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IL GIORNALE
20 giugno 2007
Pubblichiamo l’editoriale che apparirà sul prossimo numero di MicroMega, la rivista della sinistra critica, con il quale si chiedono le dimissioni di D'Alema.

Nei mesi scorsi più di un lettore si è fatto vivo per chiedere che nella rivista si tornasse a dare più spazio alla politica. Quasi del tutto e solo alla politica è dedicato in realtà questo numero (cos’altro è, se non politica, anche il «Gesù» di Ratzinger?). Ma probabilmente a molti lettori non basterà: intendevano politica in senso stretto, dunque più spazio al partito democratico, al governo Prodi, a cose del genere. Vorremmo farlo, talvolta. Ma ormai, e sempre più, ci mancano le parole. Di fronte a ciò che ogni giorno il centro-sinistra, nei suoi più alti esponenti, omette o fa, dichiara o smentisce, non abbiamo parole.

Massimo D’Alema ha chiesto di essere intervistato dal telegiornale più importante di Berlusconi (il Tg5 di Rossella), per poter dichiarare di fronte a milioni di cittadini che a pensarci bene, e a rileggere i testi delle sue telefonate con Consorte, non ci trovava nulla di moralmente disdicevole (e nulla di penalmente rilevante, ça va sans dire). Rileggiamole insieme, allora, quelle telefonate, forse il leader maximo ha dimenticato qualcosa. Sta parlando con Giovanni Consorte: «Ho parlato con Bonsignore... Dice cosa deve fare. Se uscire o restare un anno... Se vi serve, resta... Evidentemente è interessato a latere in un tavolo politico». «Chiaro» risponde Consorte, «nessuno fa niente per niente».

Siamo così certi che i comportamenti a cui alludono in modo smaccato queste frasi non abbiano un rilievo penale? Cosa vuol dire, da parte di un finanziere, che è anche deputato (e anche pregiudicato, ma questo a D'Alema, siamo certi, sembra moralmente e politicamente irrilevante, e il nostro rilevarlo, anzi, fanaticamente giustizialista) essere disposto a restare o andarsene in una combinazione finanziaria, secondo i desiderata che gli comunicheranno D'Alema e Consorte, in cambio («nessuno fa niente per niente») di un tavolo politico a latere? Chiunque legga senza pregiudizi pensa a una compensazione, a un imprecisato (nei contenuti) ma inequivocabile (nel genere) do ut des politico-finanziario. E se tale genere di scambio, qualora avvenga tra un candidato e un cittadino, costituisce certamente reato, qualora avvenga tra due deputati dei due schieramenti avversi e un finanziere «in scalata», siamo certi che sia penalmente irrilevante?

Il cittadino senza pregiudizi si aspetta come minimo che la magistratura indaghi e approfondisca, poiché proprio D'Alema (e proprio nell'intervista al Tg5) ha vigorosamente ricordato che l'azione penale è obbligatoria. E se poi si scoprisse che il «fare qualcosa per qualcosa» (questo significa «nessuno fa niente per niente»), e nella fattispecie qualcosa di politico per qualcosa di finanziario, se riguarda i rappresentanti della nazione non costituisce reato (in quindici anni di inciuci il nostro codice penale e procedurale è stato ridotto a un colabrodo di impunità), sarebbe moralmente (e politicamente) davvero irrilevante? Se D'Alema questo pensa, vuol dire solo che ormai tra la sua sensibilità morale e quella di un elettore democratico, anche il più avvezzo a condividere con Machiavelli che la politica non si fa con i paternoster, passa ormai un incolmabile abisso. E aggiungiamo, che un ministro degli Esteri che nell'offrire passaggi negli aerei di Stato ai giornalisti che per dovere d'ufficio lo devono seguire, discrimina un quotidiano per «punirlo» di averlo criticato (è successo con La Stampa di Anselmi), in una qualsiasi democrazia anglosassone (ma forse europea) avrebbe già dovuto dimettersi. Qui tanta indecenza fa appena notizia (del resto, perché i giornalisti delle altre testate non sono immediatamente scesi dall'aereo per solidarietà col collega?).

Ecco perché siamo senza parole. Negli Stati Uniti il braccio destro del vicepresidente viene condannato a due anni e mezzo di carcere per una sola menzogna di fronte a un magistrato, e il presidente della banca mondiale deve alla fine dimettersi per un modesto favore fatto alla propria amante. In Italia il governo di centro-sinistra, non pago dell'indulto che ha reso immacolato quasi ogni crimine di establishment, sta per approvare la mordacchia ai giornalisti che vorranno ancora informarci. A Ballarò, il non certamente progressista Luttwak definisce tale legge «fantastica», nel senso che negli Usa non sarebbe neppure immaginabile, e ricorda che in quel paese (a chiacchiere osannato e sviolinato da tutti i nostri politici) i giornalisti le inchieste (scomodissime per i politici, come più di un Presidente sa) le fanno prima dei magistrati. Ma il governo Prodi è troppo impegnato a varare la «riforma» Mastella contro la giustizia (con Rifondazione che nell'aggredire l'autonomia della magistratura sembra voler disputare la «pole position» a Ds e Margherita), e ovviamente a essere più «americano» di Berlusconi quando si tratta di rapimenti illegali (roba da ergastolo) e di basi militari nel centro di Vicenza (per non parlare della difesa perinde ac cadaver del generale Pollari e di tutti i suoi amici).





INES TABUSSO