00 09/03/2006 22:31
LA NAZIONE
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8 marzo 2006
Candidato Quagliariello.
Senza rotture il suo posto poteva essere di Fazzi

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LA NAZIONE
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9 marzo 2006
Viareggio
Baccelli e Quagliariello

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LA NAZIONE
Lucca
9 marzo 2006
"Quagliariello deve dimettersi dagli Imt"

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L'UNITA'
Firenze E Toscana
9 marzo 2006
Depositato il ricorso al Tar sullo statuto Imt. Polemica sulla candidatura del direttore in FI

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www.magna-carta.it/fondazione/fmc.asp

Noi, loro e il Papa.
Lettera aperta agli amici
di Magna Carta
Marcello Pera
Domenica 30 Ottobre 2005, San Germano. Da casa.


Cari amici,

Ci stanno osservando e criticando in tanti. A prendersela con noi sono stati, fra gli altri, Giulio Giorello, Dario Antiseri, Emanuele Severino, Piergiorgio Odifreddi, Gustavo Zagrebelski, Gad Lerner. Poi Eugenio Scalfari. Quindi ci ha gettato addosso un’occhiata di commiserazione Sergio Romano, con un «breve saggio storico (più saggio che storia)», come lui stesso lo definisce. Da ultimo, ci hanno guardato malamente Piero Craveri e Massimo Teodori sul “Foglio” di Giuliano Ferrara (uno che la pensa come la maggior parte di noi, ma, con nostra meraviglia e dispiacere, non vuole farlo sapere).

Che cosa mai abbiamo fatto noi di Magna Carta? Ci siamo convertiti al cattolicesimo? Non sarebbe uno scandalo, ma non mi pare sia il caso: personalmente non sono un credente (almeno mi sembra), pochi di voi vanno in chiesa, i più siete liberali laici, qualcuno è ebreo, uno islamico laico. Abbiamo allora deciso di fare carriera politica grazie all’aiuto di Papa Ratzinger, del cardinal Ruini, di qualche vescovo? Non è vero neanche questo: Magna Carta non è un movimento politico organizzato e non ha responsabilità e finalità politiche dirette. È un “think tank” libero, un gruppo intellettuale che pensa in proprio, che produce libri, convegni, seminari, lezioni, commenti politici su un sito, su vari argomenti. Il solo catalogo delle pubblicazioni e degli interventi di Magna Carta è già lungo: dalla riforma della Costituzione a quella universitaria, dall’Europa alla pubblica amministrazione, dalla bioetica all’economia, dal Trattato costituzionale europeo al risveglio religioso cristiano, dal dialogo fra laici e credenti al fanatismo e al terrorismo che agisce nel nome dell’Islam. Un “think thank” curioso e originale che ha suscitato interesse ed è stato fatto segno di attenzione, da ultimo addirittura dal Papa Benedetto XVI che ci ha inviato a Norcia un del tutto inusuale e sostanzioso messaggio autografo.

Forse è proprio questo lo scandalo: il confronto e il messaggio. Ma possiamo meglio capirlo entrando nel merito delle accuse e obiezioni che ci sono state mosse.

1. Poiché molti fra quelli che sono intervenuti hanno semplicemente voluto far sfoggio di erudizione accademica o di “vis polemica” anche personale, possiamo concentrarci sui critici principali. Cominciamo perciò da Sergio Romano.

L’ex-ambasciatore ci dice che siamo figli di nessuno. Non dei cattolici liberali, che fecero sì la legge delle Guarentigie, ma perché era «la migliore fra quelle approvate dalle democrazie europee»; non di Mussolini che fece sì il Concordato, ma perché era «deciso a usare la Chiesa e il cattolicesimo italiano per un progetto nazionale e imperiale»; non di Togliatti che approvò il Concordato, ma perché «aveva capito, come Mussolini, che non si governa in Italia, dopo l’allargamento del suffragio, contro i sentimenti popolari di un’opinione pubblica ancora prevalentemente cattolica»; non di don Sturzo e De Gasperi, che erano sì credenti, ma «sempre attenti a difendere l’indipendenza civile dei cattolici e le prerogative dello Stato»; non di Craxi, il quale fece sì un altro Concordato, ma perché «ebbe l’ambizione di modernizzare l’Italia» e il nuovo accordo «ebbe il merito di limitare il potere della Chiesa sulla società italiana». E alla fine, ci dice, «per quel che vale», che non siamo neppure figli suoi.

