Da
Tu solo hai parole ... di
Alessandro Pronzato
dal Giornale del Popolo
6.11.07
E propongono anche quello che chiamano “itinerario”.
Più che altro una innocua, e bene vigilata
escursione nel cortile domestico, e che
assomiglia tanto a quei percorsi regolari di
compìti ecclesiastici, che recitano il breviario
avanti e indietro lungo un corridoio, un chiostro,
o un vialetto, dove le uniche difficoltà sono
rappresentate dalla ghiaietta che accarezza
le suole o la cera che potrebbe compromettere
l’equilibrio.
Siamo sul versante opposto rispetto al “venite
e vedrete” del Maestro. Gesù, infatti, propone
una strada, lungo la quale si costruisce – dal
di dentro – un credente, non uno stampo che
sforna discepoli multipli e rassomigliantissimi
(soprattutto nell’insignificanza). Tutti senza difetti,
incluso quello, imperdonabile, di essere
se stessi. Tutti “già visti” e previsti e prevedibili.
Diligenti fattorini, costruiti in serie, non certo
inattesi banditori della bella notizia.
Non è sempre colpa loro (anche se ognuno ha
il mastro che si merita). Scontano la pochezza
accoppiata alla presunzione di addestratori
improvvisati, i quali fingono di ignorare che
gli schemi non sono scorciatoie verso il Cristo
(non esistono scorciatoie per quell’incontro),
ma complicazioni che tolgono il guato della ricerca,
annullano la possibilità della sorpresa,
amputano il senso dello stupore. Per non parlare
dei vecchi volponi, di lungo pelo, che strumentalizzano
i discepoli in funzione dei loro
interessi inconfessati e inconfessabili.
7.11.07
Le scuole di certi pseudo educatori – anche se
tanto celebrati – sfornano allievi che non hanno
mai subito il fascino del Maestro, non sono
mai passati attraverso la fase dell’innamoramento,
ma ne hanno imparato la lezione attraverso
aridi e sbrigativi riassunti che ne hanno
disseccato la freschezza originale, fatto evaporare
il profumo, ammorbidito la forza provocatoria.
Gesù forma degli uomini familiari col fuoco,
non dei festaioli gratificati da programmi che
si concludono immancabilmente con lo spettacolo
dei fuochi artificiali.
Lui non tiene dei posti da assegnare ai suoi
amici. I posti sono già stati assegnati dal Padre.
Ma verranno occupati alla fine, a missione conclusa.
Per adesso c’è un invito (o un comando): “Venite”.
Tra poco ne scoccherà un altro: “Andate”.
Tutti verbi di moto, incaricati di sloggiare
le persone, disinstallarle. Niente che richiami
l’immagine del nido o della tana.
Certo, ci sarà anche il “dimorate nel mio amore”
(Gv 15,9). Ma ciò comporterà, inevitabilmente,
il rischio di indossare le misure del
mondo e percorrere le strade impervie degli
uomini.
Certi maestri fabbricano allievi “rassicuranti”,
in cui potersi riconoscere e compiacere. Gesù
mette in piedi uomini nuovi, “irriconoscibili”,
di cui tutti si possono fidare.
Tutto sta a precisare che cosa si intenda quando
si parla di “affidabilità”. E anche di “docilità”.
8.11.07
Il compito del testimone non è quello di consegnare
un’esperienza già confezionata e collaudata,
conclusa e definita, semplicemente da
ripetere, ma di indirizzare sulla strada giusta,
orientare discretamente la ricerca, dare magari
qualche robusto scossone quando ci sono involuzioni
in direzione di idoli e miraggi, rispettando
sempre la libertà delle persone e stimolando
la responsabilità.
Il testimone non offre sicurezze, ma stimoli. Pochi
chiodi fissi, e un uso frequente di pungoli.
Gesù assicura che ci saranno sempre molte
strade su cui camminare. Cose da vedere e scoprire,
orizzonti su cui aprirsi, aurore da salutare
con occhi colmi di stupore, approdi impensati
da cui lasciarsi attrarre.
Gesù, in un testo di Luca, dirà: «Le volpi hanno
le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi,
ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo
» (9,58). Ecco le sicurezze che è in grado di
offrire il Maestro! Altro che i posti… Lui garantisce
posti all’aperto, sempre provvisori.
Lui «non ha dove posare il capo». Ossia, non
si porta dietro né la casa, né un guanciale. Perché
vive nella certezza che ci sarà sempre, lungo
un cammino, un sasso un mucchio di foglie.
L’unica sicurezza che Gesù garantisce ai propri
amici è l’insicurezza della strada.
