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I metodi contabili ed i sistemi di scritture: evoluzione storica e processuale

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    00 21/05/2006 16:13
    I metodi contabili ed i sistemi di scritture: evoluzione storica e processuale

    Sommario: l. Introduzione; 2. L’affermazione della cosiddetta “Partita Doppia”; 3. La teoria contabile della proprietà; 4. La teoria contabile dell’entità; 5. Il Sistema dei conti nella logica patrimoniale di Fabio Besta; 6. Il Sistema reddituale di Gino Zappa; 7. Sulla contrapposizione tra il sistema del patrimonio e il sistema del reddito; 8. Considerazioni conclusive.

    l. Introduzione

    Il termine “scrittura contabile” indica l’annotazione in un apposito prospetto (tradizionalmente chiamato “conto”) di informazioni economiche – amministrative (solitamente sotto forma di cifre numeriche), desunte da un processo di osservazione qualitativo – quantitativo, definito “rilevazione”. Scrittura contabile e rilevazione sono, quindi, diversi concetti, anche se, ad onor del vero, nel linguaggio comune i due termini sono spesso usati come sinonimi.

    La tenuta dei conti, attraverso cui apprezzare i caratteri di ogni fatto gestionale, comporta l’applicazione di norme con cui disciplinare il modo di funzionamento dei conti: tale metodo è solitamente definito “metodo di registrazione”[1]. Con tale definizione diventa ovviamente chiaro che tra i due aspetti esiste, in Economia Aziendale, una notevole differenza, anche se le due operazioni sono intimamente legate tra loro.

    Lo sviluppo del contenuto delle scritture contabili è stato notevolmente influenzato dal processo di trasformazione storica delle aziende di produzione e dalle particolari esigenze operative pratiche, dell'influenza del clima culturale dominante nelle diverse epoche. In questa sede vogliamo riepilogare il processo evolutivo del metodo di tenuta delle scritture contabili e la conseguente genesi del sistema patrimoniale e reddituale[2], evidenziando i presupposti da cui tali sistemi ebbero origine ed il diverso contesto economico – ambientale in cui si svilupparono[3]. L’arte contabile è infatti cambiata in relazione alle impellenti necessità di conoscere, in ogni tempo, l’essenza delle configurazioni delle varie aziende, richiedendo nuove tecniche e “nuovi contenuti da dare alle scritture contabili, al fine di adeguarle alle modificate condizioni economiche, aziendali, ambientali e ai mutati obiettivi attribuiti alla stessa contabilità”[4].

    L’articolarsi del metodo contabile ha da sempre avuto per oggetto la misurazione preminente del patrimonio (dapprima quello personale e poi di quello esclusivamente aziendale), al fine di controllare la gestione della stessa ricchezza; esso è poi stato strettamente correlato all’affermarsi del concetto d’impresa ed alla composizione della sua struttura produttiva[5]. Solo quando l’azienda ha raggiunto una struttura dimensionale complessa, diventando così un centro con più interessi da tutelare, si sono elaborati sistemi contabili compiuti[6], in cui alle tecniche di tenuta delle scritture è stato affidato un determinato oggetto da rilevare[7]. Venne così ad affermarsi la differenza concettuale tra metodo e sistema contabile, intendendo per metodo la forma (ossia il modo con cui tenere le scritture)[8] e, per sistema, l’oggetto (ossia il contenuto che per mezzo della forma va percepito e osservato)[9].

    I primi due sistemi contabili formatisi rispettivamente in concomitanza con l’affermazione e la definitiva consacrazione dell’azienda – capitalistica. sono il cosiddetto “sistema patrimoniale” di Fabio Resta ed il “sistema del reddito” di Gino Zappa[10]. Data l’importanza che essi rivestono, riteniamo opportuno analizzarli singolarmente, premettendo però alcune considerazioni generali sullo strumento che entrambi hanno utilizzato nell’elaborazione delle proprie teorie

    2. L’affermazione della cosiddetta “Partita Doppia”

    Sin dai tempi più lontani, lo svolgimento di una qualsiasi attività economica, anche se organizzata nelle forme più semplici, ha comportato la necessità di tener memoria dei fatti gestionali, soprattutto per quanto concerne i rapporti con i terzi (in particolare, creditori e debitori). Già nelle forme aziendali più antiche ritroviamo i primi conti, i primi libri, i primi rudimentali procedimenti di rilevazione contabile[11]. L’uso di questi conti diventò, nel tempo, l’oggetto di un vero e proprio metodo di registrazione, perfezionatosi con lo sviluppo delle attività economiche. Ad onor del vero, vi sono indizi precisi che ci portano a pensare all’esistenza di un metodo di registrazione già presso i Romani ed altre civiltà del Medio e dell’Estremo Oriente.

    L’oggetto dei conti fu, per molti secoli, la rilevazione del solo aspetto finanziario delle operazioni: era invece del tutto trascurato l’altro aspetto, ossia quello economico legato all’amministrazione dell’azienda[12]. Del resto, nell’impresa del mondo medioevale[13], non è dato riscontrare la presenza permanente dei mezzi di produzione destinati dal soggetto economico all’esercizio dell’attività produttiva: in quell’epoca, piuttosto, dominava lavoro umano, mentre le attrezzature a disposizione furono di ausilio ad esso, non potendosi, quindi, parlare di strumenti di produzione o, ancor di più, di immobilizzazioni[14]. In quest’epoca, quindi, fu lo scambio e non la produzione il momento dominate dell’attività economica che le scritture contabili dovevano rilevare e rappresentare. Pertanto, possiamo affermare che l’impostazione della contabilità fu finalizzata alla rilevazione degli avanzi e disavanzi finanziari, senza riservare eccessivo apprezzamento agli andamenti economici. Alla redazione periodica di inventari generali si affidò, invece, il compito di rappresentare il patrimonio complessivo, che, raffrontato con la consistenza iniziale, doveva dare dimostrazione del risultato di periodo[15]. Nella nozione di patrimonio, inoltre, si ricomprendevano beni di diversa natura, da quelli in uso alla famiglia a quelli presi in affitto, dai mezzi finanziari ricevuti da terzi ai beni destinati all’attività commerciale, e via di seguito. Come vedremo, però, una tale impostazione non poteva rivelarsi adeguata alle esigenze di un’impresa moderna: era pertanto necessario apportare maggiore chiarezza nella metodologia di rilevazione medioevale.

    3. La teoria contabile della proprietà

    Tradizionalmente, la divulgazione di un metodo rivoluzionario ed, al tempo stesso, estremamente semplice, è attribuita all’opera “Tractatus Particularis de Computis et Scripturis”, inserita nella più vasta “Summa de Arithmetica, Geometria, Proportioni et Proporzionalità” di Frà Luca Pacioli, pubblicata a Venezia nel 1494, all’indomani della scoperta del Nuovo Mondo[16]: paradossalmente, anche tale “opera di divulgazione” segnò una nuova era nell’attività mercantile e bancaria del Rinascimento, tant’è che ancora oggi, con le dovute varianti, essa viene usata praticamente in tutto il mondo[17]. Tale metodo è anche conosciuto con il termine “metodo italiano di contabilità” (o “metodo della doppia entrata”) e si diffuse rapidamente, soppiantando tutti gli altri metodi di registrazione in precedenza utilizzati, per la sua maggiore razionalità, semplicità ed efficacia nel seguire i fenomeni aziendali[18]. Tra i fattori che spinsero ad una più precisa metodologia di rilevazione vanno ascritti, senza ombra di dubbio, la crescita dell’attività commerciale ed economica in generale, l’occupazione di territori d’oltremare e la nascita della borghesia, dedita a lucrative attività mercantili[19].

