorno.
    Lui sta alla larga dai luoghi dove domina il denaro.
    Non si interessa di politica, di potere, di
    carriere.
    Lui predilige la non appariscenza. Le opere colossali
    non hanno niente a che vedere con Lui.
    Abita, piuttosto, nella solitudine, in disparte
    dalla folla.
    È assente dai dibattiti, dalle polemiche astiose,
    estraneo alle manifestazioni di massa.
    Lui abita il silenzio, non il chiasso stordente.
    Lui abita la vita reale, il quotidiano, la fatica,
    la durezza dell’esistenza.
    Abita nei volti delle persone apparentemente
    insignificanti che incontri, e non in quelli, “mascherati”,
    dei personaggi.
    Lo trovi lontano dai riflettori, in una stanza d’ospedale,
    nel corridoio di un ospizio, in una famiglia
    qualsiasi, abbandonato su una panchina
    dove qualcuno va a deporre la propria sfinitezza.
    Non abita nei cenacoli devoti, dove non entrano
    i problemi reali. E neppure nelle élites settarie,
    nei club dove si coltivano fanatismi.
    Lui abita la semplicità, la modestia, la povertà,
    l’incognito, la piccolezza, la marginalità.
    Lo trovi nelle pieghe, negli angoli, nella clandestinità.
    ************************************************************************************


    BENEDETTO COLUI CHE VIENE NEL NOME DEL SIGNORE!

    "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa"

    Mt 16,18





    La strada è lunga, ma non esiste che un mezzo per sapere dove può condurre, proseguire il cammino.
    (don Tonino Bello)


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    rosa22253
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    00 24/11/2007 20:36
    Re:
    Da Tu solo hai parole ... di Alessandro Pronzato
    dal Giornale del Popolo

    Certo. La Parola viene rivolta a tutti. Ma quella
    Parola non è mai qualcosa di anonimo, impersonale,
    astratto. La Parola “universale”, per
    arrivare a destinazione, imbocca l’unica strada
    praticabile: il cuore di ognuno.
    Anche quando Cristo parla alle folle, si ha
    l’impressione che si ostini a snidare dei volti,
    individuare un “tu”, mettersi in contatto con
    un individuo particolare, sollecitare la risposta
    di un cuore. Che è il suo modo peculiare
    di fare l’appello nominale.
    Così dovrebbe essere sempre della predicazione.
    Anche quando il prete, necessariamente,
    parla a una comunità, ciascuno dovrebbe
    sentirsi interpellato personalmente.
    Bisogna avere il coraggio di distaccarsi dalla
    folla. Non c’è vicinanza a Gesù senza uno
    stacco, una separazione da un certo tipo di
    mentalità, di abitudini, di logica.
    Gesù, in un certo senso, parla all’orecchio di
    ciascuno di noi, dopo averci preso in disparte.
    Come se ci dicesse: Vuoi ascoltare una parola
    diversa? Intendi sperimentare un modo
    di vivere diverso? Vuoi tentare, provare a cercare
    la felicità, e quindi l’autenticità del tuo
    essere, in un territorio inesplorato, dove nessuno
    si azzarda?
    L’avvicinarsi, tuttavia, presuppone, oltre che
    la volontà di ascoltare e di camminare, anche
    la disponibilità a tentare l’avventura, ad affrontare
    il rischio di una strada insolita, e
    spesso anche solitaria. Una cosa assai impegnativa,
    ma anche esaltante.
    ************************************************************************************


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    rosa22253
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    Registrato il: 23/06/2005
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    00 28/11/2007 19:03
    Re: Re:
    Da Vogliamo vedere Gesù ... di Alessandro Pronzato
    dal Giornale del Popolo

