IDEOLOGIA E POETICA
Il Settecento fu prodigo di tragedie. L'interesse per il genere era nato dall'influenza del teatro francese (Racine, Corneille), che era così forte da condizionare non solo la scelta degli argomenti (i sentimenti, l'amore ecc.) ma persino il metro con cui trattarli. I commediografi italiani si erano orientati, cercando di emulare i francesi, verso argomenti greco-latini, ebraici, orientali (come avveniva del resto per il melodramma). L'Alfieri non fece che porsi in questa corrente apportandovi un originale contributo (non però su quello formale, perché qui si attenne al rispetto delle unità aristoteliche di luogo e tempo).
Dotato di un fortissimo senso della libertà e insofferente a ogni tirannide, sia pubblica che privata, egli infatti concepì il teatro come mezzo di educazione civile e politica e l'artista come "sacerdote dell'umanità". Convinto che la storia sia maestra di vita, portò sulla scena i grandi personaggi, quelli secondo lui più adatti a suscitare l'amore per la libertà e l'odio contro la tirannide: Saul, Mirra, Polenice, Antigone, Virginia, Agamennone, Oreste, Sofonisba, Filippo, Rosmunda, Maria Stuarda ecc. Tutti personaggi che mostrano d'avere un'altissima umanità, ma che, in definitiva, risultano troppo perfetti per permettere allo spettatore una vera immedesimazione. Il pubblico applaudiva perché affascinato dai ritmi travolgenti delle passioni rappresentate, ma avvertiva chiaramente in esse qualcosa di inarrivabile, perché troppo straordinario.
Il limite dell'Alfieri sta in quel suo modo vitalistico e individualistico di affrontare lo scontro, allora molto forte, tra tiranno e oppresso. Il protagonista principale delle sue tragedie è sempre il singolo eroe che, con coraggio e abnegazione, cerca di opporsi alla tirannia del potente (re, principe o imperatore). Il suo ideale è la personalità di Bruto e il suo mondo preferito è quello degli eroi e tirannicidi descritto da Plutarco. In questo senso, il suo riferimento alla classicità non sta tanto nello stile letterario (ché anzi l'Alfieri è un innovatore), e neppure nel riconoscimento formale della superiorità dell'antica tradizione, quanto piuttosto nell'esigenza di ricercare modelli umani eroici da riproporre, in veste moderna, ai suoi contemporanei (al di là di un'analisi storica dell'ambiente reale in cui questi personaggi sono vissuti). Politicamente l'ideale dell'Alfieri, almeno sino alla delusione per gli esiti terroristici della Rivoluzione francese, resta quello della Repubblica romana pre-cesarea e dell'antica Grecia.
Ciò che più ha condizionato la concezione “liberal-anarchica” dell'Alfieri fu il fatto ch'egli, pur avendo rinunciato agli ideali aristocratici, non rinunciò mai allo stile di vita aristocratico (per molto tempo condusse una vita errabonda, frenetica, in parte dissoluta). In qualunque paese europeo andasse l'Alfieri guardava la situazione politica con gli occhi dell'intellettuale isolato, e quella sociale con gli occhi dell'aristocratico che da parte delle masse popolari non spera in una decisa posizione antigovernativa. Quando infatti i suoi ideali giacobini-rivoluzionari si trovano realizzati nella Rivoluzione francese, la sua reazione alla necessità della dittatura politica, sarà decisamente negativa. Alfieri non era contro una particolare forma di governo, ma contro tutte, poiché là dove esisteva un "potere", per lui vi era anche ingiustizia e oppressione.
Trattato Della Tirannide. Alfieri afferma che "base e molla" della tirannia è la paura. La tirannide da lui descritta non coincide con una forma particolare di governo (anche se il riferimento alla sua epoca è evidente). La nobiltà (ambiziosa e amante del lusso), l'esercito (garante dell'ordine pubblico) e la religione (che educa all'obbedienza) sono, oltre alla paura, le armi del tiranno. Ma il tiranno è schiavo della paura non meno del suddito, poiché, per restare sul trono, ha bisogno di esercitarla quotidianamente, temendo sempre d'essere rovesciato.
Sugli oppressi il giudizio dell'Alfieri è pessimista. Chi è abituato alla sottomissione difficilmente riesce a liberarsene, anzi, arriva ad acquisire sentimenti di servilismo e di fatalismo. C'è solo una speranza secondo il poeta: che l'autoritarismo sia così duro e insopportabile da indurre il popolo a ribellarsi. Nel frattempo l'intellettuale (più poeta che filosofo) deve avere il coraggio di criticare il tiranno mediante le sue opere letterarie. Ma perché lo possa fare deve essere libero da problemi economici, ché altrimenti sarà costretto a compromettersi. Il tirannicidio dunque è escluso, ma solo fino a quando non è lo stesso popolo a insorgere. In casi estremamente sfavorevoli all'individuo l'Alfieri consiglia il suicidio.
19 Tragedie. La scelta del genere letterario tragico rispecchia psicologicamente l'esigenza individualistica del poeta-eroe. Le tragedie ruotano attorno a un personaggio principale; gli altri (sempre pochi) hanno una funzione accessoria. Il finale in genere è di due tipi: suicidio o tirannicidio. Gli argomenti sono presi dalla storia o dalla Bibbia, con predilezione per i soggetti greco-romani. L'azione si svolge in 5 atti. Il verso adoperato: endecasillabo sciolto, ma è trattato in maniera molto dura, nervosa, concisa. Alla base di ogni vicenda sta il fato, cioè una forza al di sopra dell'uomo, che lo costringe a reagire. I protagonisti, pur prigionieri delle loro passioni, proprio in questa lotta con il fato rivelano la loro forza, la loro carica emotiva. E' assente ogni preoccupazione realistica. Non c'è sfondo teatrale che ambienti i personaggi, e neppure intreccio o azione. Il linguaggio non è colloquiale (come in Goldoni) ma oratorio, solenne. I dialoghi son quasi dei monologhi (si è sordi alle parole altrui). In questo Alfieri si allontana decisamente dall'Arcadia e dal melodico dramma metastasiano.
17 Satire. Qui l'Alfieri condanna: commercio borghese, clericalismo e anticlericalismo, re, nobili e militari, il popolo e i precettori.
6 Commedie. Qui condanna: monarchia assoluta (Dario) ne L'uno, oligarchia assoluta (Gracchi) ne I pochi, democrazia assoluta (Ateniesi) ne I troppi. Condanna i grandi uomini, perché nella vita privata sono incoerenti (La finestrina) e i matrimoni nobiliari per interesse (Il divorzio). Condivide: la monarchia costituzionale di tipo inglese o della vecchia Venezia (L'antidoto). Nel 1781-83 aveva scritto 5 Odi sull'America libera, esaltando l'indipendenza dal dominio coloniale inglese.
Enrico Galavotti