    Le innovazioni riguardarono, però, anche aspetti più propriamente contenutistici. Infatti, dal tentativo di seguire un metodo logico nella esposizione contabile dei fenomeni amministrativi, si sviluppò la teoria contabile della proprietà, secondo la quale “gli affari hanno bisogno di fondi per operare”[20]. Tali fondi inizialmente venivano apportati dal proprietario (o proprietari) ed in seguito anche da terzi – estranei. I fondi così costituiti formavano il valore disponibile (attività), mentre gli incrementi ed i decrementi della proprietà erano l’avanzo o il disavanzo netto. Nella succitata teoria, il proprietario occupava una posizione centrale all’interno della struttura aziendale, in quanto era considerato il possessore diretto delle disponibilità dell’impresa. Questo concetto, in formula, può essere espresso così[21]:

    ATTIVITÀ – PASSIVITÀ = PROPRIETÀ

    dove:

    • attività = i beni posseduti dal titolare;

    • passività = i debiti del titolare;

    • proprietà = il capitale fornito dal titolare.

    La suddetta teoria in questione andò bene sino a quando la forma di organizzazione degli affari fu a base ristretta societaria[22].

    Soltanto agli inizi deI XIX secolo la gestione dell’impresa fu definitivamente dissociata dalla ristretta cerchia familiare, grazie allo sviluppo della meccanizzazione e della rivoluzione industriale, con conseguenti nuove problematiche; in questo clima di cambiamenti si rese necessaria la formazione di una metodologia contabile adeguata all’interpretazione dei fatti economico – tecnici[23]. L’evoluzione di tale metodologia, inoltre, consentì all’imprenditore il controllo dell’amministrazione dell’impresa[24]. La vecchia impresa artigianale, di fronte alle nuove sfide, si vide costretta a rivolgersi ai terzi per la raccolta di capitale di rischio, trasformandosi in una veste capitalistica, ben espressa dal modello societario: ciò comportò la definitiva

    separazione dell'attività produttiva da quella erogativa[25].

    Inoltre, verso la fine del medesimo secolo, si assistette alla separazione della proprietà dal controllo degli affari; il proprietario non è più il possessore diretto delle attività disponibili dell’impresa, ma solo il possessore di titoli rappresentativi (ad esempio, azioni o quote). In quest’ottica, l’attività imprenditoriale finì per essere concepita come un’istituzione a sé stante, separata e distinta da coloro che forniscono i finanziamenti[26].

    4. La teoria contabile dell’entità

    Alla luce dei suddetti cambiamenti, la teoria dei conti della proprietà fu sostituita dalla cosiddetta “teoria dell’entità”, che basò le sue concezioni sul concetto di azienda come organizzazione, avente fine di lucro, distinta dalle attività del proprietario[27]. L’equazione fondamentale su cui si fonda tale teoria è:

    ATTIVITÀ = PASSIVITÀ + CAPITALE NETTO

    dove:

    • attività = i beni posseduti dal titolare. Di particolare rilievo, soprattutto nelle attività industriali, diventano le cosiddette “attività immobilizzate”, che assumono una connotazione peculiare dell’impresa societaria;

    • passività = i debiti del titolare;

    • capitale netto = il valore dei titoli rappresentativi.

    In quest’ottica, il patrimonio dei proprietari non ha più un’importanza fondamentale rispetto alle altre forme di patrimonio appartenenti a terzi. In effetti, con l’affermazione della produzione industriale negli opifici, si resero necessari sempre maggiori investimenti in immobilizzazioni, il che comportò una crescita dimensionale delle imprese: gli strumenti produttivi si perfezionarono, il personale impiegato aumentò di numero e si crearono i presupposti per la contrapposizione tra i proprietari del capitale di rischio e i lavoratori.

    Tutto ciò indusse a modificare il contenuto delle scritture contabili, le quali dovevano rispondere all’esigenza di determinare, ad intervalli prefissati, il risultato della gestione, che doveva essere, ovviamente, il più elevato possibile, secondo i classici canoni della filosofia capitalistica[28]. La motivazione del raggiungimento di un elevato utile si basava sul convincimento che solo un risultato di tale genere potesse giustificare l’ingente capitale investito nel processo di produzione[29].

    In verità, l’adeguamento dei sistemi contabili alla risoluzione delle nuove esigenze non fu automaticamente correlato allo sviluppo dell’impresa: fino agli inizi del XX secolo prevalsero gli aspetti finanziari della gestione e l’uso dei conti risentì delle cosiddette “teorie personalistiche”, vale a dire di quelle teorie che, come abbiamo già accennato, orientarono il sistema contabile verso la rilevazione dei fatti amministrativi, sulla base dei rapporti giuridici che si generano tra l’azienda e i terzi[30].

    Fu Fabio Resta[31], fondatore della ragioneria scientifica[32] e della sua teoria dei conti a valore[33], a spingere la metodologia contabile ad abbandonare la teoria dei logismografi, e segnare un grande progresso verso la costruzione induttivo – sperimentale[34] di un metodo contabile[35], attento agli aspetti gestionali[36] al fine di avere un utilizzo ottimale delle risorse aziendali[37].

    I conti non furono più accesi a persone, ma bensì agli elementi attivi e passivi del patrimonio aziendale ed alle variazioni positive o negative degli stessi. Ai singoli elementi del patrimonio fu assegnato un valore, coincidente con il loro valore reale, ossia con il costo di produzione oppure, in caso di operazione di scambio, contro denaro, con il prezzo normale o comune[38]. In tale nuovo approccio rivestì un carattere fondamentale la nozione di “conto”, che tuttora, a detta degli studiosi rimane la più valida: il conto fu inteso dal Besta come “una serie di scritture riguardanti un oggetto determinato, commensurabile e mutabile, e aventi per ufficio di serbar memoria della condizione e misura di tale oggetto in un dato istante e dei mutamenti che va subendo, in maniera da poter rendere ragione dello stato di codesto oggetto in un tempo quale si voglia”[39]. Così Besta trasformò la vecchia “arte del far di conto”, dove alle scritture si assegnava il compito di annotare crediti o debiti, nello “studio dell’amministrazione aziendale, in cui le scritture contabili erano un valido strumento di gestione”[40]. La motivazione dell’impostazione del Besta si accorda, del resto, con il clima in cui egli opera. Infatti, le strutture operative degli inizi del secolo XX erano caratterizzate dal patrimonio, inteso come sommatoria di elementi materiali. Era pertanto ovvio che l’attenzione si spostasse su tale nuova entità, considerata espressione e misurazione dell’equilibrio aziendale. Le variazioni degli elementi patrimoniali davano contezza dei risultati dell’amministrazione compiuta su tali elementi. Centro e oggetto della metodologia contabile fu, pertanto, l’evoluzione giuridica e tecnico – contabile degli elementi costituenti il patrimonio nel divenire dell'amministrazione[41].

    5. Il Sistema dei conti nella logica patrimoniale di Fabio Besta

    La scelta del patrimonio come oggetto del sistema di rilevazione e di osservazione dei fenomeni aziendali scaturì dalla convinzione che la ricchezza patrimoniale fosse l’aspetto comune a tutte le aziende, sia di erogazione che di produzione, e che oggetto dell’amministrazione aziendale fosse tale entità.

    Il patrimonio venne così osservato in termini qualitativi[42] da due punti di vista, direttamente nei suoi elementi patrimoniali (attività e passività) e indirettamente nella sua misura netta[43]. L’analisi del patrimonio fu talmente approfondita da richiedere in sede di applicazione la rilevazione anche dei fenomeni interni di gestione relativi al processo tecnico produttivo: infatti, erano rilevati anche i movimenti interni di merci, prodotti, materie, etc.[44].