    Il seme e la pietra, la libertà dell’amore e la gerarchia,
    la fantasia e l’autorità, la vita e la forma.
    Tu, Simone, eri incaricato di costituire la
    pietra che dà sicurezza senza essere opprimente,
    tutela senza schiacciar il germoglio, dà ordine
    senza soffocare la vita, garantisce l’unità
    rispettando la diversità.
    Tu dovevi incarnare la struttura. Qualcosa di
    solido e visibile, senza essere troppo ingombrante
    e senza oscurare il primato dell’amore
    e della misericordia. La legge e il Vangelo (la legge
    a servizio del Vangelo). La disciplina e la festa
    (la disciplina che non impedisce la festa).
    Pietra e luce. Pietra che non può diventare
    schermo, opacità, diaframma, ma riflettere la
    luce, essere trasparenza.
    Pietra e strada. Fondamento, radice, e dinamismo
    di movimento. Pietra che cammina. Segnale
    che rende sicura la via, senza tuttavia trasformarla
    in un percorso piatto, adatto alle parate,
    o in una corsia riservata al traffico dei convogli
    carichi di nostalgia per un passato che
    non si decide mai a passare.
    Roccia che conserva un cuore di carne. Fermezza
    e misericordia. Durezza e dolcezza. Severità
    e tenerezza.
    Sarai pietra e sarai parola. Pietra che non si colloca
    sopra la Parola, ma sta sotto il giudizio della
    Parola.

    ************************************************************************************


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    rosa22253
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    00 01/12/2007 23:59
    Re: Re: Re:
    Da Vogliamo vedere Gesù ... di Alessandro Pronzato
    dal Giornale del Popolo

    29.11.07
    Com’era pesante quella pietra, Simone! In quel
    sasso c’eravamo tutti noi. C’ero anch’io. Con
    i nostri progetti, le nostre esigenze, le nostre
    pretese, le nostre impazienze, i nostri scarti,
    le nostre infedeltà, le nostre esistenze, i nostri
    lagni (compresi, naturalmente, quelli legittimi).
    C’erano i santi e c’erano i peccatori. Quelli che
    hanno le spalle ammaccate da una croce spropositata,
    e quelli che la croce la portano, preziosa,
    dondolante sul petto. C’erano gli umili
    faticatori e i personaggi decorativi sempre
    in vetrina. C’erano gli uomini di fede, e quelli
    di poca fede (anche se sbandierata).
    Perché, come ripete continuamente il mio
    amico Luisito Bianchi, non ci sono due Chiese:
    «ce n’è una sola, lacerata, divisa, egoista,
    peccatrice, idolatra di se stessa; come, d’altra
    parte sono io stesso…». Per cui «si tratta di accettare
    questa Chiesa e, nello stesso tempo,
    contestarla; amarla perdutamente e, nello
    stesso tempo, criticarla in rapporto al mio
    amore; sentirmi solidale con la prostituzione
    ufficiale e, nello stesso tempo, patirne lo schifo
    e la ripugnanza; accettare Pietro così com’è,
    e, nello stesso tempo, non potere aderire alle
    sue interpretazioni e ai suoi gesti…».
    Appartengo anch’io a quest’unica Chiesa,
    anche se soffro quando, nella sua struttura di
    potenza, e negli atteggiamenti di alcuni suoi
    rappresentanti, dà la sgradevole impressione
    di sostituirsi a Dio, di «essere cioè Dio a se stessa».
    La pietra è pesante, e anche noi non siamo leggeri.

