TU QUOQUE, D'ALEMA?

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INES TABUSSO
00sabato 28 gennaio 2006 16:04


"Io non credo che in Italia oggi ci sia un regime"
(Massimo D'Alema, Palazzo dei Congressi di Firenze, 25 febbraio 2002)


«Faccia conto di essere già al 10 aprile. Che direbbe?».
«Vittoria, da oggi siamo tutti più liberi».
(Massimo D'Alema, "Viva Radio 2", 27 gennaio 2006)



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VEDI:


LA REPUBBLICA
26 febbraio 2002
Firenze, il leader nella tana dei professori
"Non dovevo lasciare il partito"
E Massimo disse:
"Non c'è regime"

di CONCITA DE GREGORIO
FIRENZE - L'autocritica non si fa su richiesta, risponde Massimo D'Alema al professore inglese Paul Ginsborg. Ginsborg, quello della marcia dei 15 mila sotto la pioggia, quello da cui tutto questo è cominciato, qui a Firenze, un mese fa. Pallido, affilato, "abbastanza turbato", diciamo pure spaventato dai duemila che riempiono l'auditorium del palazzo dei Congressi come in una scena da day after, Ginsborg imbastisce qui il suo pacato processo a D'Alema. Tu sei stato troppo nel palazzo, gli dice. "Hai perso il contatto con la società, con la classe media riflessiva che noi rappresentiamo. Hai pensato che la politica si facesse dall'alto, e hai sbagliato". Non sono qui a farmi processare, gli risponde D'Alema. Poi guarda a lungo la platea.

Una platea che si commuove e applaude i manifesti con Falcone e Borsellino, "le vostre idee non moriranno mai", c'è scritto, moltissimi giovani, molte donne, molta università, duemila persone dentro con due ore d'anticipo, altrettante almeno fuori, hanno cartelli che dicono "Dì qualcosa di sinistra, D'Alema, dillo". Lo fischiano appena entra, John Gilbert lettore americano fa il verso della scimmia alle sue spalle, gli altri imitano, fischi e versacci ma anche i dalemiani hanno una loro claque, qui: il sindaco Domenici è seduto in prima fila, qualcuno applaude, però sono meno.

Gli altri, i fischi, i cartelli, le voci irridenti sono di più. Ci vorranno due ore di mugugni e di cartelli, di studenti no global e di "voci critiche", per così dire, per riportare l'equilibrio: la rimonta, se ci sarà, sarà alla fine di questa via crucis. D'Alema li vede, pigiati nella sala accalcati sulle scale, e lo capisce. L'ha capito già un attimo fa, quando ha incontrato Francesco Pancho Pardi sotto palco. E' la seconda volta che si incontrano, dopo piazza Navona, col geografo che piace a Moretti. "Sono più a disagio di lei", gli dice Pancho che ha fiutato il clima. "Di sicuro, io non sono a disagio per niente" gli risponde D'Alema ma non è vero. Questo incontro l'ha voluto lui, è lui che ha chiamato Ginsborg per dirgli: vengo, ma adesso in questa sala, qui davanti ai ragazzi che urlano e fischiano, Pancho scamiciato e spettinato, Ginsborg pallido e accurato, tutti a dirgli: hai sbagliato tu, ecco adesso per un momento D'Alema tace.

Poi prova a rispondere. Non seguirò la traccia di Ginsborg, perché l'autocritica non si fa a comando. "Io non credo che in Italia oggi ci sia un regime" (fischi, buu in sala) "anche se condivido la preoccupazione per un logoramento della democrazia. In altri momenti della storia nazionale fu una drammatica resa dei conti fra sinistra radicale e riformista che aprì la strada al regime. Sarebbe un errore" (voce di donna: "ma di che parli?") "parlavo appunto di questo" (voce di ragazzo: "buffone"). "Loro hanno avuto il massimo dei voti nelle elezioni che vincemmo noi perché erano divisi: sennò avremmo perso. Il centrosinistra ha sempre oscillato tra il 40 e il 45 per cento" ("non siamo numeri, D'Alema", urla, mormorio) "è vero che c'è il ceto medio riflessivo, ma c'è anche quello delle partite Iva, propenso alla sicurezza e non al cambiamento". "I numeri sono questi" (fischi) "fischiare le opinioni è legittimo, fischiando i numeri temo che non si faccia moltissima strada. Se vogliamo la rivincita ci dobbiamo chiedere come mai in 5 anni di centrosinistra non si è riuscito a scalfire il blocco..." (voce: "perché avete fatto una politica di destra").