    Rivoluzionaria fu la nozione di patrimonio, concepito come grandezza commensurabile per via del valore monetario, ossia “come aggregato di beni, qualitativamente e quantitativamente difformi, che trovano però un comune denominatore che ne possa misurare la loro entità nel valore, esprimibile attraverso l’uso di una moneta di conto”[45].

    L’incremento del patrimonio era considerato “il fulcro della stessa continuazione dell’attività aziendale”[46], così che la sua conoscenza (piuttosto che la sua analisi interpretativa[47]) al termine dell’esercizio era l’obiettivo fondamentale delle scritture contabili. In altre parole, l’azienda era concepita come una coordinazione di beni materiali ed umani e ciascun elemento del patrimonio aziendale poteva essere valutato e seguito nelle variazioni subite a causa della gestione, attraverso la misura del suo valore monetario[48].

    Le variazioni positive furono iscritte nella stessa sezione del conto (per convenzione quella sinistra, il Dare), mentre i decrementi che quest’attività subiva nella sezione opposta (e cioè Avere). I diritti di terzi che gravano sul patrimonio aziendale, invece, furono rilevati per registrare gli elementi passivi del patrimonio, misurati da un valore posto nella sezione destra dei conti ad essi accesi; nella sezione opposta, invece, furono scritturate le estinzioni di tali passività.

    La sommatoria dei valori dei saldi dei singoli elementi attivi e passivi della ricchezza aziendale misurava il valore del capitale netto. Le variazioni patrimoniali che influivano sul patrimonio netto erano considerati i soli componenti di reddito[49]: da ciò si può dedurre che i componenti di reddito in un sistema così concepito altro non sono che risultati lordi[50], mentre era del tutto assente qualsiasi determinazione analitica delle voci di costo e di ricavo[51]. Il conto acceso al patrimonio netto consentiva la registrazione di quei fatti amministrativi che modificavano l’entità di elementi del patrimonio e che non trovavano corrispettivo in contrapposte variazioni di altri elementi- Tale conto o i conti da esso generati, furono dal Besta chiamati “conti patrimoniali derivati”: essi traevano origine dalle cause economiche o finanziarie modificative dell’entità del patrimonio netto e consentivano il rispetto del canone di registrazione in Partita Doppia, che richiede la contrapposta registrazione di ogni fatto amministrativo nella sezione Dare di uno o più conti, ad analoga registrazione di uguale importo nella sezione Avere di uno o più conti[52].

    La teoria dei conti a valore permise un chiaro progresso del metodo di registrazione, ponendo ad oggetto delle scritture contabili un’entità così complessa quale il patrimonio e il risultato che dalla differenza patrimoniale scaturiva dalla sua gestione, svincolando in tal modo il metodo contabile dalle finzioni aziendali cui lo costringevano le teorie personalistiche.

    In realtà la gestione d’impresa comportava l’esigenza di uniformarsi a criteri del tutto nuovi, in cui la dinamica gestionale fosse vista, nei suoi aspetti specifici e sostanziali[53], come un fenomeno unitario e rappresentato nella sua globalità, ed in cui il processo di formazione del reddito fosse analizzato nella sua complessità[54].

    Si andò così sempre più sviluppando lo studio dell’economia dell’azienda, dove la gestione, l’organizzazione e la rilevazione furono considerate sullo stesso piano di rilevanza, mentre il singolo fatto amministrativo venne analizzato nelle sue cause e rilevato in rapporto con gli altri fenomeni ad esso connessi, nella ricerca delle condizioni di equilibrio atte a garantire la sopravvivenza dell’insieme aziendale[55]. Ne risultarono pertanto modificati i concetti di azienda, di capitale e le stesse finalità delle scritture contabili subirono una riordinazione teorica.

    Questa nuova e profonda sistemazione concettuale trovò larga espressione nel pensiero di Gino Zappa, che completò la costruzione del Besta, integrandola e sviluppandola in modo da adattarla compiutamente alla mutata realtà economica[56].

    Rilevante attenzione fu dedicata, dal punto di vista contabile, all’esame quantitativo – monetario del capitale, unitamente al processo di formazione e alla determinazione economica del reddito: da ciò deriva la denominazione della teoria zappiana come “sistema del reddito”[57].

    6. Il Sistema reddituale di Gino Zappa

    La teoria di Gino Zappa, come in precedenza accennato, si rivelò fondamentale per lo sviluppo degli studi aziendalistici. Essa, in prima approssimazione, può definirsi come basata su una concezione realistica dell’impresa, la quale è vista come “un organismo complesso e dinamico, inserito in un contesto mutevole, che tende all'equilibrio nel tempo”[58]. Infatti, secondo il su citato Maestro, l’impresa è un organismo sistematico nel quale organizzare la produzione dei beni e servizi attraverso il coordinamento degli strumenti di produzione che perdono la loro individualità ed il cui singolo valore acquista significato se correlato all’utilità che offre all’azienda[59]. La redditività diventò il parametro per distinguere se il complesso dei beni investiti nel sistema d’impresa fosse stato coordinato vantaggiosamente per il soggetto aziendale e la massimizzazione del profitto finì per rappresentare l’obiettivo strategico della gestione aziendale.

    Ciascun accadimento della gestione d’impresa, caratterizzata nei suoi aspetti di unitarietà e dinamicità, fu esaminato fondamentalmente sotto due aspetti entrambi principali: quello economico (costo o ricavo), contrapposto all’aspetto finanziario (uscita o entrata). Oggetto delle rilevazioni contabili furono, da una parte, il fenomeno di trasformazione e, dall’altra, il sistema finanziario di circolazione monetaria; l'acquisizione dei fattori di produzione comportò ]a rilevazione dei costi (conti negativi di reddito o economici), i quali trovarono la loro misurazione nelle relative uscite finanziarie (conti di numerario passivi), mentre la vendita dei prodotti generò la registrazione dei ricavi (conti positivi di reddito) misurati da entrate finanziarie (conti di numerario attivi)[60].

    I fatti aziendali sono così rilevati nelle loro diverse manifestazioni numerarie e nello stesso tempo studiati nel loro contenuto, in modo da avere, alla fine del periodo amministrativo, una cognizione esclusivamente unitaria del capitale d’impresa e delle cause della sua modificazione. Ciò portò ad avere una visione completa. globale e quanto più vicina alla realtà dell'azienda. evitando la determinazione di singoli risultati parziali, come invece avveniva nella teoria patrimoniale del Besta[61].

    Il flusso continuo di costi e ricavi, di origine esclusivamente esterna, venne ad essere misurato quantitativamente e soprattutto valutato al fine di stabilire quale parte dovesse considerarsi di pertinenza dell'esercizio: cosicché il reddito di esercizio si staccò dal concetto di variazione di capitale netto e scaturì dalla differenza tra ricavi attribuiti all’esercizio e costi attribuiti all’esercizio.

    Invertito fu il paradigma causale del procedimento valutativo del risultato di periodo, rispetto alla concezione patrimonialistica; non più la determinazione prioritaria delle variazioni del patrimonio, la quale incidentalmente determinava anche il reddito, ma si rilevava dapprima il reddito per determinare successivamente (e in maniera indiretta) il capitale[62].

    Abbandonata fu qualsiasi rilevazione dei fenomeni interni, in quanto derivanti da congetture che ne inficiavano l'attendibilità nella determinazione del reddito[63]. Pertanto, poiché l’unico aspetto attendibile della rilevazione dei fenomeni era considerato quello monetario, oggetto di rilevazione furono solo i fatti esterni della gestione[64]. All’aspetto monetario, che rappresentò l’aspetto originario, ne fu associato un altro di tipo economico, ugualmente attendibile, essendo derivato dal primo[65].

