www.congedatifolgore.com/news/
COMMISSIONE URANIO: SI DIMETTE IL PRESIDENTE. "NON HA TEMPO"
Mercoledì, 2 Marzo 2005
by webmaster
ROMA - Rocco Salini, senatore di Forza Italia, designato poche settimane
fa presidente della Commissione monocamerale d'inchiesta sull'uso dell'uranio
impoverito si è dimesso con una lettera inviata al presidente del Senato
e al capogruppo di Forza Italia Renato Schifani. La conferma, dopo i commenti
del segretario della Commissione Luigi Malabarba (Prc) viene dallo stesso
senatore che motiva la sua scelta dicendo di "avere tanti altri impegni.
Ora sto anche impegnandomi a livello regionale e questo incarico, a cui sono
stato chiamato dal presidente del Senato richiede molto tempo per essere
fatto bene. Un grande impegno e io personalmente non ho tempo. Quindi ho
deciso di rimettere la designazione che c'era stata qualche settimana fa".
"Ho la sensazione che al Senato si stia costituendo un fronte trasversale
per far saltare la commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito". Lo afferma
il Questore della Camera dei deputati, Edouard Ballaman (Lega Nord), commentando
la notizia delle dimissioni del presidente della stessa Commissione sull'uranio.
il manifesto
02 Marzo 2005
POLITICA pagina 08
URANIO
Forza Italia blocca ancora
Rocco Salini, senatore di Forza Italia, designato poche settimane fa presidente
della Commissione monocamerale d'inchiesta sull'uso dell'uranio impoverito,
ieri improvvisamente si è accorto di avere troppi impegni e si è dimesso.
«E' un vero e proprio boicottaggio» denuncia il senatore di Rifondazione
Gigi Malabarba: «Proprio Forza Italia aveva impedito per mesi la costituzione
della commissione non indicando i propri cinque componenti. A questo punto
è chiaro come il sole: Forza Italia, il partito del ministro della difesa
Antonio Martino, sabota la commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito».
Ad affiancare Malabarba il segretario della commissione, Falco Accame, presidente
dell'Anavafaf, Domenico Leggiero, dell'Osservatorio militare, Antonio Savino,
presidente dell'Unione nazionale arma dei carabinieri, ma anche il leghista
Edouard Ballaman, questore della camera dei deputati che ha ammesso: «Ho
la sensazione che al Senato si stia costituendo un fronte trasversale per
far saltare la commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito».
Corriere della Sera
27 aprile 2005
L?ESCLUSO
Salini, solo 40 giorni al governo «Potevano almeno avvisarmi»
MILANO - Lo hanno congedato senza un plissé. E senza un perché. «Che ineleganza
- dice sconsolato Rocco Salini - Lo trovo scorretto anche dal punto di vista
umano ed etico». E dire che, per quella traballante poltroncina da sottosegretario
alla Salute, aveva dovuto rinunciare al suo progetto di Terzo Polo. E si
era messo al servizio di Forza Italia, lui e il suo fedele pacchetto di voti.
Quaranta giorni da sottosegretario, quasi un record. «Si vede che sono talmente
bravi da giudicare un lavoro in pochi giorni. Solo una settimana fa Gianni
Letta aveva ascoltato con attenzione i miei tre progetti per la Sanità. Mi
aveva detto che si sarebbe molto adoperato». Non ha avuto il tempo, Letta,
per adoperarsi. E così Salini - una solida amicizia con Gasparri, una solida
carriera prima nella Dc e poi in Forza Italia - è stato cacciato senza troppi
riguardi.
La vicenda nasce a marzo, quando Salini minaccia improvvisamente di mettere
in piedi un terzo Polo, mettendo così in difficoltà Giovanni Pace, candidato
per la Cdl alle Regionali. Nelle strade ci sono già i manifesti dei «riformisti»
di Salini, quando Berlusconi lo convoca. «E mi affida l?incarico». Non che
lui puntasse a una poltrona. «Per carità, volevo solo che l?Abruzzo fosse
più rappresentato, mi sembrava fosse trascurato». Il terzo Polo viene sacrificato.
Ma le elezioni vanno malissimo e Pace, pesantemente sconfitto da Ottaviano
Del Turco, se ne lamenta: «Colpa di questa vicenda kafkiana». Il pacchetto
di voti di Salini è sparito. «Macché, sono stati i cinque anni di inerzia
in Regione - dice Salini - i miei voti c?erano eccome. Nel 2000 arrivai persino
quinto nelle preferenze in Italia. E Berlusconi mi ricevette per premiarmi».