Perché allora Magna Carta, così orfana, sola e anomala, insiste a interessarsi al fenomeno nuovo del risveglio spirituale e religioso? Perché è così attenta ad esaminarlo, così determinata a far saltare gli antichi steccati culturali, compreso quello sollevato dagli epigoni di quella formula bellissima perché priva di contenuto “libera Chiesa in libero Stato”?

Secondo la migliore teoria cospirativa, deve esserci una finalità nascosta. E Romano la trova. Siccome dopo Tangentopoli la politica è debole e la Chiesa è più forte, noi vorremmo approfittarne. Per noi «radici cristiane, famiglia, santità del matrimonio, diritto alla vita sono soltanto strumenti di lavoro, mezzi per conquistare il consenso della Chiesa e averla al proprio fianco come alleato per la conquista del potere».

Non è così, l’ho già detto. Non abbiamo scopi nascosti. Attribuendoceli, Romano commette un doppio torto. Il primo verso se stesso: come può uno storico, invece della documentazione o della citazione, usare l’insinuazione? L’altro torto, più grave per uno storico, Romano lo fa verso le questioni obiettive che stanno davanti a lui come a noi: come può criticare una posizione se, non solo non la discute, ma neppure prende in seria considerazione i problemi da cui nasce? Facciamo qualche esempio.

2. Esiste un vasto movimento di immigrazione di uomini, in particolare di religione islamica. Terrorismo a parte, in tutta Europa questo fenomeno provoca problemi di integrazione e questi problemi hanno sollevato la questione della nostra identità. Lo stesso problema identitario è venuto alla luce quando, al momento di redigere il preambolo al Trattato costituzionale europeo, i capi di stato e di governo si sono chiesti se fare o no riferimento alle radici cristiane del nostro Continente. E un’altra questione identitaria si manifesta ogni giorno nelle nostre aule di biologia, nei laboratori di genetica, negli ambulatori dei ginecologi, nelle sale ospedaliere, e naturalmente nei parlamenti. Anche se gli storici guardano al passato, questi sono problemi di oggi così grandi che non dovrebbero sfuggire al loro esame.

Come affrontarli? Per venirne a capo hanno rilievo la nostra storia e la nostra tradizione? I nostri princìpi e valori (quelli stessi che, prima di Nietzsche, si chiamavano “virtù”) hanno ancora corso? Sono ancora buoni e li possiamo promuovere (qualcuno dice “esportare”) anche altrove, oppure dobbiamo ritirarli, o tenerli solo per noi, perché altri ne hanno di diversi e ognuno ha i suoi, e speriamo nel buon Dio che, nelle nostre “società arcobaleno” o multiculturali, le cose si aggiustino da sole?

E quando questi problemi diventano pane quotidiano per le pubbliche opinioni e creano disagio, insoddisfazione, disorientamento, quale si tocca a piene mani in Italia e in Europa, quando essi stravolgono l’agenda della politica e del dibattito pubblico, di essi possono parlare solo i giornalisti, gli intellettuali, gli ex-ambasciatori? Tra quelli che intervengono alcuni parlano in un modo e alcuni in un altro. Perché gli uni sono corretti e gli altri sospetti? Perché gli uni “illuminano” e “educano” mentre gli altri “interferiscono” o fanno “propaganda”? E poi, di questi stessi problemi possono parlare anche gli uomini di Chiesa? Non ha il clero diritti politici?