    Nacquero in questo nuovo scenario le rilevazioni sistematiche in contabilità generale, basate sulla duplice osservazione e rilevazione dei fatti aziendali. L’esclusione di ogni rilevazione di operazioni di gestione interna, affidate a strumenti di rilevazioni extra-contabili, rese le scritture contabili più snelle e consentì di prestare maggiori attenzioni ai fenomeni esterni, che ebbero una misurazione più attendibile e un contenuto più diretto ai fenomeni della vita aziendale.

    Alla nuova concezione di impresa e all’evidenziazione dell’aspetto economico e finanziario della gestione si accompagnò anche una profonda e diversa concezione del capitale sia sotto l'aspetto qualitativo che sotto l'aspetto quantitativo[66].

    Il capitale d’impresa, visto nei suoi elementi qualitativi, comportò la necessità, alla fine del periodo, di redigere un inventario, per rettificare i valori di conto, in considerazione degli elementi che non trovando contropartita esterna all’azienda non erano stati acquisiti come dati storici dal sistema contabile.

    Lo stesso capitale d’impresa, esaminato, invece, nel suo aspetto quantitativo, come misura del valore d’impresa nella quale continuamente si rinnova il ciclo produzione-scambio ed investimento-recupero, causò tutta una serie di problemi di valutazione[67].

    Il capitale fu concepito così come uno strumento di produzione, scomposto contabilmente nei suoi elementi solo per comodità di rilevazione contabile, in quanto anello di congiunzione dei vari esercizi in cui la vita aziendale fu artificiosamente scomposta[68]. Il metodo contabile in questo diverso contesto dovette dunque rispondere all'esigenza di rilevare il risultato economico, mentre la determinazione del capitale divenne solo l’anello di congiunzione dei vari esercizi.

    L’impulso che il metodo contabile ricevette da questa teoria fu certamente il perfezionamento e il completamento dei suoi contenuti, dovendo il suo scopo essere non solo quello del controllo della gestione, ma anche quello di rappresentare la realtà aziendale attraverso l’utilizzo dei dati contabili e l’interpretazione degli stessi, dopo essere stati opportunamente elaborati.

    7. Sulla contrapposizione tra il sistema del patrimonio e il sistema del reddito

    Dall’analisi di quanto in precedenza visto, emerge come le due teorie elaborate dal Besta e dallo Zappa risposero a differenti esigenze conoscitive, in relazione al contesto culturale, economico, sociale ed al comportamento degli operatori aziendali che vi operarono. Sotto un certo punto di vista possiamo anzi affermare che esse furono l’una continuazione dell’altra, in un processo di completamento[69]. In realtà, più che di due sistemi contabili contrapposti, si è trattato di due diversi modi di orientare il metodo della partita doppia di fronte al medesimo oggetto di rilevazione, ossia il capitale e il reddito. Questi due orientamenti scaturirono da difformi basi logiche, risiedenti nei concetti di azienda e del suo patrimonio di gestione e della misurazione dei suoi risultati, che a loro volta sono state frutto dell’ambiente in cui sono venute a svilupparsi[70]. Il loro contenuto, infatti, è risultato identico, in quanto dalla rilevazione dei fatti amministrativi in entrambi si perviene alla determinazione sia del capitale nei suoi aspetti qualitativo-quantitativo, sia del risultato generale d’impresa[71].

    La teoria patrimoniale del Besta considera la materia dei conti come un complesso frammentario di elementi patrimoniali di cui si devono determinare le variazioni attive e passive e dalla cui contrapposizione scaturiscono i risultati economici particolari dei vari rami della gestione, rappresentativi dell’incremento o del decremento del patrimonio netto. Da questi risultati parziali si giunge, poi, alla determinazione di un risultato lordo generale della produzione caratteristica dell’impresa[72].

    La teoria reddituale dello Zappa, invece, considera quella stessa materia come un complesso coordinato e inscindibile di costi e ricavi, misurati rispettivamente da variazioni numerarie attive e passive e che contrapposti tra loro danno origine ad un unico risultato generale finale che è anch’esso incremento o decremento del patrimonio netto aziendale[73].

    Non vi è, in particolare, un oggetto diverso di rilevazione contabile nelle due teorie, ma il medesimo sistema considerato sotto visuali diverse[74].

    La differenza tra i due sistemi consiste nell’attribuire priorità diverse ai due risultati e, soprattutto, nel rappresentare la stessa realtà con procedure tecniche differenti[75].

    Solo in anni relativamente recenti la visione reddituale e quella patrimoniale dell’azienda è stata magistralmente puntualizzata dall’Amaduzzi, che ha indagato direttamente le operazioni aziendali, rispetto alle quali capitale e reddito non sono che aspetti derivati[76]. Questa visione più diretta dei fatti amministrativi, basata sull'aspetto finanziario ha, poi, permesso all’Autore di elaborare una più ampia teoria dell’equilibrio, considerato sotto l’aspetto finanziario, economico e patrimoniale[77].

    8. Considerazioni conclusive

    Questo breve excursus evidenzia come siano stati numerosi i cambiamenti e le attribuzioni assegnate alle scritture contabili, frutto delle diverse esigenze informative dei diversi interessi. A seconda delle esigenze e degli interessi, infatti, sono venuti a modificarsi procedure applicative e contenuti delle scritture contabili[78].

    Oggi l’azienda coinvolge una moltitudine di soggetti che a vario titolo hanno interessi economici (azionisti, clienti, fornitori, dipendenti, Enti Pubblici, etc.): in un tale contesto dinamico si è affermata la “teoria dell’impresa” in cui l’azienda non è più concepita come entità autonoma, esistente a beneficio del titolare-proprietario, ma come istituzione sociale. L’impresa è divenuta parte in causa delle conflittualità che caratterizzano la società moderna proprio per la natura degli interessi contrapposti che in essa confluiscono. Diventa pertanto evidente l’importanza di un orientamento contabile che sappia garantire coloro che da una gestione sana dell’impresa, fondata sull’interpretazione equilibrata dei dati contabili, vedano tutelati i propri interessi. In questo senso vanno lette le molte istanze tese a favorire una più accurata informazione aziendale[79]. L’odierno obiettivo della contabilità è, quindi, quello di offrire all’esterno un'informazione chiara, veritiera e corretta del reddito prodotto[80].

    É sulla base di queste considerazioni che si fa sempre più strada l’uso di metodiche che prescindono dai dati storici di conto, per fornire dati e informazioni sul valore economico della realtà aziendale, soprattutto in considerazione dell’importanza assunta dai componenti immateriali del capitale[81].

    Domenico Lamanna Di Salvo

    Dottore commercialiste - Revisore contabile

    Docente presso la libera Università di Bolzano

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    00 21/05/2006 16:13
    [1] Per ulteriori approfondimenti sul concetto di scrittura contabile, di conto, di rilevazione e di metodo di registrazione si rimanda a: Zappa G. –Azzini L. –Cudini G. , Ragioneria Generale, Milano, 1951, pp. 25 ss. ; Amaduzzi A. , Ragioneria Generale, vol. II, I procedimenti di rilevazione, Firenze, 1950, p. 134; Amaduzzi A. , L’azienda nel suo sistema e nei suoi principi, UTET, Torino, 1978, pp. 444 ss. ; Cassandro P. E. , Trattato di Ragioneria, Cacucci, Bari, 1985, pp. 443 ss. ; Cassandro P. E. , Metodologia contabile e metodologia statistica, in “Scritti vari”, Cacucci, Bari, 1991, pp. 305 ss. ; D’Alvise P. , Principi e precetti di ragioneria, Padova, 1934, p. 506.