Altri tempi. Ora la sua stella è in declino. E, come dice perfidamente Del
Turco, ora Salini è diventato un «sottosegretario usa e getta».
Eppure ci sono stati momenti peggiori. Come nel 2000, quando una retata mandò
in galera lui e tutta la sua giunta. La notizia finì anche sul New York Times
. «Clientopoli», fu chiamata l?operazione. Salini venne condannato a un anno
e quattro mesi per falso ideologico. Poco dopo si ripresenta e viene eletto.
Per il Tar, però, è ineleggibile e il Consiglio viene sciolto. Al Senato,
invece, la condanna non è un ostacolo. Forza Italia lo ricandida e Salini
viene rieletto. «Perché abbiamo un pedigree - spiega al plurale - Siamo stati
osservati con la lente d?ingrandimento e la gente sa che Salini è un grande
lavoratore e un galantuomo».
Ora bisogna ricominciare. «Ma prima voglio sapere. Ho chiamato Bondi, ma
era da Berlusconi. Ora sto cercando Letta. Mi devono spiegare perché». Nel
frattempo, non si dispera e mangia prosciutto con gli amici: «Non muoio se
non faccio il sottosegretario. Peccato, però, per l?Abruzzo».
Alessandro Trocino
Da L'ESPRESSO
26.09.2002
Attualità I reintegri più incredibili Vado patteggio e torno
di Peter Gomez e Leo Sisti
Commettono reati. Sono condannati. E non vogliono lasciare il posto. Così
grazie a norme ambigue e vertici compiacenti, molti dipendenti non pagano.
Anzi, ci marciano.
In italia ci sono attualmente 3.500 dipendenti pubblici impuniti e intoccabili.
Anche se colpevoli di reati gravi.
Eccola, la vera Italia che resiste, da nord a sud. Quella degli amministratori
e dipendenti pubblici, che, pur condannati, restano inchiodati alla poltrona.
L'ultimo caso è esploso lunedì 16 settembre, quando poco prima della riunione
del Consiglio comunale di Milano, la maggioranza di centro-destra avrebbe
voluto impedire con un escamotage la sospensione del consigliere forzista
Giovanni Terzi, condannato per corruzione a due anni e mezzo in primo grado.
Violando una legge che prevede questa misura.
Lo stesso è successo a Palermo il 20 agosto, esattamente quattro giorni prima
del blitz che alla Malpensa ha smascherato 37 facchini ripresi dalle microcamere
della polizia mentre saccheggiavano i bagagli dei
passeggeri. Quel giorno la direzione del personale della regione Sicilia
ha completato un primo elenco di propri dipendenti condannati o inquisiti,
scoprendo così che venivano ancora regolarmente stipendiate 142 persone finite
nei guai con la giustizia. Tra queste, ben 32 dirigenti: cinque sottoposti
a custodia cautelare, sei indagati a piede libero, due su cui pende una richiesta
di rinvio a giudizio, 16 sotto processo, due condannati in appello e uno
assolto in primo grado. Molti di loro erano accusati di reati gravissimi
(uno, imputato per mafia, faceva addirittura parte dell'ufficio di gabinetto
del presidente Totò Cuffaro, ed è stato trasferito solo quando la cosa è
trapelata sulla stampa locale). Tutti erano rimasti al loro posto.
Mentre si discute (giustamente) delle ruberie da poche centinaia di euro
alla Malpensa, e di come altri 52 operai della Sea (Società servizi aeroportuali)
arrestati nel '97 per furto e ricettazione dopo i patteggiamenti delle pene
abbiano continuato a lavorare negli aeroporti milanesi, in Italia c'è un
esercito di almeno 3 mila 500 dipendenti pubblici impuniti ed intoccabili.
E non per colpa del sindacato. Da una parte ci sono leggi ipergarantiste
(l'ultima è del 2001) che di fatto impongono il licenziamento solo per chi
è stato definitivamente condannato a più di tre anni di reclusione esclusivamente
per corruzione e concussione. Dall'altra, ci sono amministrazioni pubbliche
che evitano di applicare le norme. O che, quando lo fanno, cozzano contro
lo scoglio delle sentenze di patteggiamento. Patteggiare una pena (in ogni
caso al di sotto dei due anni) nel nostro Paese non equivale infatti ad ammettere
la propria colpa. Spiega il presidente dell'Anm Edmondo Bruti Liberati: "La
situazione è paradossale: il patteggiamento non è tecnicamente considerato
una condanna, ma può comportare il carcere, senza però avere nessuna conseguenza
sul rapporto di pubblico impiego".