È vero, il clero ha accettato obblighi dai concordati. È anche vero che la Chiesa cattolica continua ad avere inclinazioni e debolezze concordatarie, tanto da cedere anche con l’Europa, all’art.52 del Trattato. Ma questi infelici concordati temporali – tanto infelici quanto l’anticlericalismo e il laicismo che li giustificano o da cui si lasciano volentieri giustificare, spiazzando tanti liberali e tanti fedeli – impediscono alla Chiesa di rivolgersi ai suoi seguaci e all’insieme di quella società nella quale, proprio in virtù dei concordati, essa ha un ruolo di primo piano? Oppure i concordati non costituiscono un impedimento e sta piuttosto a coloro che la pensano diversamente convincere la gente che gli uomini di Chiesa sbagliano (come, senza riuscirci, quelli che avevano altre idee hanno fatto in occasione del referendum sulla fecondazione assistita)? Questo è un problema serio. Lo si può risolvere limitandosi a recitare la giaculatoria “libera Chiesa in libero Stato, amen”?

Per affrontare questioni così gravi, il saggio di Romano non aiuta. E così si è persa un’altra buona occasione per discutere seriamente, senza ruoli precostituiti e schieramenti già assegnati: di qua i laici di là i clericali, di qua gli opportunisti di là, come dice Romano, «l’integralismo urbano e intelligente dell’allora cardinale Ratzinger», da una parte i liberali dall’altra gli oscurantisti, i reazionari, i papisti. Peccato, davvero peccato.

3. Passiamo a Eugenio Scalfari, e al suo articolo “Quando il Papa vuole fare le leggi”. A Scalfari si deve riconoscere che intende discutere seriamente. E del resto “Repubblica” è (oltre al “Foglio”) il quotidiano che, avendo prima e meglio compreso che qualcosa di importante in fatto di rinascita spirituale sta accadendo, fa molto bene il suo mestiere: riporta, commenta, chiama a raccolta i suoi cronisti e collaboratori italiani e stranieri, raccoglie persino in volume i loro scritti.

Intanto, Scalfari riassume correttamente il messaggio che Benedetto XVI ha inviato a noi di Magna Carta a Norcia e che altrove, anche dove non c’era da aspettarselo, o non è passato o è passato piccolo piccolo, con malcelato understatement: «i diritti naturali e innati debbono ispirare la legislazione e fornire allo Stato l’etica di cui ha bisogno. Per un cattolico essi si riconducono al Creatore, ma valgono comunque per tutti in quanto appunto innati». Scalfari è in disaccordo non sulla valenza universale di questi diritti – che del resto oggi valgono, o dovrebbero valere, per tutti perché fanno parte delle nostre carte e dichiarazioni, a cominciare da quella dell’ONU –, bensì sul loro essere innati.

Siamo d’accordo. “Innato” è un controverso termine filosofico che non si addice a testi giuridici e politici. Meglio evitarlo perché non ce n’è bisogno e soprattutto perché di diritti naturali innati nessuno a Magna Carta ha parlato. Però, quando la nostra Costituzione afferma che «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo», in quel “riconoscere” c’è la stessa idea espressa da Papa Ratzinger nel messaggio che ci ha inviato a Norcia: i diritti fondamentali sono precedenti alla legislazione, anche costituzionale, degli stati. E si comprende perché: se siete credenti, quei diritti non potete che farli discendere dalla persona umana, la quale è creata da Dio a sua immagine; se non siete credenti, è bene che sia così, che quei diritti siano precedenti, perché se fossero successivi, a discrezione di maggioranze (sebbene qualificate) dei parlamenti, allora potrebbero essere revocati, con tanti danni per tutti.

A noi questo dei «diritti previi» sembra un fertile terreno di incontro fra laici e credenti, almeno sin da quando la Chiesa ha compreso il valore della democrazia e dello stato di diritto. Non è la persona, per gli uni e per gli altri, il soggetto portatore di questi diritti previi? E oggi che è messa in questione in tanti modi – dal terrorismo all’eugenetica –, non è un compito importante di tutti comprendere come questo concetto di persona nasca, fin dove si estenda, come si evolva, e perciò quali diritti e valori le competano? Non c’entra la «volontà di potenza e espansione dell’ente [la Chiesa] rappresentato dal Papa», di cui parla Scalfari; non c’entra lo “instrumentum regni”; non c’entra neppure «il potere della Chiesa a indicare i diritti che devono essere sanciti dalla Città terrena». C’entra invece, di fronte ai terribili problemi che abbiamo di fronte, la volontà di intendersi, studiare, scambiarsi idee, misurarsi, cercare quel terreno comune di riconoscimento che Magna Carta ha trovato con successo a Norcia.