    [2] Un sistema contabile è “l’insieme coordinato di conti utilizzati per la rilevazione di un determinato oggetto complesso. Esso, quindi. in quanto sistema di conti, altro non è che un sistema di valori” cfr. Amaduzzi A., L’azienda nel suo sistema e nei suoi principi, op. cit. , p. 538. Sul punto si veda, inoltre: Masini C. , Lavoro e risparmio, Torino, 1979, p. 203; Cassandro P. E. , Le rilevazioni aziendali, Cacucci, Bari, 1971, pp. 237 ss. ; De Dominicis U. , Lezioni di ragioneria generale. La Contabilità Generale e la Contabilità d’esercizio nelle imprese, vol. V, Bologna, 1986, p. 129; Onida P. , La logica e il sistema delle rilevazioni quantitative d’azienda, Giuffrè, Milano, 1970; Rossi N. , L’Economia di azienda e i suoi strumenti di indagine, Torino, 1964, pp. 88 e ss.

    [3] La rilevazione dei fatti economici ha certamente preceduto lo studio unitario ed organico dell'azienda e addirittura la stessa definizione di azienda. Sull'argomento si rinvia a: Amaduzzi A. , L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, UTET, Torino, 1978, pp. 48 ss. ; Onida P. , Le discipline economico – aziendali, Giuffrè, Milano, 1951.

    [4] “... un metodo nasce concretamente, e si forma. in connessione a un dato sistema, sicché il suo studio riesce più efficace se lo si considera congiuntamente al sistema intorno al quale si sviluppò. … tra sistema e metodo non vi può essere netta e assoluta separazione. se si vuole che il metodo riesca davvero efficace strumento conoscitivo e di controllo”: cfr. Cassandro P. E. , Trattato di Ragioneria, op. cit. , p. 450. Sull’argomento si vedano, tra gli altri: Amaduzzi A. , L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, UTET, Torino, 1978, pp. 48 ss. ; Onida P. , Le discipline economico – aziendali, op. cit. ;Onida P. , Economia d’azienda, UTET, Torino, 1971, p. 564; Paoloni M. , Introduzione alla contabilità generale ed al Bilancio d’esercizio, Cedam, Padova, 1994, p. 110.

    [5] Onida P. , Economia d’azienda, op. cit. , pp. 555 ss.

    [6] Diversi sono i fini cui può mirare un sistema di conti. Con riferimento a tali fini potremo individuare, tra gli altri:

    - sistemi di contabilità generale, avente lo scopo di determinare il risultato aziendale complessivo;

    - sistemi di contabilità finanziaria, quando il fine è la determinazione dell’avanzo o del disavanzo finanziario;

    - sistemi di contabilità dei costi, quando si vuole determinare i costi ed i risultati analitici di produzione;

    De Dominicis U. , Lezioni di ragioneria generale. La Contabilità Generale e la Contabilità d’esercizio nelle imprese, vol. V, Bologna, 1986, pp. 129 ss.

    [7] Cfr. Ponzanelli G. , Lezioni di ragioneria generale, Siena, 1975, p. 497.

    [8] Cassandro, nel definire i metodi contabili “insieme di norme convenzionali”, sostiene che almeno teoricamente tali norme potrebbero essere applicate per la rilevazione di più oggetti diversi. AI riguardo, lo stesso Besta affermava la possibilità, da un lato, di applicare lo stesso metodo per la rilevazione di oggetti diversi e, dall’altro, di adottare metodi diversi per la tenuta delle scritture contabili costituenti un determinato sistema. Cfr. Cassandro P. E. , Trattato di Ragioneria, op. cit. , pp. 443 ss.

    [9] Amaduzzi A. , L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, op. cit. , pp. 538 ss. ; Cassandro P. E. , Trattato di Ragioneria, op. cit. , pp. 444 ss. ; Cassandro P. E. , Metodologia contabile e metodologia statistica, op. cit. , p. 595 ss. ; Onida P. , Le discipline economico – aziendali, op. cit.

    [10] “Questi due sistemi contabili possono essere definiti «sistemi originari». Dalle rispettive loro concezioni e dalle successive modifiche sono, poi, scaturiti i «sistemi derivati» patrimoniali (sistema patrimoniale nella variante corrente, sistema patrimoniale nella variante anglo-americana) e reddituali (sistema del reddito secondo la variante delle variazioni finanziarie, sistema del reddito secondo la variante delle rimanenze presunte): così Amodeo D. , Ragioneria generale dell’impresa, Napoli, 1983, pp. 911 e 928; Gabrovec Mei O. , Sistemi contabili e strutture del conto del risultato economico, Cedam, Padova, 1998; Paoloni M. , Introduzione alla contabilità generale ed al Bilancio d’esercizio, op. cit. , p. 111.

    [11] Per maggiori dettagli si rinvia a: Turco M. , I procedimenti di rilevazione contabile. Le origini storiche del conto e della Partita Doppia, RIREA, Roma, 1999.

    [12] Cfr. Luchini E. , Storia della Ragioneria italiana, Cacucci, Bari, 1990, pp. 14 ss

    [13] Sulla struttura delle aziende medioevali si rimanda a: Ponzanelli G. , Metodologia contabile, Industria Grafica Pistoleri, Siena, 1969, pp. 42 ss.

    [14] “Pur se incominciarono ad essere utilizzati strumenti di lavoro, essi svolsero, infatti, una funzione di semplice completamento e supporto al lavoro manuale”: così si esprime Bariola P. , Storia della Ragioneria italiana, Cacucci, Bari, 1988, pp. 47 ss.

    [15] Ceccherelli A. , Il linguaggio dei bilanci, op. cit. , pp. 32 ss.

    [16] Sull’argomento si rimanda, tra gli altri, a: Amaduzzi A. , Frà Luca Pacioli e la Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità, in “Atti del Convegno Internazionale Straordinario su Frà Luca Pacioli”, Venezia, 1994; Antinori C. –Hernandez Esteve E. , Luca Pacioli. 500 anni di partita doppia, Rirea, 1994; G. Cavazzoni, Luca Pacioli ed il Trattato dei computi e delle scritture, Saggio introduttivo, in “Tractatus de Computis et Scripturis” (a cura di A. Riera, Cacucci), Bari, 1994; Melis F. , Storia della Ragioneria, Zuffi, Bologna. 1950; Turco M. , I procedimenti di rilevazione contabile. Le origini storiche del conto e della Partita Doppia, op. cit. ; Vianello V. , Luca Paciolo nella Storia della Ragioneria, Cacucci, Bari, 1991.

    [17] Tale metodo si diffuse anche all’estero. Per adeguati approfondimenti sulla divulgazione all’estero della partita Doppia si vedano. tra gli altri: G. Catturi, I nuovi eremiti, in “Rivista di Storia della Ragioneria”, Rirea, Anno l, n. 1; Turco M. , I procedimenti di rilevazione contabile. Le origini storiche del conto e della Partita Doppia, op. cit. , pp. 107 – 120.

    [18] Melis F. , Storia della Ragioneria, op. cit. , p. 409 ss.

    [19] In tal senso: Ceccherelli A. , Il linguaggio dei bilanci, Firenze, 1970, p. 57: Corsani G. , I fondaci e i banchi di un mercante pratese del trecento, Prato, 1922.

    [20] Uno dei primi esposi tori e sostenitori di questa teoria fu Luca Pacioli, il quale in un passo della Summa de Arithmetica, Proportioni et Proporzionalità, afferma: “molti, già nudi, con buona fede cominciando, di gran faccende abbino fatto, e mediante loro credito fedelmente servato in magne ricchezze siano pervenuti”. Osserva Turco che “è chiaro il riferimento del Pacioli al mercante, in quale è concepito come un individuo che esercita il «maneggio» non solo dei beni del proprietario, ma anche dei terzi sovventori”: cfr. Turco M. , I procedimenti di rilevazione contabile. Le origini storiche del conto e della Partita Doppia, op. cit., pp. 80 ss.