A chi intende camminare, e non ha paura di
scorticarsi i piedi, non mancherà mai la strada…
9.11.07
Il compito del testimone non è quello di consegnare
un’esperienza già confezionata e collaudata,
conclusa e definita, semplicemente da
ripetere, ma di indirizzare sulla strada giusta,
orientare discretamente la ricerca, dare magari
qualche robusto scossone quando ci sono involuzioni
in direzione di idoli e miraggi, rispettando
sempre la libertà delle persone e stimolando
la responsabilità.
Il testimone non offre sicurezze, ma stimoli. Pochi
chiodi fissi, e un uso frequente di pungoli.
Gesù assicura che ci saranno sempre molte
strade su cui camminare. Cose da vedere e scoprire,
orizzonti su cui aprirsi, aurore da salutare
con occhi colmi di stupore, approdi impensati
da cui lasciarsi attrarre.
Gesù, in un testo di Luca, dirà: «Le volpi hanno
le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi,
ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo
» (9,58). Ecco le sicurezze che è in grado di
offr-re il Maestro! Altro che i posti… Lui garantisce
posti all’aperto, sempre provvisori.
Lui «non ha dove posare il capo». Ossia, non
si porta dietro né la casa, né un guanciale. Perché
vive nella certezza che ci sarà sempre, lungo
un cammino, un sasso un mucchio di foglie.
L’unica sicurezza che Gesù garantisce ai propri
amici è l’insicurezza della strada.
A chi intende camminare, e non ha paura di
scorticarsi i piedi, non mancherà mai la strada…
12.11.07
Oggi, a un individuo che cerca con serietà, pare
non sia troppo prudente rivolgere l’invito:
“vieni e vedi”. Meglio non veda, non sappia,
non sospetti.
Non è consigliabile che entri in certe chiese dove
si celebrano liturgie da cui il bello si astiene.
Bisogna evitare che ascolti certe aride omelie,
capaci di spegnere la più timida scintilla di interesse.
Occorre raccomandargli di non ascoltare certe
trasmissioni religiose, scoraggianti e indisponenti.
Conviene non abbia tra le mani certi giornali
“nostri”, che riproducono in maniera sfacciata
unicamente la voce del “loro” padrone.
È salutare che si tenga alla larga da certa “buona
stampa” di una mortificante piattezza e
conformismo.
Meglio non scopra il vuoto che sta dietro alle
dichiarazioni ufficiali.
Meglio non veda l’ipocrisia, la meschinità, le
incongruenze, i vergognosi compromessi, i ricatti,
le feroci invidie, gli spregiudicati giochi
di potere nascosti sotto l’etichetta del nome di
Dio.
Meglio non accerti la distanza abissale rispetto
al Vangelo dei comportamenti, gesti, mentalità
di chi ha sempre in bocca il Vangelo e lo
chiama in causa soprattutto per faccende che
hanno ben poco a vedere col suo messaggio.
13.11.07
Insisto. Uno che cerca seriamente è meglio si
mantenga a distanza di sicurezza in modo da
non avvertire il puzzo di denaro sospetto che
ammorba l’aria di certe “opere di bene”.
Meglio non abbia la possibilità di verificare la
latitanza totale di gratuità dal Dono che viene
presentato.
Meglio non accerti l’inconsistenza di certe facciate,
la pochezza (anche sul piano umano) di
certi personaggi che dominano la scena ecclesiale.
Meglio non si renda conto che qualcuno dice
“servizio” e pensa “potere”.
Meglio non si accorga che certe case, certe persone
sono “disabitate”. Disabitate da Lui (ne è
stato sfrattato silenziosamente). Anche se si sono
moltiplicati i simboli che fanno riferimento
a Lui.
O, forse, no. È meglio non risparmiargli questa
esperienza mortificante e deludente al tempo
stesso, la quale, in fondo, rappresenta una
tappa fondamentale di avvicinamento a Lui,
l’unico che non delude, l’unico che può dire
tranquillamente: «vieni e vedi».
E, dopo, puoi gettare uno sguardo di benevolo
compatimento verso tutte le contraffazioni,
anche le più sfacciate.
In fondo, potrai dire: «So in chi ho riposto la
mia fiducia».
14.11.07
«Erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv
1,39). Nel Prologo si parla del Verbo che è “al
principio” (1,1). Dunque, il Verbo preesistente
da tutta l’eternità, che si colloca fuori del
tempo, a un certo punto entra nella storia degli
uomini (evito il verbo “irrompe”, caro a tanti
pappagalli che lo usano a proposito e, più
spesso, a sproposito), diventa avvenimento
nella cronaca di un gruppetto di individui, si
inserisce nel quadrante del loro orologio: «Le
quattro del pomeriggio» (per gli ebrei, l’ora decima).