    30.11.07
    Pietro, avrai attorno a te i collaboratori sinceri,
    ma anche i cortigiani. Le folle entusiaste
    e gli oscuri faticatori. Adulti responsabili
    e variopinte figure di cartapesta che
    confondono servizio con servilismo, e che
    sgomitano per apparire, lustri, sorridenti,
    “belli”, compiaciuti, al tuo fianco nelle foto
    ufficiali e nelle riprese televisive.
    Avrai gli amici, gli avversari, e gli adulatori
    (che sono i nemici più temibili). Gli obbedienti
    e i ribelli (e molti ribelli militano, debitamente
    mimetizzati grazie agli ossequi
    formali, nelle file degli obbedientissimi e fedelissimi).
    Quelli che si vantano «Pietro è dalla
    nostra parte», e coloro che si sentono tranquilli
    quando ti vedono mescolato alla folla,
    attratto dai volti e non dagli stendardi.
    Quelli che ti esaltano sempre e comunque
    per innalzare se stessi, e quelli che ti cercano
    per camminare insieme sulle orme di Gesù
    di Nazaret.
    I figli che ti fanno soffrire, e qualcuno che fai
    soffrire. In un caso come nell’altro, non c’è
    da fare drammi o abbandonarsi ai piagnistei:
    l’amore comporta necessariamente dolorose
    lacerazioni.
    C’è chi confonde il tuo ufficio, diciamo pure
    servizio, con la tua persona (per esaltarla
    o denigrarla). È il rischio, inevitabile, della
    “visibilità”. Chi fa della pietra un idolo, che
    li calpesta, chi si mette comodamente al riparo,
    chi la usa per bloccare coloro che hanno
    la pretesa di camminare, chi addirittura
    se ne impossessa per scagliarla addosso a
    qualcuno che ha il torto di essere “diverso”,
    chi strumentalizza le tue parole per chiudere
    la bocca a coloro che non la pensano come
    loro. E, fortunatamente, c’è chi prende
    sul serio questa pietra e vi si appoggia con
    tutto il peso della propria libertà. Chi se ne
    serve per prendere slancio, non per rallentare
    il passo.






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    rosa22253
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    00 02/12/2007 00:01
    Dal Giornale del Popolo

    RECENSIONE
    È uscita una nuova pubblicazione dello scrittore e sacerdote Alessandro Pronzato
    Sbucando dal Vangelo gli animali raccontano

    A Castel San Pietro durante un’affollata serata svoltasi venerdì nella sala parrocchiale, c’è stata la presentazione di due volumi di don Alessandro Pronzato: l’edizione di “Vangeli scomodi”giunta alla trentesima ristampa e il recentissimo libro “Gli animali del Vangelo raccontano...”. Il vescovo, in un messaggio inviato ai partecipanti,ha ricordato i numerosi libri dell’autore tradotti in diverse lingue, «che ripercorrono un intenso itinerario umano, pastorale e di adesione a Cristo,proposto da un familiare e pure solenne “pulpito di carta”».Dell’ultima fatica di don Pronzato, pubblichiamo la recensione di Sandro Vitalini.

