00 14/03/2007 16:10

DAL SITO DI FORZA ITALIA:
www.forza-italia.it/notizie/arc_10479.htm

MANTOVANI: TUTTI I SINDACI MANIFESTINO A MILANO CON LA MORATTI

"Invito i colleghi sindaci di tutti i Comuni della provincia a sfilare a fianco del sindaco di Milano. Anche i gonfaloni delle piccole realta’ locali debbono svettare vicini a quello del capoluogo lombardo perchè il dramma della criminalita’ riguarda Milano ma anche i Comuni della provincia".

A lanciare l’appello a tutti i sindaci della provincia milanese e’ stato l’europarlamentare azzurro Mario Mantovani, responsabile nazionale delle politiche sociali di Forza Italia, che e’ anche sindaco del Comune di Arconate, centro urbano situato nella zona sud ovest di Milano con oltre 600 mila residenti. Mario Mantovani sottolinea in una nota che "bisogna essere a fianco di Letizia Moratti, cosi’ come fara’ anche Silvio Berlusconi, per far sentire la propria voce affinch‚ il Ministero degli Interni attui subito un valido piano di sicurezza per Milano e provincia e gia’ programmato proprio dall’ex governo Berlusconi". "Attenzione: la lotta contro la delinquenza, perche’ sia davvero efficace, deve avvenire con il potenziamento delle forze di polizia e con un contestuale maggiore rigore giudiziario. Il maggiore impiego di mezzi e di uomini delle forze dell’ordine e’ necessario che avvenga in modo organico sia nel capoluogo milanese, sia nella sua provincia. Altrimenti, come gia’ accaduto in passato, sarebbero proprio i comuni della provincia di Milano a subire l’esodo della criminalita’ milanese". "Subito dopo la manifestazione di giorno 26 sara’ necessario pensare alla costituzione del comitato dei sindaci della Lombardia per la lotta contro la criminalita"’.

14/3/2007




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LA STAMPA
13 marzo 2007


Più poliziotti a Milano, sindaci dell’Ulivo in rivolta: con la demagogia non si recupera il Nord
“Il governo? Come con Berlusconi”


Parla Chiamparino: non farei campagna elettorale per questa sinistra
«Il governo non doveva concedere rinforzi di polizia a Milano. Ha fatto il gioco di chi, come Letizia Moratti, ha tenuto un atteggiamento populistico». Così Sergio Chiamparino in un’intervista a La Stampa. Il primo cittadino di Torino, al pari di molti suoi colleghi dell’Unione con in testa Cacciari, è in completo disaccordo con il Viminale.
IL J’ACCUSE.

«L’iniziativa di portare la gente in piazza è demagogica. Ma la decisione di dare subito più agenti è qualcosa di peggio. Diffonde l’idea che bisogna comportarsi da azzuffapopoli per poter strappare qualcosa a Roma», tuona il sindaco del capoluogo piemontese. Che poi aggiunge stizzito: «Facendo così, si cade nella trappola di Berlusconi e non si recupera il Nord. Anzi, si rischia di perdere anche la mia città». E quindi? «Nello stato d’animo in cui sono oggi, se fossimo chiamati a votare, non farei campagna elettorale per il centrosinistra».
Fabio Poletti e l’intervista di
Massimo Gramellini

ALLE PAG. 8 E 9




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Il governo si illude

Alla vigilia del tavolo politico sulla sicurezza convocato per oggi a Torino, al Palazzo civico, dal sindaco Sergio Chiamparino, il prefetto del capoluogo piemontese, Goffredo Sottile ha riunito il comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, di cui fanno parte questore, sindaco, presidente della Provincia e i comandanti provinciali di Carabinieri, Guardia di Finanza e Corpo forestale. «Torino non è una città di angioletti, ma neppure una città in preda alla delinquenza» ha spiegato il prefetto Sottile, ribadendo l’impegno di tutte le forze dell’ordine ad operare sulla percezione di insicurezza manifestata dai cittadini. «In questi anni sono stati ottenuti ottimi risultati, nessuno si illude di aver sconfitto tutte le forme di criminalità, ma le risposte sono attive». Intanto dall’opposizione in Comune sale un appello a Chiamparino. «Il sindaco si faccia promotore di una grande manifestazione volta a chiedere al governo più agenti e mezzi per le forze dell’ordine. Al sindaco di Milano Letizia Moratti è stato sufficiente annunciarla...», dice il presidente provinciale di An, Agostino Ghiglia. «Nella condizione d’animo in cui sono oggi, se mi chiamassero a fare campagna elettorale per il centrosinistra, non ci andrei». Seduto sulla sua poltrona di sindaco, Sergio Chiamparino urla a voce bassa. Una peculiarità dei torinesi quando si arrabbiano. Ogni tanto lascia rimbalzare una biro sul tavolo e la raccoglie al volo, stritolandola, come se fosse il comunicato-stampa di un ministro. «L’iniziativa della Moratti di portare i milanesi in piazza per chiedere più poliziotti è demagogica. Ma la decisione di darglieli, assunta dal governo, è qualcosa di peggio: è sbagliata. Diffonde l’idea che bisogna comportarsi da azzuffapopoli per poter strappare qualcosa a Roma».