Dio infila il viottolo di un villaggio, desideroso
di camminare in compagnia degli uomini,
provocare incontri personali, scambiare confidenze.
Non c’è nessuna scuola, nessuna accademia,
nessun noviziato o seminario, che possano sostituire
questa ora: «le quattro del pomeriggio».
Puoi passare tutta la vita sui libri, trascorrere
decenni a imparare ed esercitare le virtù, ma
se manchi l’appuntamento delle “quattro del
pomeriggio” hai perso tempo.
Uno si prepara tredici anni in seminario, e magari
mezza dozzina supplementare in una facoltà
teologica, ma è prete soltanto se si accorge
che sono scoccate le “quattro del pomeriggio”
e che, proprio a quell’ora, nella vita si è
prodotto un fatto insolito, sconvolgente. È successo
qualcosa di unico, è successo Qualcuno.
15.11.07
A scuola si imparano “certe cose” e ci si addestra
a dire “quelle cose”. Poi, però, ti accorgi che
ciò che è decisivo, nella fede, è la risposta a Uno
che “passa”, è il contato diretto con Lui nella
trama del quotidiano, è il sentirsi toccato da
una parola nella carne e nel sangue, un parola
che provoca un sussulto, un fremito nel cuore,
è una esistenza che viene sconvolta e rimane
incendiata da una scintilla che è scoccata
in un momento preciso.
E allora ti rendi conto che la fede non la trasmetti
come un “deposito”, o come un sapere,
ma attraverso una parola viva, bruciante, che
accende nell’altro un desiderio, risveglia una
nostalgia. E le parole dell’annuncio non sono
quelle imparate sui testi, bensì quelle che sgorgano,
incontenibili, dall’esperienza sconvolgente:
«Abbiamo trovato il Messia!» (Gv 1, 41).
Non una dottrina, una lista di cose da credere,
ma una scoperta. La lampada di Dio non si
spegne nel Tempio (1Sam 3,3) fintantoché ci
saranno uomini disposti a lasciarsi incendiare
lo sguardo e a portare quella fiamma lungo
le strade del villaggio o della metropoli. Voglio
dire, portarla negli occhi. Senza escludere la luce
abbagliante della vita di Damasco, che provoca
la caduta da cavallo, il passaggio di Dio
che trasforma un’esistenza, normalmente viene
percepito dal trasalimento di un cuore.
16.11.07
Dio, abitualmente, taglia bruscamente la strada
a una persona. Abitualmente, però, preferisce
“passare”, e sentire che qualcuno, disposto a veder
chiaro, sta muovendo i piedi… per non andare
da un altro.
***
Dunque, nel caso dei primi discepoli, si tratta delle
“quattro del pomeriggio”. Tuttavia non è necessario
ricordare con precisione il giorno e l’ora.
Charles de Foucauld, a proposito della propria
conversione clamorosa, inattesa, indicava, vagamente,
un giorno di “fine ottobre” (1886) .). E
nemmeno il suo confessore, l’umile abbé Huvelin,
strumento della grazia per quel capovolgimento
improvviso, era in grado di ricordare con
esattezza quel giorno (e allora non usava, da parte
dei confessori, concedere o sollecitare interviste
per pubblicizzare i propri interventi “provvidenziali”
nel caso di personaggi famosi, con lo
scopo di costruirsi il proprio monumento di popolarità).
Ciò che importa, piuttosto, è documentare come
l’incontro con Cristo abbia tracciato una specie
di confine, una linea spartiacque tra un “prima”
e un “dopo”.
Paolo, in alcune sue lettere, presenta una dialettica
oscillante tra “un tempo…” e “ora”. «Ricordatevi
che un tempo voi… eravate senza Cristo,…
senza speranza e senza Dio in questo mondo. Ora,
invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate
i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di
Cristo» (Ef 2, 11-13). Ancora: «… Voi che un tempo
eravate stranieri e nemici con la mente intenta
alle opere cattive che facevate, ora egli vi ha riconciliati…
» (Col 1,21-22). Infine: «Anche noi un
tempo eravamo insensati… Quando però si sono
manifestati la bontà di Dio… e il suo amore
per gli uomini…» (Tt 3,3-4).
19.11.