    L’autore di “Vangeli scomodi” (libro regolarmente ripubblicato da quarant’anni e che trova ancor oggi lettori affascinati da quelle pagine in varie parti del mondo, per cui un po’ da per tutto don Alessandro Pronzato viene identificato con la sua “creatura” più nota; nei paesi d’oltre cortina il volume “rivoluzionario” circolava clandestinamente, e negli ultimi anni, soltanto in Polonia, sono state vendute circa centomila copie), con uno dei suoi colpi a sorpresa, ha fatto uscire gli animali dai testi evangelici - e non solo dal presepe - presentandoci una suggestiva carrellata di questi nostri fratelli minori che la Bibbia (e non solo il Vangelo) ci presenta come attori, protagonisti, coinvolti con noi nell’unica storia della salvezza. Dobbiamo essere grati a questo incomparabile e sempre sorprendente autore: senza il suo intervento, gli animali della Bibbia continuerebbero ad essere quasi totalmente ignorati. Come osserva Paolo De Benedetti: l’Autore «ci rivela tutta la ricchezza di questa, a suo tempo ignorata, teologia (che si potrebbe anche chiamare zooteologia o teozoologia)». Eppure il fatto che gli animali - secondo il racconto sapienziale - vengano creati nello stesso giorno dell’uomo avrebbe dovuto attirare la nostra attenzione. Ma c’è voluta la penna ispirata dell’Autore per punzecchiarci e risvegliarci. Si può tranquillamente consigliare questo libro davvero originale per la meditazione, capitolo dopo capitolo, a cominciare dalle illuminanti riflessioni sull’asino (che sta particolarmente simpatico a don Pronzato) per passare al bue, alla pecora, al gallo… e arrivare anche a quel bestiario che occupa abusivamente la stalla del Vangelo, ed è formato da pavoni, pappagalli, coccodrilli, conigli e compagnia brutta… Difficile estrapolare delle citazioni da un’opera di notevole finezza con abbondanti spruzzate di umorismo e ironia. Si tratta, comunque, di un autentico florilegio di sapienza, tutta da gustare. Come d’abitudine, l’Autore appare provocatorio e sferzante: «Stabiliamo che “per il Signore niente è troppo” e che “per la causa della fede niente è troppo”. E l’ambizione, la vanità, l’ansia di competere sul piano dello spettacolo ci suggeriscono sfarzo, scenari grandiosi, mezzi clamorosi, tecniche d’avanguardia, regie raffinate. Invece l’asino ci suggerisce che per il Signore niente è troppo poco. La causa della fede non progredisce con il “troppo” ma con il “poco” » (p. 17). E, a proposito del bue: «Bisogna rinnegare la fretta e riscoprire la lentezza. Per tracciare un solco profondo, dove sia possibile nascondere il seme, la velocità non serve. Conta piuttosto la regolarità, la costanza» (p. 33). Parlando della pecora, troviamo: «Il peccato non teme nessuna voce terrificante. Trema unicamente di fronte alla voce silenziosa, oserei dire al silenzio assordante, del candore, della debolezza, dell’amore che si dona» (p. 40). Mi permetto di consigliare una meditazione approfondita del capitolo dedicato al gallo, che «abbiamo segregato in cantina» (p. 55) perché disturbava troppo e denunciava i nostri tradimenti. Ma anche quello sugli avvoltoi lascia sconvolti! Ancora una suggestione: «Sì, sarebbe bello che nella Chiesa tornassero le tortore come segno che l’inverno è passato, che la primavera del Concilio non ha lasciato il posto alla foglie secche dell’autunno» (p. 71). L’Autore risulta sempre avvincente nel suo discorso, ma lo diventa ancora di più allorché non esita a spiattellare i fatti di una cronaca recente, nuda e cruda (basti segnalare la polemica sollevata artificiosamente dall’assenza di Zapatero alla Messa del papa, pp. 89 ss.). Proprio in questa linea vengono ricordate persone che «sono considerate “cani” indegni di ricevere l’Eucaristia, anche se tali non sono affatto (penso… a coppie irregolari ma unite da amore autentico e profondo)… In compenso, l’Eucaristia viene data senza difficoltà a dittatori patentati, torturatori notori, mafiosi colpevoli di delitti orrendi, uomini politici spregiudicati» (p. 92). Facendo riferimento alla donna cananea e alle briciole per i cagnolini, l’Autore osserva acutamente: «Avendo trascurato le briciole, si è perso il senso, il gusto e il profumo del pane» (p. 95). A proposito del fattaccio dei porci, troviamo poi questa notazione: «Gesù ti mette davanti a una bilancia. Su un piatto l’uomo, sull’altro duemila maiali… Qual è il valore che risulta prevalente?» (p. 99). Pungentissima e assai intrigante la pagina dedicata ai pesci e quelle sulle sogliole, che lascio alla scoperta del lettore. A proposito di cruna e di cammello: «Il ricco, se vuole salvarsi, deve riconoscere il diritto privilegiato del povero. Presentarsi umilmente dinanzi a lui e chiedergli la cittadinanza nella Chiesa» (p. 107). Prendendo lo spunto dalle colombe, l’Autore fa un elogio della semplicità che ci scuote salutarmente: «Soltanto le persone veramente grandi riescono ad essere semplici » (p. 113). Anche se l’Autore in questione ha scritto, animato da autentica passione, 120 libri, questa non potrà essere ritenuta un’opera “minore”. Siamo di fronte, infatti, a un volume di respiro profetico e di solida sostanza spirituale. Mi verrebbe da augurare che questo libro, oltre alla diffusione che merita, fosse oggetto di dibattiti, in modo da offrire ai lettori la possibilità di porre domande direttamente all’Autore e discutere insieme sulle varie questioni che vengono sollevate. Sarebbero sicuramente incontri assai utili ed arricchenti. A parte ciò, tuttavia, credo che una lettura attenta e meditata di quest’opera, più che alla sala di un dibattito, porterà… al confessionale. Magari spinti e pungolati dagli animali!
    SANDRO VITALINI
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    rosa22253
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    00 11/12/2007 22:36
    Regalo per l'Avvento