Magari avrà pesato il fatto che l’azzuffapopoli in questione fosse un sindaco di centrodestra.

«Per questo governo la questione del Nord si riduce a Milano. Pensano: trattiamola bene, così la conquistiamo. Si illudono di battere in populismo Berlusconi a casa sua. Ma così facendo non prenderanno mai Milano. E perderanno pure Torino».


Torino contro Milano. Non è che ricomincia il derby?

«Io ho sostenuto, forzando persino certe mie convinzioni personali, le ragioni della fusione San Paolo-Intesa. Il problema quindi non è Torino contro Milano, né Chiamparino contro Moratti. Il problema è il rapporto di noi amministratori di centrosinistra con un governo nazionale che ci considera «l’intendance qui suivra» (l’intendenza che seguirà, ma il sindaco della città più francese d’Italia cita il motto gollista in originale, ndr)».


Forse qualcuno di voi si era illuso che trovarsi dalla stessa parte fosse un vantaggio.

«Invece pesa solo in termini negativi. Questo giochetto deve finire. I voti li vadano a prendere a Milano. Ma si tolgano dalla testa l’idea che le città governate dal centrosinistra possano adeguarsi a qualsiasi sopruso».


Diranno: il solito torinese che mugugna.


«Ho sentito il veneziano Cacciari, anche lui non ne può più. Ma ci vuole tanto a fare un incontro informale con i vertici amministrativi del centrosinistra? Fra un weekend a Caserta e un altro a Villa Pamphili, Prodi potrebbe trovare un momento per una cena, ma anche solo per prendere un bicchier d’acqua con noi».


E pensare che una volta venivate considerati il fiore all’occhiello della sinistra.


«Questo Paese è rimasto intrinsecamente centralista e romanocentrico. Ma se il futuro Partito Democratico ha un qualche insediamento è proprio nelle grandi città, che non si fermano a Milano e Roma. Ho sempre detto che appena avessi sentito parlare di partito dei sindaci, avrei messo mano alla pistola. Se continua così, bisognerà pensare a qualche forma di coordinamento degli amministratori del Nord. Altrimenti non ci verrà mai riconosciuto il peso che abbiamo».

Non l’avevo mai vista così gelidamente furibondo.

«Questa del contentino demagogico alla Moratti è stata l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ma vogliamo ricordare la Finanziaria, dove se noi sindaci non avessimo alzato la voce, saremmo ancora fermi a cifre che non ci avrebbero consentito di chiudere i bilanci? Adesso leggo di entrate fiscali superiori alle previsioni e da profano mi chiedo: davvero non era possibile saperlo prima? Così il governo può farsi bello distribuendo le risorse per ridurre l’Ici (sempre che lo faccia, poi). Avessimo saputo che c’erano tutti quei soldi in avanzo, la riduzione avremmo potuto farla noi sin dall’inizio».


Altre gocce sull’orlo del vaso?

«Expo 2015. Li avevo pregati di trovare un accordo preventivo a Palazzo Chigi e invece sono venuto a sapere della designazione di Milano dai giornali. E poi la Tav. C’è voluta la crisi di governo perché si degnassero di considerarla una priorità».

Non mi dica che rimpiange Berlusconi.

«Nella sostanza non vedo cambiamenti rispetto al governo precedente. Se non che, prima, la Moratti ero io. Avevo una forza contrattuale che ora non ho più. Con questo governo non si salva nessuno. Cioè si salvano solo Roma Capitale, giustamente, e Milano, perché è la capitale del centrodestra».


Si sente trascurato?

«Umanamente? No. Con Padoa-Schioppa i rapporti sono formali, con Letta cordiali e Amato mi risponde al telefono anche alle nove di sera. Pure lui, però! Non può dirmi una cosa il sabato e farne un’altra la domenica. Prima mi assicura che non avrebbe nemmeno preso in considerazione la sparata populista della Moratti e poi emette un comunicato opposto, immagino dopo essersi consultato con Prodi».


Amato dice che non ha ceduto al diktat: aveva già deciso da tempo di aprire due nuovi commissariati a Milano

«Allora ha sbagliato due volte. A non farlo prima. E a dirlo solo dopo l’uscita della Moratti. Nessun milanese attribuirà al governo il merito della decisione».


Tutti lo daranno alla Moratti.

«Ma come fanno a non capirlo? Non lo dico per me, che non devo più neanche candidarmi. Ma certo a noi sindaci del centrosinistra stanno facendo fare un po’ la figura dei pirla».

Tanto per parlare milanese.

«I partiti della Prima Repubblica sapevano dialogare con i loro esponenti nelle città. Questi invece ci considerano solo dei proconsoli con il compito di farsi carico dei problemi sociali che il governo non riesce a risolvere. Ma le mogli trascurate alla lunga se ne vanno. Specie quando beccano il marito con l’amante».

La
Moratti in quei panni non me l’ero ancora mai immaginata.