Quando il Papa ci richiama a meditare sulla «essenza della natura umana» e ci dice che l’uomo in quanto uomo ha diritti che devono essere rispettati, non pensa affatto al potere della Chiesa. Né è così irriguardoso verso la nostra libertà di giudizio da chiederci di convertirci. E neppure ci dice che solo i credenti hanno accesso ai diritti umani fondamentali. Al contrario, egli parla soprattutto a coloro che non sono fedeli, ammonendoli: attenzione voi (noi) non credenti, se negate che l’uomo abbia dignità in sé, che meriti rispetto in sé, che non abbia valore di persona a meno che non gli derivi dallo Stato, prima o poi rischiate di ridurlo a merce, strumento di laboratorio, carne da cannone. Siete liberi naturalmente di non credere, di agire etsi Deus non daretur, ma curatevi di trovare un modo efficace per non far cadere la nostra civiltà nel degrado morale dal quale poi inevitabilmente deriva quello sociale e politico.

Qualche ecclesiastico pensa a nuove mire temporali, a rivincite confessionali? Non mi pare. In ogni caso, proprio noi a Norcia avevamo avvertito chiaramente che il nuovo confronto fra laici e cattolici che auspichiamo pone sfide a tutti: a noi che vogliamo risvegliare e difendere nella società i valori identitari della nostra tradizione, e agli uomini di Chiesa che non possono scambiare questo risveglio della società come un ritorno al passato remoto. Possiamo rassicurare Scalfari che siamo contrari al partito cattolico, al collateralismo e a tutte le forme di temporalismo. Ci piacerebbe però essere rassicurati da lui che l’innegabile risveglio religioso che osserviamo non debba essere compresso, stipato o anche solo relegato nel «ghetto della soggettività», per usare ancora un’espressione del cardinale Ratzinger ora Benedetto XVI. Oltretutto, Scalfari sa bene che cercare di mettere le mutande alla storia è impresa vana.

4. Resta il confronto con Craveri e Teodori. Mi dispiace ammetterlo perché si tratta di vecchie conoscenze, ma, cari amici, che tristezza e delusione!

I due mi dànno del rinnegato: io, e voi con me, avremmo «rinnegato i princìpi, gli istituti e gli obiettivi propri del liberalismo». Brutto e greve modo di esprimersi, in verità. Un tempo la bolla del “rinnegato” la davano Lenin e Stalin quando volevano sterminare gli avversari, oggi la emettono anche i professori universitari che vogliono criticare un collega.

Perché “rinnegati”? L’elenco delle accuse che ci viene mostrato è lungo.

Rinnegati perché, al referendum sulla procreazione assistita, abbiamo detto che la legge che si voleva abrogare era un buon compromesso temporaneo e che, anche, ma non solo, per il rispetto della fatica del Parlamento, era bene non metterla in discussione con tanta urgenza. Non dicono gli stessi nostri critici che lo Stato laico deve trovare «il compromesso politico fra diversi punti di vista presenti nella popolazione»? E allora saremmo rinnegati solo perché abbiamo opinioni diverse dalle loro se il compromesso raggiunto sia o no soddisfacente?

Rinnegati perché non siamo a favore delle nozze fra coppie omosessuali. Lo siamo mai stati a favore? È necessario esserlo per non subire l’accusa di rinnegato? Chi è a favore diventa, ipso facto, un liberale? E chi non lo è diventa automaticamente un traditore della modernità?

