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IL MESSAGGERO
19 Marzo 2007

L’INTERVISTA/ Il ministro della Giustizia: «In questo Paese si ha paura di parlare al telefono, io mi ribello»
Mastella: democrazia in pericolo
«Rischi senza la legge sulle intercettazioni».
Vallettopoli, trovato l’archivio di Corona

ROMA Il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, in un’intervista rilancia il tema delle intercettazioni: «O si fa la legge oppure la democrazia è in pericolo, in questo Paese si ha paura di parlare al telefono» e rivela che la spesa per le intercettazioni in quattro anni è salita a un miliardo e 300 mila euro. Un milione di euro in contanti, più una valanga di foto, nomi, fatture: è l’archivio di Fabrizio Corona, il fotografo finito in carcere nell’inchiesta di Potenza su “Vallettopoli”. Gli inquirenti sono certi di aver trovato un vero tesoro, elementi preziosi che potrebbero portarli a chiarire il giro d’affari del titolare della Corona’s.


di MARIO COFFARO

ROMA - «La mia opinione è molto semplice, non perché sia affezionato o coltivi una specie di vanità personale, ma ritengo che la mia proposta di legge sia quella più efficace perché contempla due modalità: non mette la museruola all’impegno investigativo e dei magistrati, non chiude la bocca ai giornalisti, ma al tempo stesso garantisce la libertà della persona. Si tratta di operare con velocità e recuperare il tempo perduto»: così il ministro Clemente Mastella, rilancia l’appello al Parlamento per esaminare in temi brevi il ddl che regolamenta anche le intercettazioni legali.

Pensa si possa fare prima dell’estate?
«Se si vuole, se non ci si mette di nuovo a far melina. Perché con la scusa di non toccare la libertà dei giornali e dei giornalisti, di non toccare le prerogative dei magistrati alla fine quelli che finiscono per pagare sono i cittadini. Allora il giusto equilibrio, il modo opportunamente compromissorio su cui è basato l’impianto delle mie norme, fissa in modo determinante il primato della persona. Quando si arriva a considerare che ricattati e ricattatori sono sullo stesso piano, ma i ricattati pagano due volte, per non far uscire le foto e successivamente finendo sui giornali magari in malo modo. Questi son procedimenti di natura giudiziaria e mediatici che francamente non si possono più accettare. Io penso ai tanti che sono sovraesposti. E, a differenza di quanto s’immagina, più una personalità è alta, nel calcio, nella politica, nello spettacolo e più è fragile».

Secondo lei, c’è un’attenuazione della privacy per chi è un personaggio pubblico?
«Un conto è se un giornalista riesce a scoprire le magagne di qualcuno, come in America. Diverso è se queste magagne arrivano da atti giudiziari. Se c’è un’attività giornalistica è un fatto. Se c’è una pigrizia giornalistica che attinge agli atti giudiziari è un’altra cosa. Siamo sempre ai limiti della violazione della privacy. Se io poi finisco sui giornali di rimbalzo, senza che nei miei confronti, o nei confronti di chicchessia, ci sia un procedimento giudiziario, disciplinare o un qualcosa che tocchi diciamo l’itinerario processuale investigativo, francamente è più forte. Non so se mi spiego. Una volta che sei apparso sui giornali in relazione a un’inchiesta, senza che ci sia alcuna attinenza, diventa difficile riparare».

Lei critica un certo modo di fare giornalismo e di fare giustizia?
«Io vedo quello che succede. Il cittadino non è che si debba preoccupare di sapere chi è che l’ha crocifisso, lui sa che viene crocifisso. Allora a chi tocca? La politica ha la responsabilità. Ma se la politica abdica, poi non è che ci possiamo lamentare se accadono queste cose».