«Lo so che la mia è la confessione di una debolezza. Sto dando indirettamente ragione a chi mi accusa di non sapermi far sentire a Roma. Ma se per farlo devo minacciare sfracelli... Non è così che faccio politica. Detesto questo governare alla leggera, in base ai titoli di giornale di stamattina e mossi dall’unico scopo di far cambiare i titoli del giorno dopo».


Magari dopo questa intervista arriverà qualcosa anche a lei.

«Ma io non voglio caramelle. Anzi, la cosa peggiore sarebbe se adesso dicessero che danno qualche poliziotto in più anche a noi. La sicurezza non è solo una questione di agenti».

Più pattuglie per la strada non guasterebbero.

«Capisco che l’esasperazione porti a pensare che moltiplicando le divise il problema sarebbe risolto. Ma è un messaggio distorto. Siamo la nazione con il maggior numero di poliziotti in rapporto a quello degli abitanti. Il questore dice che bisogna solo riorganizzarli meglio e che lui è già riuscito a mettere venti macchine in più per la strada. Ma stiamo attenti, perché nessuna città vive bene militarizzata».


Nemmeno abbandonata a se stessa.

«Il controllo del territorio è importante, ma non risolve i problemi. Li sposta. Quel che ha fatto il governo è da demagoghi irresponsabili. Cosa succederà quando i milanesi si accorgeranno che con l’apertura di due nuovi commissariati non è cambiato nulla? Almeno al Nord, questo modo di agire fa solo perdere voti. Qui siamo forti perché abbiamo saputo assumerci responsabilità. E’ per questo che sono così scoglionato. Non per il fatto in sé, che è una smagliatura. Anche se a furia di smagliature, la rete si lacera».


Cosa chiede al governo il sindaco di Torino?

«Che Amato convochi d’urgenza gli amministratori delle grandi città: un tavolo della sicurezza per preparare un programma comune».


E il politico di centrosinistra? A parte il bicchiere d’acqua con Prodi.

«Se il governo aiuta solo chi si deresponsabilizza, anche noi smetteremo di sentirci responsabili verso di lui. E anziché portargli voti, gli daremo la colpa di tutto ciò che accade».

La lobby dei sindaci rema contro?

«Si può dire quel che si vuole, ma questo non è un governo forte. Se non fa squadra con chi sul territorio può orientare il consenso, alla fine raccoglierà quello che ha seminato».


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Addio sinistra

Le ronde inseguono i tossicodipendenti nei parchi di periferia. Scalzone delira proclami nei centri sociali e tre bombe esplodono sotto casa nel quartiere dei ricchi. Non è la sceneggiatura di un filmmaker fulminato dal crack. Sono tre fatti accaduti a Torino in pochi giorni. Ma allora che città è Torino, la smagliante capitale olimpica invidiata persino dai milanesi per il suo ritrovato glamour? Per Marco Revelli - intellettuale spinoso, spesso «contro» - è un enigma. Ma con una certezza: c’è una Torino sommersa di cui tutti se ne fregano.

Secondo lei, Torino è di sinistra?

«Se si guarda ai voti sì, se si guarda alla storia del Novecento sì».

E venendo un po’ più all’oggi?

«No so se è di sinistra, di centro o di destra. Da 15 anni non ci sono più le due città, quella borghese e industriale e quella delle barriere che si incontravano nella produzione. Sono tante. La Camelot effimera e splendente che compete e quella periferica con i marciapiedi con le buche, sporca che magari ha anche Tossic Park».

Una visione estrema.

«No. C’è una città arricchita che guadagna più di 50 mila euro al mese e una impaurita dalla cassa integrazione che campa con 750-1000 euro e ha i figli precari. Sono i penultimi che si scontrano con gli ultimi. Possono rimuginare rancori e risentimenti sociali».

Non è sempre stato così?

«No. E in ogni caso prima venivano raccontate tutte le Torino. Adesso no, adesso esiste solo quella bella. L’altra viene vissuta come se sabotasse la capacità di competere».

Ma allora neppure il sindaco si comporta come se fosse di sinistra?

«Mi pare attento a raccontare la Camelot con le guglie e i muri di alabastro».

Se dovesse consigliare a Chiamparino di fare qualcosa di sinistra?

«Gli chiederei di parlare dell’altra città. Adesso lo fa solo la Caritas. Non si tratta di politiche per le periferie, ma di riconoscere che c’è una città che soffre. Basta dar voce solo all’asse Lingotto-Palazzo Madama».

Neppure nella politica c’è qualcosa si sinistra?

«La politica è stellarmente lontana».

Tutta?

«Tutta».

Non le sembra triste che uno come Scalzone arringhi i giovani dei centri sociali magari reclamando una rappresentanza degli esclusi?

«Mi sembra più triste che nessun altro lo faccia».

Ma prima chi dava voce ai più deboli?

«Nell’altro secolo c’era il movimento operaio che raccontava, rassicurava, includeva».

Quella storia, così come è stata nel Novecento, è finita: non c’è il rischio oggi che qualcuno voglia parlare in nome degli emarginati usando la violenza?

«Non credo. Chi usa la violenza oggi parla da solo e parla ai media, a nessun altro».


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INES TABUSSO