Così si moltiplicano le disparità di trattamento. A Milano sono stati licenziati
alcuni vigili dell'annonaria che, arrestati per aver preso mazzette dai venditori
ambulanti, hanno poi patteggiato. Erano alle soglie della pensione e non
hanno avuto nulla da eccepire. A Genova invece il pm Francesco Pinto deve
amaramente constatare che sono ancora in servizio, dopo aver concordato la
sentenza, il "70 per cento dei 40 vigili, infermieri e medici" accusati di
truffa, falso ideologico e peculato nell'ambito dello scandalo di assicuropoli:
falsi incidenti stradali per centinaia di miliardi di vecchie lire. Un altro
caso limite è quello di Felice Corticchia, un ex maresciallo dei carabinieri
che dopo aver patteggiato a un anno e 9 mesi per aver calunniato il pool
di Mani pulite, ha strappato un contratto di consulenza a 70 milioni di vecchie
lire l'anno con la Fiera di Milano. A Bolzano è poi ancora vivo il ricordo
del funzionario della Provincia Helmuth Eisendle che, reduce da un patteggiamento
per vicende legate ad acquisti di apparecchiature sanitarie, è stato in seguito
promosso (dalla Provincia) a direttore amministrativo dell'ufficio strade.
Ancora più clamorosa la vicenda di 22 ufficiali e sottufficiali dell'esercito,
che finiti in manette a Milano per le tangenti sulle forniture di divise,
hanno scelto il rito alternativo in cambio di un mite verdetto. Quasi tutti
sono ancora sotto le armi. I procedimenti disciplinari avviati alla fine
dell'iter giudiziario sono naufragati di fronte ai ricorsi al Tar. Spiega
l'avvocato Luigi Ligotti, difensore di uno dei militari inquisiti: "Una sentenza
della corte di Cassazione distingue tra il patteggiamento che avviene prima
del dibattimento, cioè quando il giudice non conosce ancora gli atti, e quello
che avviene dopo, con il "recupero" di un'istanza di patteggiamento ingiustamente
negata. Solo nel secondo caso il patteggiamento equivale all'accertamento
dei fatti". Insomma chiudere tutto subito conviene. Lo dimostrano anche le
statistiche contenute nella prima relazione della Corte di disciplina del
consiglio universitario nazionale, l'organismo che esamina le malefatte dei
professori. Nel 2000, su 30 casi esaminati (e quasi tutti chiusi in sede
penale da un patteggiamento) solo otto sono terminati con provvedimenti punitivi.
In un solo episodio (un docente che aveva costretto una minorenne a subire
abusi sessuali) c'è stata la destituzione dell'incolpato. In tutti gli altri
sono state comminate sospensioni minime: da dieci giorni a un anno. Ad esempio,
appena un anno per un docente che vendeva le prove dell'ammissione ai corsi
di laurea; sei mesi a un collega che promuoveva in cambio di regali; soltanto
15 giorni a un professore reo di "molestie sessuali nei confronti di una
dipendente". La norma è insomma troppo blanda. E soprattutto si limita ad
occuparsi solo di chi ha preso mazzette. Commenta l'ex pm di Mani Pulite,
Piercamillo Davigo, oggi giudice: "Probabilmente la soglia dei tre anni prevista
dalla legge verrà interpretata nel senso che, al di sotto, la stragrande
maggioranza dei condannati non può essere licenziata". Ma non basta. Molti
enti pubblici o a maggioranza pubblica non danno il buon esempio. In maggio
il governo Berlusconi ha nominato amministratore delegato dell'Enel Paolo
Scaroni, che nel '96 ha patteggiato una pena di un anno e quattro mesi. Poteva
farlo (il divieto cade dopo 5 anni). Ma non è elegante piazzare proprio lì
chi, da privato, ha versato tangenti per vincere appalti dall'azienda che
oggi dirige.
Anomala anche la situazione del Parlamento dove siedono alcuni deputati e
senatori che per una legge del '90 non possono far parte di enti locali perché
condannati. Esemplari le storie del neosenatore Augusto Rollandin che, decaduto
da consigliere regionale dopo una condanna per abuso d'ufficio, è stato eletto
al Senato nel 2001 da Ds e Union Valdotaine; e quella del vicepresidente
forzista della regione Abruzzo Rocco Salini che, cacciato per una condanna
per falso, è invece entrato a Palazzo Madama. Come dire: le condanne non
sono eguali per tutti.