Non ci sarà anche qualche ipocrisia dietro certi attacchi alla stampa?
«Io dico ai miei colleghi. C’è una forma di ipocrisia per cui se succedono fatti eclatanti siamo tutti scandalizzati, se non succedono si finisce per ripiegare, chi difende una categoria e chi un’altra. Io non difendo nessuno. Io difendo un bene primario, tutelato dalla Costituzione, la libertà della persona. Poi, attenzione, ci può essere anche l’alterazione di fatti politici. Il che significa che uno può contrabbandare i principi della democrazia e utilizzare da una parte o dall’altra questi strumenti. È corretto tutto questo? È democratico tutto questo? Si ha il dovere di fare qualcosa di diverso? Qua non si tratta di esercitarsi contro le procure, no io non mi esercito contro nessuno. Questo stato di cose non va. Una giustizia così non è la mia giustizia. Questo giornalismo che si appaga di elementi pruriginosi non corrisponde al giornalismo che io stimo ed è quello dei tantissimi giornalisti italiani capaci di fare anche inchieste di forte denuncia sociale».

A volte i giornalisti possono scoprire aspetti della vita privata di un politico in netto contrasto con la sua azione politica ufficiale: in nome della privacy dovrebbero tacerlo?
«Secondo me con correttezza si può raccontare tutto. Sulle vicende personali, però, occorre cautela. C’è un codice deontologico dei giornalisti. La verità è che qui si pubblicano anche le cose più assurde, sotto la spinta di una concorrenza tra giornali in una logica mercantile che non conosce scrupoli. Noi in Italia dobbiamo recuperare il valore dell’etica».

Se un giornalista sbaglia, l’indomani dovrebbe intervenire l’ordine professionale per sanzionare l’errore: o no?
«Io, su questo, sono un po’ indifferente. Qui non è tanto l’interesse pubblico da tutelare. Va tutelato l’interesse privato, la dignità della persona. La sua privacy, le sue relazioni personali. In questo caso qua, c’è anche una alterazione, si utilizza Sircana per mettere in difficoltà il governo Prodi. Chi mi dice che non ci sia una manina che interviene, che fa copie, che regala foto in giro? Bisogna stare attenti. Questo è il limite. Se noi non facciamo al più presto una normativa chiara avremo i tatzebao in Italia, in ogni comune. Chiunque potrebbe pubblicare una immagine rubata, una foto col telefonino».

Lei è preoccupato per qualcuno in particolare?
«Sono preoccupato per la democrazia. Perché queste cose in Italia possono essere utilizzate per fregare uno e agevolare l’altro. Senza la legge sulle intercettazioni ci sono rischi».

Con quali mezzi il suo disegno di legge tutela la privacy?
«Con sanzioni penali e civili. Una importante garanzia è data anche dal fatto che non ci saranno più 130 posti d’ascolto, ma 26 quante sono le Corti d’appello. Ci sarà un Garante, un organo collegiale, a tutela delle intercettazioni legali. Oggi c’è un grado di indeterminatezza, un elemento paludoso, che impedisce di individuare il responsabile di una fuga di notizie coperte da segreto istruttorio. E intanto uno viene messo alla berlina. Si pensi al caso di Totti, ricordato dai giornali, che c’entra lui e la sua famiglia, gli mando gli auguri per il bambino, che deve fare? Come fa a difendersi? Ai miei colleghi giornalisti, ai magistrati, agli avvocati, agli uscieri dico: rendetevi conto che ci sono le vostre ragioni ma anche quelle di chi viene messo a nudo, ferito nella propria dignità di persona. Dobbiamo garantire tutela alla privacy della persona».

Le intercettazioni legali sono cresciute troppo?
«Noi in 4 anni abbiamo visto crescere la spesa a un miliardo e 300 mila euro, quasi una mezza finanziaria. Nella mia legge c’è un Garante (il procuratore) che è responsabile per evitare gli eccessi. Possibile che tanti ancora non si accorgano che in questo Paese tutti cominciano ad avere paura di parlare liberamente al telefono? Io mi ribello a questo stato di cose. Di queste cose non ne può più neppure il salumiere, il calzolaio, l’impiegato, il cittadino comune».




INES TABUSSO