    [21] Per ulteriori approfondimenti si rinvia a: Gaffinkin M. J. R. , Redefining accounting theory, proceedings, south east asia University accounting teachers conference, Jan. 199, pp. 291 – 302; Watis R. L. – J. L. Zimmerman, Positive accounting theory, Prentice Hall, 1978; Bubner R. , Habermas’s concept of critical theory, in Thompson J. B. & Held Habermass D. , Critical debates, Macmillan Press, 1982, p. 42 – 56.

    [22] Per un approfondimento dell’argomento si rimanda a: Anthony R. N. , Contabilità e bilancio: uno schema concettuale, Franco Angeli, 1986, p. 119.

    [23] Per ulteriori approfondimenti si veda, tra gli altri: De Rosa L. , La rivoluzione industriale in Italia, Laterza, Bari, 1980.

    [24] Così Ceccherelli A. , Il problema dei costi nelle prospettive economiche e finanziarie delle imprese, Seeber, Firenze, 1936, p. 42; Riparbelli A. , Gli attuali strumenti di Ragioneria nelle imprese moderne, Cursi, Pisa, 1971, p. 61.

    [25] Ponzanelli G. , Metodologia contabile, op. cit. , p. 47.

    [26] Di tale parere è: Littleton A. C. , Accounting Evolution to 1900, New York American Institute Publishing, 1933, pp. 133 ss.

    [27] In questa nuova teoria, l’utile è considerato dell’entità, e non va più visto come il profitto personale del proprietario. Per ulteriori approfondimenti si leggano: Anthony R. N. , Contabilità e bilancio: uno schema concettuale, op. cit. , p. 119 ss. ; Vatter W. J. , The fund theory of accounting and its applications for financial reports, Chicago, University of Chicago Press, 1947, pp. 2 ss.

    [28] Di Cagno N. , Sul significato e sulle possibilità di attuazione delle politiche di stabilizzazione dei redditi, in Economia e Commercio, A.L.E.C.U.B. , n. 2, 1996.

    [29] Cfr. Catturi G. , Teorie contabili e scenari economico-aziendali, CEDAM, Padova, 1997, p. 133.

    [30] Per ulteriori approfondimenti si rimanda a: G. Catturi. Teorie contabili e scenari economico – aziendali, op. cit. , pp. 116 ss. ; Ceccherelli A. , La Logismografia, Milano, 1915, pp. 100 ss. ; Giannessi E. , I precursori, Cursi, Pisa. 1964; Pezzoli S. Profili di Storia della Ragioneria, CEDAM, Padova, 1986; Onida P. , Le discipline economiche aziendali, op. cit. , pp. 29 ss.

    [31] La ragioneria fu definita dal Besta come “la disciplina che studia ed enuncia le leggi del controllo economico nelle aziende”. Per “controllo economico” l’illustre Maestro intendeva quella parte dell’amministrazione in cui il lavoro economico viene rilevato e studiato nelle sue cause e nei suoi effetti, in modo da poterlo dirigere e indirizzarlo verso quelle vie ritenute più vantaggiose: cfr. Besta F. , La Ragioneria, vol. I, Vallardi, Milano, p. 31.

    [32] La teoria del Besta nasce come reazione a quel modo semplicistico ed astratto di spiegare i fatti amministrativi. Secondo Cassandro, al riguardo, la teoria del Besta, per rigore logico, chiarezza e compiutezza di trattazione può essere definita la prima teoria avente il carattere della scientificità: cfr. Cassandro P. E. , Le teorie contabili da Luca Pacioli ai nostri giorni, in “Scritti vari”, Cacucci, Bari. 1994, p. 875. Per ulteriori approfondimenti si rinvia a: Bruni G. , La Ragioneria scientifica nel pensiero di Fabio Besta e nelle successive tendenze ed evoluzioni, in “Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale”, settembre – ottobre 1996; Canziani A., Il decennio 1920-1929 quale punto di ,svolta della Ragioneria italiana. Il contributo zappiano, in “Saggi di Economia aziendale per Lino Azzini” Giuffrè. Milano, 1987, p. 192: Masi V. , La ragioneria nell’età moderna e contemporanea, (testo riveduto e completato da Antinori C.), Giuffrè, Milano, 1997, pp. 329 ss. ; Perrone E. , Considerazioni sul metodo d’indagine e sull'oggetto della Ragioneria nel pensiero di Giuseppe Cerboni, in “Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale”, n. 6-7, 1985; Pezzoli S. , Dalla teoria del conto alla teoria dei sistemi di scritture, in “Rivista Italiana. di Ragioneria e di Economia Aziendale”, gennaio, 1985; Antoni T. , Fabio Besta, contributo alla conoscenza degli studi aziendali, Pisa, Cursi, 1970. pp. 16 ss. e inoltre p. 66 ss.

    [33] Precursori di tale nuovo orientamento furono Giuseppe Ludovico Crippa (183[SM=g27989] e Francesco Villa (1840), che propugnarono un nuovo modo di concepire l’azienda e di tenere i conti, prevedendo l’accensione di conti alle cose e alle persone. Sull’argomento si vedano; Della Penna F. , Le istituzioni contabili, Roma, Casa Ed. Castellani, 1946, p. 304 ss. ; Giannessi E. , Attuali tendenze delle dottrine economiche-tecniche italiane, Cursi, Pisa, 1954, p. 116; Onida P. , Le discipline economico-aziendali, op. cit.. 1951, p. 21; Pezzoli S. , Profili di Storia della Ragioneria. op. cit.

    [34] Fondamentale nell’elaborazione di tale teoria fu l’influenza dello spirito positivista della seconda metà dell’Ottocento, che fondava le sue concezione sull’idea dell’esistenza di un ordine nella natura delle cose, sulla possibilità di individuare le leggi che governavano tale ordine, sul valore pratico delle conoscenze scientifiche, sul “dominio dell’uomo sulla natura”. Così Cassandro P. E. , Fabio Besta, in “Scritti vari” Cacucci, Bari, 1994. pp. 940 ss. ; MASI V. , La ragioneria nell’età moderna e contemporanea, op. cit. , p. 334 ss. ; Perrone E. , Considerazioni sul metodo d’indagine e sull’oggetto della Ragioneria nel pensiero di Giuseppe Cerboni, in “Rivista italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale”, 1985; Antoni T. , Fabio Besta, contributo alla conoscenza degli studi aziendali, op. cit. p. 166 ss.

    [35] Fu Fabio Besta a precisare la distinzione tra metodo e sistema contabile: cfr. Besta F. , La Ragioneria, op. cit. , p. 118.

    [36] Lo stesso Autore ebbe il grande merito di considerare nell’ambito degli studi economici aziendali le problematiche organizzative, gestionali e del controllo economico, sollevando non poche polemiche in dottrina. Egli fu infatti accusato di non occuparsi del nucleo centrale degli studi ragionieristici, ovverosia la registrazione del fatti amministrativi. A queste accuse il Maestro rispondeva che la Ragioneria doveva essere considerata “scienza di applicazione per eccellenza” e che non poteva limitarsi alla semplice conoscenza del patrimonio, ma doveva altresì seguire la sua evoluzione nel tempo: cfr. Besta F. , La Ragioneria, op. cit. , p. 333. Sul punto si vedano anche: Antoni T. , Fabio Besta, contributo alla conoscenza degli studi aziendali, op. cit. pp. 166 ss. ; Di Stefano, L’economia aziendale ed il management. Analisi storiche dottrinali, Il Borghetto, Pisa, 1993, pp. 7 – 30; Gonnella E. , Le valutazioni di bilancio nel pensiero di Fabio Besta. Note critiche, Il Borghetto, Pisa, 1994; Mazza G. , Ragioneria ed Economia Aziendale, in “Rivista dei dottori commercialisti”, 1977, pp. 43 ss. ; Riccaboni A. , Costruzione e modernità nel concetto di controllo proposto da Fabio Besta, in “Atti del Primo Convegno nazionale di Storia della Ragioneria”, Siena, 1991.