    LA CASA E LA VECCHIA ZIA

    Adesso che è ritornato [il figlio prodigo], posso anche pormi [fratello maggiore] esplicitamente la domanda che ho sempre tenuto fra i denti: perché se n'è andato?
    Mi accorgo che è più facile spiegare perché ha fatto ritorno.
    Eppure bisogna pur rispondere a quell'altra domanda: perché se n'è andato.
    Se mi fossi rivolto a lui per chiedergli le ragioni del suo malcontento e gli avessi buttato la domanda: "Che cosa c'è?", probabilmente mi avrebbe risposto come il soldato di un romanzo di Bruce Marshall che va a confessarsi da padre Campbell: "Che cosa non c'è!".
    Già. Che cosa non c'è nella Casa del Padre. Che cosa non c'è per colpa mia.
    Uno degli interpreti più appassionati della parabola, don Primo Mazzolari, mette in bocca al prodigo queste parole che riassumono tutta la sua rivolta:
    - Qui soffoco!
    Se ne va. Perché qualcuno gli ha avvelenato l'aria della Casa. E lui ha l'impressione di soffocare.
    I campi non gli bastano. E neppure i buoi. Ne, tantomeno, i mattoni della Casa. Si sente schiacciato dalla meschinità, dalla grettezza di coloro che vi abitano, dalla mia meschinità.
    Si guarda attorno. "Questi esseri curvi che camminano nella vita di sbieco e con gli occhi bassi, queste anime sgangherate, questi calcolatori di virtù, queste vittime domenicali, questi timidi devoti, questi eroi linfatici, questi teneri bebé, queste vergini sbiadite, questi vasi di noia, questi sacchi di sillogismi, queste ombre di ombre ..." (E. Mounier). Può essere un campionario (incompleto) delle "pietre vive" che compongono la Casa.
    In tal caso, quando l'ideale viene incarnato in una realtà così deludente, non c'è da stupire che qualcuno senta prepotente il bisogno di aria libera, scavalchi il muro di cinta e se ne vada a consumare le strade.
    Ma la spinta decisiva gliel'ho dato io.
    Forse, più che una pastorale su "come avvicinare i lontani", urge una pastorale sul "come non fabbricare i lontani".

