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CORRIERE DELLA SERA
31 MARZO 2006
L’INTERVISTA
«La sinistra non può cercare la rivincita punendo Mediaset»
di FRANCESCO VERDERAMI

Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset, alla vigilia del voto sceglie il low profile ma non nasconde la preoccupazione: «La sinistra non può cercare la rivincita punendo Madiaset». Dell’amico Berlusconi: Silvio nel faccia a faccia con Prodi ha sbagliato solo il rigore nel finale.


«L’Unione non cerchi la rivincita punendo le televisioni Mediaset»
Confalonieri: penso che non ci sarà di nuovo piazzale Loreto

ROMA - Due anni fa profetizzò che la fine del berlusconismo si sarebbe portata appresso «una nuova piazzale Loreto». Due anni dopo si augura che «piazzale Loreto resti semplicemente una piazza di Milano ingorgata dal traffico». E chissà se Fedele Confalonieri crede davvero nel successo del Polo il 9 aprile, ciò che di sincero traspare dai suoi ragionamenti è la preoccupazione legata alla sorte del suo migliore amico, Silvio Berlusconi, e a quella delle sue aziende che ha in cura da una vita. Alla vigilia del voto il presidente di Mediaset ha scelto il «low profile», e se per un verso vuol tener fede all’impegno di «restare afono» fino all’apertura delle urne, nei colloqui riservati non manca di difendere l’«onorabilità e la professionalità» dell’azienda, dinnanzi ai «segnali di ostilità» che giungono dal mondo della politica. Il primo indizio, quello che lo ha insospettito, è stata la scelta di Romano Prodi di non accettare gli inviti delle reti del Biscione, «e dopo di lui anche Piero Fassino ha detto no»: «Sono atteggiamenti che non meritiamo, perché durante la campagna elettorale siamo stati perfetti... sì, a parte Emilio Fede, che è un po’ una zona franca, bilanciata dal Tg3. Ma farci passare per quelli che si sono schierati è falso. Noi ci siamo attenuti alla par condicio, che è roba da farmacisti per come bisogna usare il bilancino, mentre la carta stampata si è mossa in assoluta libertà, facendo lei sì campagna elettorale a favore dell’Unione».
Più volte in questi giorni si è chiesto se fosse giusto tacere, o se invece non fosse opportuno denunciare l’ostracismo: «Perché dobbiamo essere discriminati? Saremo mica i negri della comunicazione, vero? No, negri non è parola da usare... Ma insomma, perché ci vogliono infangare? Non è che si preparano a colpirci?». Lo lasciano poco tranquillo i boatos su una serie di leggi «punitive» verso Mediaset che l’Unione starebbe preparando in vista di palazzo Chigi. Ed è questo il secondo indizio che preoccupa Confalonieri. Lui spera che «l’intento di danneggiarci sia dovuto solo ai toni della campagna elettorale», «spero si tratti di un periodo franco, come una volta lo erano i giorni di carnevale. Chiamiamoli i Carmina Burana della campagna elettorale. Dopo mi auguro che torni la ragionevolezza».
Ma finora non ha trovato riscontri positivi, e ad alimentare i timori del presidente di Mediaset sono i ricordi del passato: «Nel ’96, nonostante ci fossero le elezioni, Massimo D’Alema venne da noi per dirci che eravamo un asset del Paese, che non avremmo avuto nulla da temere. Ora non è più così?».
Forse davvero Confalonieri crede che piazzale Loreto resterà solo un luogo trafficato di Milano, ma vorrebbe capire quale sarebbe la sorte dell’«azienda» se il 9 aprile l’Unione dovesse aver la meglio. La sua preoccupazione «è la preoccupazione degli investitori internazionali, di quelli che - per usare il linguaggio dei compagni - sono i nostri padroni, siccome detengono azioni Mediaset. Se accadesse qualcosa, anche loro verrebbero danneggiati». Ne ha parlato in questi giorni, in giro per l’Europa, e ogni volta con toni infastiditi, «perché dà fastidio l’animo di rivincita con cui l’Unione ha caricato la sfida elettorale. È mai possibile che, per rivalsa verso il politico Berlusconi, debba attaccare le sue aziende? Se lo facesse, si arriverebbe all’eterogenesi dei fini, e una legge punitiva contro Mediaset diverrebbe il conflitto d’interessi del centro-sinistra».
Per quanto esponga il petto a difesa dell’amico, deve ammettere che il nodo del conflitto d’interessi del premier «esiste», ma come a voler annegare l’ansia in una risata, esce dall’angolo con una battuta: «Certo che Silvio è un’anomalia. È anomalo perché è un fenomeno. Quale imprenditore è riuscito a scendere in politica, fondare un partito e vincere le elezioni? Solo un accidente come lui, che è fuori dal normale. Eppoi, basta con ’ste balle: da dodici anni non si occupa più delle sue aziende. Ora ci sono i suoi figli, che sono bravi a governarle. Perciò il centro-sinistra non può pensare di uccidere una realtà economica che dà lavoro a cinquemila persone». Perciò prova a suggerire le regole del duello, e da padrino di Berlusconi chiede ai leader dell’Unione di tener «separate le questioni»: «Il campo di battaglia della politica saranno le elezioni. Chi vince, vince. Chi perde, perde. Ma le aziende restino fuori dalla contesa». Attende un segno dall’altra parte, «dove ci sono anche persone ragionevoli». Militano nei Ds e nella Margherita, ma non ne fa i nomi «per non danneggiarli»: «Darei loro il bacio della morte».
Ancora pochi giorni e si saprà se piazzale Loreto sarà il luogo simbolo della fine del berlusconismo o rimarrà solo una piazza «ingorgata di traffico». Confalonieri fa di tutto per non apparire rassegnato, come il suo amico Berlusconi, «che dà il meglio di sé nei momenti difficili. Certo, poi deve subire la caricatura che fanno del suo personaggio». Non cita mai Nanni Moretti, ma è al Caimano che si riferisce quando dice che «hanno voluto creare un mostro»: «Invece penso che Romano Prodi dovrebbe riconoscere i meriti del suo avversario. È Silvio che in campagna elettorale ha dettato i temi e i tempi. E non è vero che è andato male al faccia a faccia. Ha sbagliato il rigore nel finale. Negli ultimi due minuti, invece di fare il Berlusconi si è messo a fare il piangina. Ma prima era stato incisivo e puntuale. Però, figurarsi se qualcuno gliel’ha voluto riconoscere».
Se c’è una cosa che lo rattrista, ogni volta che tira il consuntivo di questi dodici anni di berlusconismo, «è il fatto che il giornalismo abbia perso il suo credo laico. Se penso a Enzo Biagi, a Eugenio Scalfari, a Giorgio Bocca... Sono firme che ho amato tanto, ma i loro articoli sono scritti a tesi, con il pregiudizio incorporato. Non so di chi sia la colpa, forse anche Silvio ne ha una parte. Non sarà riuscito a essere inclusivo, non avrà fatto una politica culturale. Però è evidente che contro di lui le penne fossero già puntate. Per dipingerlo come un tiranno da abbattere».
Francesco Verderami



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