    [37] Secondo Cassandro, il Besta dedicò particolare attenzione al controllo economico (e quindi alla Ragioneria), trascurando gli altri aspetti, ugualmente importanti, dell’amministrazione economica: cfr. Cassandro P. E. , Fabio Besta, in Scritti vari, op. cit., p. 943. Dello stesso parere sono anche: Di Stefano, L’economi aziendale e il management. Analisi storiche e dottrinali, Il Borghetto, Pisa, 1993, p. 7 – 30; Giannessi. E. , Attuali tendenze delle dottrine economico – tecniche italiane, op. cit. , p. 199; Giannessi. E. Appunti di Economia aziendale, Pisa. Pacini, 1979. pp. 240 ss. ; Giannessi. E. , I precursori in economia aziendale, Giuffrè, Milano, 1980, p. 133: Mazza G. , Ragioneria ed Economia aziendale, in “Rivista dei Dottori Commercialisti”, 1977. p. 43 ss. ; Gonnella E. , Le valutazioni di bilancio nel pensiero di Fabio Besta. Note critiche, Il Borghetto, Pisa, 1994.

    [38] Cfr. Besta F. , La Ragioneria, op. cit. , Vol. II, p. 300.

    [39] Cfr. Besta F. , La Ragioneria, op. cit., Vol. II, pp. 215 ss.

    [40] In tal senso Mazza G. , Problemi di assiologia aziendale, Giuffrè, Milano, 1997. p. 277. Al riguardo Onida afferma: “Il contabile e lo statistico d’azienda. che non sia un mero esecutore di rilevazioni da altri concepite, ordinate e interpretate, deve essere anche economista d'azienda”: cfr. Onida P. , Economia d’azienda, op. cit. , p. 583.

    [41] Altro grande merito che deve essere riconosciuto al Besta è la nuova concezione del patrimonio, non più definibile, come “una somma di diritti e di obblighi”, secondo la definizione di Cerboni, , ma come una grandezza economica misurabile: cfr. Besta F. , La Ragioneria, op. cit. , Vol. II, pp. 70 - 72.

    [42] Non si osservò però il patrimonio sotto l’aspetto qualitativo, il che avverrà solamente con Gino Zappa. In tal senso Pezzoli S. , Dalla teoria del conto alla teoria dei sistemi di scritture, op. cit.

    [43] Cfr. Cassasdro P. E. , Le teorie contabili da Luca Pacioli ai nostri giorni, op. cit. , p. 875.

    [44] Criticata per l’appesantimento delle scritture contabili e per l’eccessivo inserimento di valori di stima fu la scelta del Besta di inserire, nell’ambito della contabilità generale le rilevazioni dei fenomeni interni. Cfr. Onlda P. , La logica e il sistema delle rilevazioni quantitative d’azienda, op. cit. , pp. 91 – 92; Giannessi E. , Appunti di Economia Aziendale, op. cit. , 1979. p. 242 - 247.

    [45] Della Penna F. , Le istituzioni contabili, Casa Ed. Castellani. Roma, 1946, pp. 303 ss. ; dello stesso parere anche Marchi L. , Introduzione alla contabilità d’impresa, Giappichelli, Torino, 1998, p. 13.

    [46] Cfr. Rossi N. , Il Bilancio nel sistema operante dell’impresa, S.A.M.E. , Milano, 1958, p. 76.

    [47] Tale carenza fu poi evidenziata da Gino Zappa. nella sua opera “Tendenze nuove negli studi di ragioneria. Discorso inaugurale dell’anno accademico 1926-27 nel R. Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali di Venezia”, Milano, Istituto editoriale scientifico, 1927, p. 35.

    [48] È proprio dalla concezione originale dell’azienda e di conseguenza da quella del patrimonio, che il Besta elabora la sua teoria contabile. L’azienda è concepita come “somma di fenomeni, o negozi, o rapporti da amministrare relativi ad un cumulo di capitali che formi un tutto a sé ... La somma di quei risultati particolari consente, altresì, di determinare quello raggiunto, nell’arco di tempo preso in considerazione...”: così Perrone E. , La dottrina di Fabio Besta nell’evoluzione della Ragioneria, Siena, 1986, pp. 129 e p. 186.

    [49] Sull’argomento si rimanda a Lorusso B. , Ragioneria Generale, Bari, 1922, p. 202.

    [50] Per ulteriori approfondimenti si rinvia a: Di Cagno N. , Il Bilancio d’esercizio, Cacucci, Bari, 1995, pp. 174 - 175; Mazza G. , Problemi di assiologia aziendale, op. cit. , pp. 278 ss. ; Gabrovec Mei O. , Sistemi contabili e strutture del conto del risultato economico, op. cit., p. 9.

    [51] Tale scelta è legata alla premessa dell'Autore di rilevare le variazioni patrimoniali nette. In tal senso: Gabrovec Mei O. , Sistemi contabili e strutture del conto del risultato economico, op. cit., p. 21.

    [52] Per ogni ulteriore approfondimento in tal senso si rimanda a: Gabrovec Mei O. , Sistemi contabili e strutture del conto di risultato economico, op. cit. , pp. 21 ss.

    [53] Cassandro, al riguardo, osserva che nel Besta non mancarono riferimenti alla sostanza economica della vita aziendale. nelle parti riguardanti la valutazione del patrimonio aziendale e la determinazione dei valori di conto, in cui, abbandonando lo strumento contabile, si prende in esame la formazione dei valori e, quindi, la gestione dalla quale quei valori hanno origine: cfr. Cassandro P. E. , Metodologia contabile ed economia aziendale, in Scritti vari, Cacucci, Bari, 1991, p. 258.

    [54] In tale nuovo contesto, venutosi a creare agli inizi del Novecento non si ebbe “il rigetto totale delle elaborazioni teoriche preesistenti, bensì un loro riordinamento e ripensamento”: cfr. Paolone G. – DAmico L., L’economia aziendale, Giappichelli, Torino, 1994, p. 6. Sul processo evolutivo degli studi aziendali si rinvia a Ferraris Franceschi R. , Tratti caratteristici e possibili fattori di sviluppo dell’economia aziendale italiana contemporanea, in “Rivista dei Dottori Commercialisti”, 1983, p. 283.

    [55] Al riguardo, Zappa così afferma: “... i fatti... non sono altro che pietruzze non composte nelle linee e nelle figure del mosaico, quasi nemmeno sono una parte del mosaico”: cfr. G. Zappa, Il reddito d’impresa, Milano, 1950, p. 13.

    [56] Cfr. Mazza G. , Problemi di assiologia aziendale, op. cit., p. 285 ss.

    [57] Nella formulazione di tale teoria si ravvisa una forte influenza esercitata dalla cultura tedesca, che si affermò tra il XIX e XX secolo, soprattutto nella ricerca scientifica ed in campo giuridico-amministrativo.

    [58] Cfr. Zappa G., Tendenze nuove negli studi di ragioneria, Milano, 1927, pp. 30 - 40.

    [59] Cfr. Zappa G., Tendenze nuove negli studi di ragioneria, op. cit. , p. 37.