Rinnegati perché critichiamo il multiculturalismo. Nella filosofia politica e pubblica, ci sono molti seri studiosi, soprattutto liberali, che da tempo muovono critiche analoghe alle nostre. In genere, ai liberali non va giù che le comunità abbiano diritti sopra gli individui o che esistano diritti di gruppo (questa è la teoria multiculturale), perché ai liberali piace che i diritti fondamentali (compreso la parità uomo-donna) siano gli stessi per tutti e ciascuno, quale che sia la comunità di appartenenza. Quanto alla pratica, il multiculturalismo ha prodotto i guasti dei ghetti, dell’apartheid, delle tensioni etniche, e non ci ha risparmiato, qui nell’Europa liberale e laica, nell’Olanda tollerante di Spinoza e nell’Inghilterra tollerante di Locke, i terroristi di seconda generazione. Che cosa avremmo mai rinnegato sollevando anche noi queste obiezioni liberali e nutrendo queste preoccupazioni democratiche?

Ancora: rinnegati perché ridiscutiamo la separazione Stato-Chiesa e religione-politica. Ma se così come fu concepita secoli fa, questa separazione – guardare per credere – non tiene più, né in dottrina né in pratica, dobbiamo ripensare altre forme di tutela dello Stato laico, che abbiamo detto e ribadito essere una conquista irrinunciabile, e di rispetto dell’autonomia della società civile, che per noi è un valore occidentale imprescindibile, oppure dobbiamo continuare a consolarci con le vecchie litanie? Ricercare strade nuove è rinnegare? Tentare soluzioni diverse fa addirittura pensare, «se non proprio alla sharia cattolica, certo al ripudio dell’Abc liberale»? Davvero è meglio abbandonarsi alla pigrizia intellettuale ripetendo a memoria l’Abc del liberalismo appreso alle elementari?

In realtà Craveri e Teodori, più che con noi, ce l’hanno con Papa Ratzinger, che essi ritengono un probabile «artefice di una nuova controriforma». Peccato, il Papa ci ha invitato a discutere sul serio, noi abbiamo accettato l’invito sul serio e Craveri e Teodori la mettono sul faceto.

5. A cospetto di tante attenzioni, non si può fare a meno di chiedersi: tutte queste critiche non sono provocate, forse, da qualche ragione non detta? Io penso di sì, penso che ci sia in tutti i nostri critici una ragione da essi accuratamente nascosta e deliberatamente aggirata. E con ciò finalmente veniamo al punto vero di tutte le polemiche.

Cari amici, come voi ben sapete, anche perché l’avete spesso sperimentato sulla pelle, per decenni, in Italia abbiamo assistito ad un fenomeno: il cattolicesimo in politica si è collocato prevalentemente a sinistra e, quel che è ancora più rilevante, il dialogo con i cattolici è stato monopolizzato dalla sinistra. Si è trattato di un fenomeno di egemonia culturale: dire dialogo tra laici e cattolici equivaleva a dire dialogo tra la sinistra e i cattolici. Dire impegno cattolico era lo stesso che dire impegno sociale a sinistra. E, con poche rilevanti eccezioni, dire intellettuale cattolico voleva dire intellettuale di sinistra, dai “professorini” di un tempo agli attuali maestri.

Questo fenomeno ha trovato il suo apogeo nel periodo successivo al Concilio Vaticano II. Fu allora che si manifestarono tante “spinte” e “aperture” verso la modernità laica intesa alla maniera della sinistra, e si svilupparono tanti tentativi che aprirono una breccia persino nella cittadella della teologia, allo scopo di farvi penetrare una lettura in chiave relativistica delle conclusioni del Concilio stesso.

Il “dialogo” ha trovato il suo terreno preferito nel campo sociale, dove il solidarismo cattolico si è mescolato agevolmente con le rivendicazioni di giustizia sociale, e le tante teologie della liberazione si sono facilmente coniugate con le tante ideologie dell’emancipazione, operaia, studentesca, giovanile, femminista, omosessuale, eccetera.