    La vecchia zia

    Come immaginiamo, come presentiamo la Casa del Padre?
    Il modello, sovente, è dato da certe case antiche, aristocratiche.
    Dentro, tutto roba di classe. Mobilio artistico. Tappeti persiani. Vasellame cinese. Quadri d'autore. Ritratti (tanti, troppi), cimeli, medaglie di antenati. Museo. Archivio. Vi si conservano, gelosamente, le glorie del passato.
    In certe stanze è vietato rigorosamente l'ingresso. Da un'altra parte non si può andare perché è stata data la cera sul pavimento.
    Finestre chiuse. Imposte chiuse. Perché il sole potrebbe rovinare i delicati tendaggi.
    Aria che sa di muffa, di chiuso, di antichità. Non si respira. Pare di soffocare.
    Cartelli da tutte le parti: non toccare, non entrare, proibito far questo, vietato far quell'altro, attenti alle scarpe sporche ...
    Guai ad alzare la voce, a cantare. C'è la vecchia zia, acida, bisbetica, che soffre di nervi ... E detesta la musica moderna. Adora Bach.
    I discorsi, noiosissimi. Sempre le stesse cose. La stessa solfa. Ripetizione delle glorie del passato e recriminazioni sul presente:
    - Dove andiamo a finire? Ai miei tempi ...
    Soprattutto: atteggiamento di superiorità e di disprezzo per quelli che sono fuori, che non godono dei nostri privilegi, che non hanno il nostro sangue nelle vene, che non possono vantare il nostro blasone, una razza inferiore ...
    Guai se i figli del vicino mettono i piedi in questa casa. Potrebbero sporcare, potrebbero turbarne l'ordine rigorosamente stabilito.
    Non abbiamo un po' la tentazione a ridurla così la Casa del Padre?
    Una Casa di privilegiati, una specie di museo, di archivio. Tutto in ordine. Tutto già predisposto. Soprattutto, nessuna novità. Si è sempre fatto così. Milioni di proibizioni.
    Un cerimoniale esatto da osservare. Tutto rigidamente stabilito. Manca l'atmosfera che dia la gioia di viverci.
    Invece dovrebbe essere una Casa dalle finestre e dalle porte spalancate. Senza visi arcigni a custodirla. Una Casa in cui tutti dovrebbero trovarsi a loro agio. Nessuno sentirsi impacciato.
    Poter ridere, scherzare e ... fare capriole.
    In cui non dico sia lecito disegnare i baffi al ritratto dell'antenato che ha partecipato alla battaglia di Lepanto, ma perlomeno è possibile appendere quadri nuovi, con personaggi di attualità.
    In cui si ha il coraggio di mettere in soffitta le suppellettili che non servono più.
    In cui la storia la scriviamo anche noi.
    In cui la vecchia zia, acida, bisbetica, che soffre di nervi, con le sue manie, le sue crisi, le sue fissazioni, non condiziona la vita di tutti, non blocca la vita degli altri.
    Le vogliamo tutti bene a questa vecchia zia. La curiamo, se ha bisogno. Ma ci lasci vivere. Ci lasci lavorare. Ci lasci respirare. Non ci tolga la gioia di vivere. E se strilla, lasciamola strillare.
    Non le metteremo certo le puntine da disegno sulla poltrona preferita e nemmeno la fotografia della cantante alla moda nel suo libro di devozioni, ma non asseconderemo più le sue paturnie.
    E se grida:
    - Dove andiamo a finire?
    grideremo più forte:
    - Avanti!

    ---------------

    Il pastore che ha ritrovata la pecora sbandata «tornato a casa, convoca gli amici e i vicini e dice loro: "Rallegratevi con me ..."» (Lc 15,6)
    La donna che ha ritrovato la dramma smarrita «convoca amiche e vicine dicendo: "Rallegratevi con me"» (Lc15,9).
    Il padre esce in un'espressione ancora più grande: «... Era necessario far festa e rallegrarsi»
    Era necessario. Come dire: era giusto.
    E io, da principio, non comprendo. Mi ritiro in un angolo a mugugnare. Ma poi capisco che è triste appartenere alla schiera dei «novantanove giusti i quali non hanno bisogno di penitenza». I giusti che non hanno bisogno di penitenza appartengono a una specie fossile.
    E' terribile non sentire il bisogno di fare penitenza. Vuol dire rifiutare di essere creatura. Significa non conoscere mai l'ampiezza della misericordia di Dio. E allora mi sento invadere dalla nostalgia di quell'abbraccio. Corro incontro al Padre e gli butto le braccia al collo.
    - Perdonami di esserti stato fedele senza amore.


    dal libro "Vangeli scomodi" di Alessandro Pronzato
    [Modificato da rosa22253 11/12/2007 23:08]
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    rosa22253
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    00 04/01/2008 20:54
    Da Vogliamo vedere Gesù ... di Alessandro Pronzato
    dal Giornale del Popolo