Clemente Rebora, il più grande poeta religioso
italiano del Novecento, parla del tempo trascorso
prima della conversione come di un
tempo caratterizzato dal “campare”. Dopo, invece,
inizia la vita, come un’infanzia: «La tenerezza
del Divin Cuore, /… me, che da nove lustri
già campavo / ma vita avevo da due anni
appena, / rifece infante a scuola del vivente».
Consiglio vivamente ai lettori di prendere in
mano il libro delle sue “Poesie” (Garzanti) e
percorrere lo stupendo, affascinante “Curriculum
vitae”, in cui compare il momento decisivo
allorché «La Parola zittì chiacchiere mie».
Oggi ci sono “convertiti” che sorvolano sul loro
“prima” (l’umiltà non appartiene al loro repertorio),
e quanto al “dopo” non ne fanno alcun
cenno, impegnati come sono a vivere di
rendita grazie alla fama di convertiti, per cui
non hanno tempo per dimostrare che cosa sono
diventati dopo l’incontro con Cristo (sarebbe
un discorso piuttosto imbarazzante…).
Il cardinal Joseph Ratzinger faceva un’osservazione
assai interessante: «Il limite prima-di-Cristo
e dopo-Cristo non è un confine tracciato
nella storia o sulla carta geografica, ma è un segno
interiore che attraversa il nostro cuore. Finché
viviamo nell’egoismo, siamo ancora oggi
coloro che vivono prima-di-Cristo».
Si tratta di una provocazione che non possiamo
certo eludere: possiamo dire che nella esistenza
esiste un “prima-di-Cristo” e un “dopo”,
che caratterizza il nostro presente?
20.11.
«Videro dove abitava…» (Gv 1, 39). Qualche
consiglio sottovoce. Attento a non sbagliare indirizzo,
e attento soprattutto ai falsi indirizzi
che qualcuno ti rifila. Devi puntare dove abita
Lui, e quindi non accontentarti delle adiacenze,
delle dépendances, delle anticamere dei
vari palazzi che pretendono avere a che fare
con Lui.
Non abita nelle sacrestie, e nemmeno, necessariamente,
in chiesa. Osserva Luisito Bianchi:
«Ci sono chiese un po’ ovunque, ad ogni passo.
Ma il sacro non è più dentro; è uscito e circola
nelle vie dove c’è un passante ed è chiuso
in ogni stanza dove c’è un uomo».
Lui non sta nelle piazze, negli stadi, dove si allestiscono
grandiosi e impeccabili spettacoli religiosi.
Dove crepitano gli applausi, Lui si sente
imbarazzato e si allontana perché sospetta
ci sia, alla base, un colossale equivoco.
Non lo trovi nelle statistiche, nelle inchieste, nei
grandi numeri. Si direbbe che i grandi numeri
gli vadano un po’ stretti…
Non lo trovi nei trionfi. Lui si accompagna ai
vinti, ai profeti umiliati, diffamati, perseguitati
e derisi. Oserei dire che sta dalla parte di quelli
che vengono considerati “eretici” dagli ottusi
burocrati dell’ortodossia. Ama i “dissidenti”
per esigenza di fedeltà al Vangelo.
21.11.07
Lui è schierato con quelli che perdono le loro
battaglie contro i potenti del giorno.
Lui sta alla larga dai luoghi dove domina il denaro.
Non si interessa di politica, di potere, di
carriere.
Lui predilige la non appariscenza. Le opere colossali
non hanno niente a che vedere con Lui.
Abita, piuttosto, nella solitudine, in disparte
dalla folla.
È assente dai dibattiti, dalle polemiche astiose,
estraneo alle manifestazioni di massa.
Lui abita il silenzio, non il chiasso stordente.
Lui abita la vita reale, il quotidiano, la fatica,
la durezza dell’esistenza.
Abita nei volti delle persone apparentemente
insignificanti che incontri, e non in quelli, “mascherati”,
dei personaggi.
Lo trovi lontano dai riflettori, in una stanza d’ospedale,
nel corridoio di un ospizio, in una famiglia
qualsiasi, abbandonato su una panchina
dove qualcuno va a deporre la propria sfinitezza.
Non abita nei cenacoli devoti, dove non entrano
i problemi reali. E neppure nelle élites settarie,
nei club dove si coltivano fanatismi.
Lui abita la semplicità, la modestia, la povertà,
l’incognito, la piccolezza, la marginalità.
Lo trovi nelle pieghe, negli angoli, nella clandestinità.
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BENEDETTO COLUI CHE VIENE NEL NOME DEL SIGNORE!
"Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa"
Mt 16,18
La strada è lunga, ma non esiste che un mezzo per sapere dove può condurre, proseguire il cammino.
(don Tonino Bello)
ANDIAMO AVANTI!