    [60] É il reddito la grandezza da rilevare contabilmente e ad esso sono interessati chi tiene alle sorti aziendali. Cfr. Zappa G. , Il reddito d’impresa, Milano, Giuffrè, 1950. p. 88.

    [61] Cfr. Cassandro P. E. , Metodologia contabile ed Economia d’Azienda, in Scritti vari. op. cit., p. 261. Per ulteriori approfondimenti si rinvia a: Gabrovec Mei O. , Sistemi contabili e strutture del conto del risultato economico, op. cit., p. 15.

    [62] Cfr. A. Canziani , Il decennio 1920-1929 quale punto di svolta della Ragioneria italiana. Il contributo zappiano, op. cit. , p. 186. Nello stesso senso si sono pronunciati: A. Salzano , I procedimenti della rilevazione nei limiti dell’economia d’impresa, Roma, 1957, p. 135; Levi E. , Ragioneria applicata, Milano, 1959, p. 10.

    [63] Cfr. D’Ippolito T. , La contabilità e il bilancio delle aziende di produzione. appendice IX. La teoria della partita doppia secondo Sesta e secondo Zappa, Milano, 1945, pp. 464 ss. Le rilevazioni interne. infatti. comportano la necessità di valutare i fenomeni in base ad elementi lontani dalla obiettiva valutazione monetaria data, invece, da un prezzo formatosi sul mercato. Cfr. G. Zappa. Il reddito d’impresa, op. cit. , p. 109. Per ulteriori approfondimenti si rimanda a Onida P. , Economia d’azienda, op. cit., pp. 577-578.

    [64] Da questa separazione delle rilevazioni dei fenomeni gestionali venne a svilupparsi la contabilità generale e quella analitica. Sull’argomento si rinvia a Bergamin Barbato M. , Il controllo di gestione in un’ottica strategica, UTET, Torino, 1991, pp. 211 ss.

    [65] AI riguardo significative sono le affermazioni dello Zappa: “La rilevazione delle variazioni numerarie certe costituisce, mentre l’esercizio si svolge, il fondamento della determinazione contabile dei componenti positivi e negativi di reddito. ... Ogni incasso da origine ad un componente positivo di reddito ... ogni pagamento dà origine ad un componente negativo di reddito, e precisamente un costo”. Cfr. Zappa G. , Il reddito d’impresa, op. cit. , p. 113.

    [66] Il capitale è inteso come un “unico... fondo astratto di valori...”, una “somma ... di valori che insieme accolti costituiscono il capitale... economico”, “un centro di fattori” destinati nel processo produttivo, un “insieme di parti interdipendenti o meglio complementari, che nei riguardi economici puiò avere, anzi ha necessariamente, un valore diverso da quello che potrebbero risultare ... dalla somma ... dei valori attribuiti ai singoli clementi”. Cfr. Zappa G. , Il reddito d’impresa, op. cit. , pagg. 57-58. Per ulteriori approfondimenti si veda: Ardemani E. , Studi e ricerche di ragioneria, Milano, 1986, in “Rassegna Economica” n. 4/1987, pp. 19-20.

    [67] AI fine di non pregiudicare il presumibile andamento economico degli esercizi futuri, le valutazioni di funzionamento dovevano essere orientate alle condizioni future di redditività dell’impresa. Cfr. Pezzoli S. , Profili di Storia della Ragioneria, op. cit. , p. 127. Per ulteriori approfondimenti si rinvia a Cassandro P. E. , Contenuto e forma negli studi di ragioneria, in “Scritti vari”, Cacucci, Bari, 1991, pp. 448 ss.

    [68] Cfr. CA Tturi G. , Teorie contabili e scenari economico-aziendali, op. cit., pp. 152-153.

    [69] “Sotto l’aspetto della visione unitaria dell’economia d’impresa, certamente il sistema del reddito costituisce un’evoluzione di quello patrimoniale”: cfr. Masi V. , La ragioneria nell’età moderna e contemporanea, op. cit., p. 330. Della stessa opinione sono: Amodeo D. , Di alcune posizioni limite nel campo di una teoria generale dei sistemi, in “Rivista Italiana di Ragioneria”, Roma, 1943; Amodeo D. , Ragioneria Generale delle imprese, op. cit., pp. 903 ss. ; De Minico L. , Lezioni di Ragioneria, Napoli, 1946, p. 403 ss. ; Giannessi E. , Appunti di economia aziendale, op. cit., p. 418; Salzano A. , I procedimenti della rilevazione nei limiti dell’economia d’impresa, op. cit., p. 139. Ardemani, invece, osserva come il sistema del reddito può essere considerato una sorta di sistema patrimoniale incompiuto. in quanto riferito a quella parte del patrimonio aziendale costituita da valori numerari. A questo proposito si veda Ardemani E. , I metodi ed i sistemi contabili, in Ardemani E., (a cura di), Manuale di amministrazione aziendale, Isedi, Milano, 1977, p. 29.

    [70] Cfr. Cassandro P. E. , Trattato di Ragioneria, op. cit., pp. 447 ss.

    [71] In tal senso: De Dominicis U., Lezioni di ragioneria generale. La Contabilità Generale e la Contabilità d’esercizio nelle imprese, voI. V, op. cit., p. 133.

    [72] Sull’argomento: Besta F. , La Ragioneria, VoI. III, op. cit. , p. 17.

    [73] Cfr. Cassadro. P. E. , Le teorie contabili da Luca Pacioli ai giorni nostri, op. cit. , p. 883.

    [74] Amodeo D. , Di alcune posizioni limite nel campo di una teoria generale dei sistemi, in “Rivista italiana di Ragioneria”, fascicoli n. 8-9-10, 1943; Frattini G. , Tendenze evolutive dei sistemi contabili, in “Scritti in onore di Carlo Masini”, Tomo terzo, Egea, Milano, 1993, p. 225.

    [75] In tal senso Cassandro P. E. , Trattato di ragioneria, op. cit. , p. 447; Ardemani E. , I metodi ed i sistemi contabili, op. cit. , pp. 229 ss.

    [76] Per ulteriori approfondimenti si rinvia a: Cassandro P. E. , Metodologia contabile ed Economia d’Azienda, op. cit. , p. 263.

    [77] Amaduzzi è infatti ritenuto essere il padre della cosiddetta “teoria del capitale e del risultato economico”: per ulteriori approfondimenti si rinvia a: Amaduzzi A. , L’azienda nel suo sistema e nei suoi principi, op. cit. , p. 534; Cassandro P. E. , Le rilevazioni aziendali, op. cit. , pp. 314 ss.

    [78] “La Ragioneria e più in generale le discipline economiche-aziendali sono delle scienze empiriche; come tali le loro linee di rinnovamento non possono prescindere da un sistema di rilevazione che si evolve con l’ambiente in cui l’impresa opera”: Fra Tiini G. , Tendenze evolutive dei sistemi contabili, op. cit. , p. 223.

    [79] Sulla pluralità delle informazioni contabili. si richiamano principalmente gli scritti di: Coda V. , Comunicazione e immagine nella strategia d’impresa, Giappichelli, Torino, 1991; Napoleone Rossi N. , Il bilancio nel sistema operante dell’impresa, op. cit.

    [80] Sull’informazione contabile si richiama principalmente lo scritto di DI Cagno N. , Sugli obiettivi dell'informazione contabile, in “Scritti in onore di Paolo Maizza”, Cacucci, Bari, 1999.

    [81] Sull’argomento: LEE T. A. , Reddito e valore. Problemi di misurazione, Egea, Milano, 1994, pp. 81 ss. Sull’importanza dei beni immateriali come fattori critici di successo si rinvia, tra gli altri, a ITAMI H. , Le risorse invisibili, Isedi, Torino, 1988.

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  • Myles
    00 06/07/2007 02:24
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