    3.1.08
    Maurice Zundel, singolare prete svizzero
    (1897-1975) definito da papa Paolo VI
    «mistico, prete, filosofo, teologo, liturgista,
    poeta» implorava: «Mostrate Dio! Se
    non è vivente in noi, se questo non cambia
    niente nella nostra vita, se la nostra vita
    non è appassionata, magnifica, creatrice,
    perché gli altri dovrebbero sentirsi sollecitati
    a cercare un Dio che non cambia
    niente?… Se Cristo non è la nostra gioia,
    come potremmo convincere gli altri che
    può diventare la loro?».
    Simone Azzam-Boulad dichiarava: «Non
    dobbiamo difendere Dio, dobbiamo viverlo…
    Noi continuiamo l’Incarnazione,
    dobbiamo essere il Cristo di oggi. Chiunque
    ci incontra deve sentirsi promosso,
    arricchito, rivelato a se stesso».
    4.1.08
    Zundel, secondo quanto assicura André Haquin,
    «per tutta la vita sarà un cercatore di Dio,
    infinitamente rispettoso dell’uomo, appassionato
    della libertà, preferendo la testimonianza
    all’apologetica».
    A proposito di “apologetica”. Devo confessare
    che è una materia che non mi ha mai convinto.
    Mi sembra irrispettosa proprio nei confronti
    di quel Dio che vorrebbe difendere. Ma Dio
    si difende da solo, non ha bisogno di difensori
    d’ufficio patetici e spesso assai poco convincenti.
    Certi apologeti d’oggi, per partito preso, e per
    mestiere (del resto, ben retribuito), nonostante
    la loro virulenza, e proprio a causa della loro
    virulenza e dei veleni che sprizzano nei confronti
    degli avversari, rivelano soltanto la desolante,
    scarsa familiarità con Dio.
    Per finire, ancora una provocazione di Maurice
    Zundel: «Il nome di Dio per alcuni si è trasformato
    in ostacolo al credere in Dio. Molti infatti
    – certo per ignoranza, per una tragica incoscienza
    mescolata magari a troppo zelo –
    molti hanno prestato a Dio il loro volto, lo hanno
    costretto nei loro limiti e grettezze, nei loro
    pregiudizi e nei loro interessi, o lo hanno
    modellato secondo i loro bisogni; insomma, lo
    hanno reso troppo simile a noi, tanto da sembrare
    un idolo agli occhi di anime rispettose del
    mistero!».
    Come a dire che noi abbiamo la possibilità di
    lasciar almeno intravedere (manifestarlo totalmente
    è impossibile) il vero volto di Dio, ma
    anche, purtroppo, di mettere in circolazione il
    volto deformato, l’orribile caricatura.
    ************************************************************************************


    BENEDETTO COLUI CHE VIENE NEL NOME DEL SIGNORE!

    "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa"

    Mt 16,18





    La strada è lunga, ma non esiste che un mezzo per sapere dove può condurre, proseguire il cammino.
    (don Tonino Bello)


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    rosa22253
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    Registrato il: 23/06/2005
    Utente Veteran
    00 05/01/2008 18:33
    dal Giornale del Popolo del 5.1.08