Le conseguenze principali di questo stato di cose sono state due, una sul versante della Chiesa e una su quello della politica. Sul versante della Chiesa, si è corso il rischio, e forse subìto il fatto, della trasformazione del messaggio trascendente cristiano in messaggio mondano, morale, politico e sociale. Come se il Vangelo parlasse solo di questo mondo e non dell’altro. E naturalmente come se il Vangelo parlasse solo alla sinistra. Sul versante politico, si è creato un blocco di potere, il quale, anche in nome, per conto, su ispirazione o su sollecitazione di ampi settori della Chiesa, ha preteso di estendere la sua egemonia sull’intera società, dalle università ai media, dai pulpiti alle scuole, dalle associazioni alle famiglie. Una forma riveduta, aggiornata e corretta del connubio fra trono (di sinistra) e altare (decentrato nella navata di sinistra).

Oggi questa egemonia, questo blocco, questo macigno, vacillano e stanno per sgretolarsi. Già un Papa (Giovanni Paolo II) che parlava alle folle più che alla gerarchia aveva messo in crisi l’edificio. Ora il castello rischia di farlo crollare un altro Papa (Benedetto XVI) intransigente sulla dottrina ma pensoso, curioso del mondo anche se non disposto a troppi compromessi con esso, aperto ma non cedevole sui punti essenziali. Agli occhi dei nostri critici, questo Papa ha due colpe imperdonabili. La prima: si rivolge anche ai non credenti, il che è una importante novità per i tempi recenti. La seconda, ben più grave: invia addirittura un messaggio autografo a un gruppo di credenti e non credenti, i quali non hanno timore alcuno di dichiararsi, in questo frangente della storia d’Italia, di destra, di professare un liberalismo conservatore sui valori e popolare nei contenuti, e di stare dalla parte opposta dei “professorini” e dei loro epigoni. Ciò, ovviamente, non significa affatto che il Papa sia entrato nel merito della contesa politica italiana, come pure è già stato accusato di fare. Né significa che si sia “schierato”, come sarebbe offensivo persino pensare. Significa, più semplicemente, che, con la sua disponibilità, i suoi incontri, i suoi messaggi, egli ha messo fine a quel monopolio del dialogo che la sinistra, la quale da decenni si riteneva unica interlocutrice o interlocutrice privilegiata, considerava acquisito per sempre.

A peggiorare le cose sta il fatto, anch’esso inaudito, che, in questa opera di smontaggio e di sgretolamento delle vecchie abitudini, il Papa è seguìto da un buon numero di cardinali e vescovi, oltre che da milioni di fedeli che lo cercano dappertutto. I nostri critici accusano noi di rinnegare, ma in realta ai loro occhi il vero rinnegato è il Papa, il quale sembra sottrarsi a comodi schemi consolidati.

Questo è lo scandalo, lo scandalo vero per i nostri accusatori. Per quelli di sinistra, perché gli toglie il monopolio dell’egemonia e li obbliga a mettersi di nuovo sul mercato delle idee. Per quelli di destra, perché gli rompe il giocattolino storico della “libera Chiesa in libero Stato”. E per quelli che non sanno più dove stanno e perché ci stanno, perché gli manda in rovina le pigrizie anticlericali e laiciste e le inerzie liberali che avevano succhiato col latte.

Di peggio, per i nostri critici, non poteva succedere. In poco tempo hanno visto il mondo passare da Tolomeo a Copernico e ora nutrono la paura che sia già arrivato Keplero, il quale rompe la comoda perfezione delle orbite circolari e le sostituisce con quelle ellittiche assai complicate, per non dire del timore di un Newton, che scompagina la vecchia legge di gravitazione, o del terrore di un Einstein, che la sostituisce con una geometria incomprensibile a quelli ancora fermi a Euclide, imparato con l’Abc all’asilo o in parrocchia.

Il mondo cambia, cari amici di Magna Carta, et nos mutamur cum illo. Ci piace il cambiamento, non ci spaventano le sfide, e non ci rifiutiamo di sottrarci alle dispute, meglio se serie, documentate e civili. Di sicuro, sarà una battaglia lunga. Il bello è che stavolta la vittoria non è più assegnata a tavolino. Ora, finalmente, tutti devono sudare. Quelli che non erano più abituati a correre devono addirittura rincorrere.

Scusatemi se vi ho trattenuto così a lungo e abbiatevi la mia amicizia.

Marcello Pera


INES TABUSSO