    l'Epifania
    LA SFIDA DI CERCARE LA FELICITÀ
    di SUOR CHIARA NOEMI*

    Nel tempo di Natale la manifestazione del Figlio di Dio è costantemente accompagnata dal segno della luce: una luce visibile che risplende nella notte e una luce interiore che dà agli uomini la capacità di vedere dentro le più piccole e umili realtà umane la presenza del divino. Anche la festa dell’Epifania ci presenta il segno della luce nella stella che guida i Magi verso la grotta di Betlemme dove essi vedono «il Bambino e sua madre» (Mt 2,11). Chissà quante volte i Magi, che la tradizione ci dice essere dei sapienti, forse astronomi d’Oriente, avranno scrutato il cielo per studiare le stelle. Dentro il loro quotidiano indagare i misteri della natura c’era però una ricerca ben più grande, un desiderio di infinito, una sete di sapienza che non si poteva esaurire nella misura limitata della loro ragione. Erano uomini veri che nelle loro occupazioni quotidiane attendevano un “di più” dalla vita, una risposta ai loro interrogativi: per questo hanno saputo riconoscere, in una notte stellata apparentemente uguale alle altre, la stella a lungo desiderata. I Magi sono l’emblema del desiderio che abita ogni cuore umano, al di là della condizione sociale, della razza, della cultura ed essi annunciano anche a noi oggi la buona notizia che Cristo è il Salvatore di ogni uomo. Questa è la grande speranza che promana anche dalla festa dell’Epifania: Dio nel suo grande amore ha voluto manifestarsi nella fragilità dei segni umani perché ogni cuore potesse riconoscerlo. Il segno in cui si cela il Mistero del Figlio di Dio non è mai uguale per tutti, perché in un certo qual modo si adatta alla capacità di comprensione dell’uomo usando il suo stesso linguaggio. Certo a noi forse può apparire strano che Dio usi una stella per far camminare i Magi verso la Verità; questo, però, è il modo di agire di Dio. Ogni incontro con la Verità nasconde un paradosso, una contraddizione che esige un’adesione nella fede. «I tre Magi, chiamati dai loro lontani paesi, furono condotti da una stella a conoscere e adorare il Re del cielo e della terra. Questa stella ci esorta particolarmente a imitare il servizio che essa prestò, nel senso che dobbiamo seguire, con tutte le nostre forze, la grazia che invita tutti al Cristo» (S. Leone Magno). La grandezza dei Magi è proprio nell’aver accettato la sfida di uscire dalla propria logica, dalle sicurezze, dalla terra amata e conosciuta, per entrare nella grotta di Betlemme dove vedono la Sapienza incarnata che colma il loro cuore di stupore e di gioia grande. Solo un cuore umile e ben disposto è in grado di riconoscere il Figlio di Dio e di seguire quanto Lui indica in un cammino che non ha mai fine. I Magi, infatti, una volta incontrata la Verità, sono chiamati a ripartire «per un’altra strada» (Mt 2,12), ossia nella novità di un incontro che li ha cambiati dal di dentro e li rende testimoni perché altri possano credere e trovare la felicità.

    *Monaca Clarissa di Cademario
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    rosa22253
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    Registrato il: 23/06/2005
    Utente Veteran
    00 11/01/2008 14:29
    Da Vogliamo vedere Gesù ... di Alessandro Pronzato
    dal Giornale del Popolo

    11.1.2008
    La Maddalena, recatasi al sepolcro, e avendolo
    trovato vuoto, è presa da sgomento ed esclama,
    quasi disperata: «Hanno portato via il mio
    Signore e non so dove lo hanno posto…» (Gv
    20, 13).
    Possiamo leggere il tutto anche in chiave simbolica.
    Maria di Magdala deve accettare, prima
    di tutto, di perdere il suo Signore.
    Paradossalmente, per trovare Dio, bisogna perderlo.
    J. Guitton, nel suo stupefacente “Testamento
    filosofico”, dichiara “scandalosamente”:
    «Ciò che manca maggiormente ai nostri cristiani
    è di essere atei». E precisa: «Per quel che mi
    riguarda, sono ateo del Dio di Nietzsche, del
    Dio di Marx, del Dio di Freud. Un ateo esultante,
    un ateo empio». Io aggiungerei: ateo del Dio
    di certi devoti, del Dio di certi “crociati”, del Dio
    di certi polemisti forsennati, atei del Dio di certi
    apologeti spudorati, del Dio di certi cristiani
    musoni, del Dio di certi moralisti dal cuore
    di pietra.
    Maria di Magdala si apre alla sorpresa di un Dio
    “irriconoscibile” rispetto a quello del passato.
    È importante, indispensabile anche per noi
    “rinnovare” il volto di Dio. Forse l’immagine cui
    leghiamo la nostra fede e la nostra pietà è coperta
    dalla patina grigia dell’abitudine, che ha
    tolto splendore, bellezza, fascino a quel volto.
    La distrazione, la sbadataggine, l’hanno reso
    scolorito, privo di espressività.
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