"In Parlamento non c'è stato un accordo, un compromesso osceno ("e la bozza Boato?") "Le riforme erano nel programma" ("coi fascisti?") "Berlusconi ha saputo agire sul piano politico" (ragazza: "se è cosi bravo teniamocelo"). Pausa, si rialzano i cartelli: "Di' qualcosa, D'Alema di' qualcosa". "Volevo dire..." (Voce dall'alto: "Vattene, non importa, tanto non ha detto niente") "dobbiamo proporre qualcosa di avvincente" ("ah, ecco, sì"). Il tempo è scaduto. Sono le dieci e mezza. Lunga esitazione, forse un momento di scoramento. Conclusione: "Abbiamo la responsabilità di trovare un terreno comune, altrimenti nella grande zuffa fra di noi diventerà più forte chi comanda". Coro di fischi.

La gente fuori dalla sala è seduta a terra, guarda dagli schermi e fischia. D'Alema comincia a fare una barchetta di origami. Pancho, seduto per terra, ritocca il suo discorso: tocca a lui, ora. Fa il discorso di piazza Navona: la legge sul conflitto d'interessi, la confusione della memoria. Viene giù la sala quando dice: "Non possiamo confondere i nostri partigiani coi ragazzi di Salò". Non finiscono più di urlargli bravo,volti beati. Tre studenti, poi. Il civilissimo, pacato professor Sergio Givone, docente di estetica, quasi una controfigura di Ginsborg, cerca di moderare ma non è aria di moderazione, stasera. Sembra una disfatta, per D'Alema, ma un momento: chiede ancora la parola. Vorrei rispondere qualcosa, dice. Ecco, è il momento dell'autocritica. Quattro ore fa no, adesso che è notte sì: non su richiesta, alla fine. "Sono abituato", sospira. "Sono abituato a serate come questa, mi sono state mosse accuse insolite, anche: di aver ecceduto nei sentimenti e di aver scarseggiato nei ragionamenti". Qualche risata. "Non sono d'accordo con molte delle cose che sono state dette. Non penso che siano queste le ragioni per cui abbiamo perso le elezioni. Chi ci ha criticato da sinistra ha perso il tre virgola tre per cento dei voti".

Primi applausi corali. "Mi ferisce la calunnia che scava un fossato incolmabile. Se noi siamo gentaglia allora per l'italiano medio è giusto che abbia vinto Berlusconi". Altre risate, applausi. "Ho sentito qui oggi l'attacco alla legge Turco Napolitano, che è una delle più civili che siano mai state fatte. Se e quando abbiamo sbagliato lo abbiamo fatto per difendere i principi". Silenzio, non fischiano più.

E adesso l'autocritica vera: "Vorrei che qualcun altro avesse l'onestà intellettuale di andarsi a prendere le critiche come faccio io. Non è vero che noi non abbiamo fatto la legge sul conflitto d'interessi, vorrei dire al professor Pardi. Ancora peggio: ne abbiamo fatte due, senza condurle in fondo. Io non avrei dovuto abbandonare la guida del mio partito e cercare di andare al governo". Applausi in piedi della sala. Questo volevano, una piccola Canossa. Come ti sentivi quando Nanni Moretti ha parlato in piazza Navona, gli chiedono? "Non particolarmente bene. Ho scritto, il giorno dopo. Ho preso sul serio, molto sul serio non il grido, ma il contenuto politico delle cose dette da Moretti". D'Alema chiude: "Attenti, chi vi dice: avete ragione e poi fa il mea culpa spesso è un imbroglione. Poi c'è chi va al confonto con le sue opinioni", cioè lui stesso, "chi sta al dialogo, e potrà anche sbagliare, certo, ma...". Sorride, allarga le braccia.

Non lo lasciano finire. Gli urlano bravo, anche Ginsborg sorride, "unità, unità", scandisce al microfono. Pardi ringrazia. "non è andata male, no?". Non è andata male per chi?



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CORRIERE DELLA SERA
28 gennaio 2006
Viva Radio2
Massimo e il blitz di Fiorello

ROMA - Ieri Massimo D’Alema, durante la registrazione di Matrix con Mentana, è intervenuto in diretta a Viva Radio 2 e Fiorello (foto) lo ha accolto con la voce di Berlusconi, alias lo smemorato di Cologno: «Siete a Matrix ? Non è un film di fantascienza?». E Marco Baldini: «Ma no, signor smemorato, c’è lì il presidente dei Ds che dice che il centrosinistra vincerà le elezioni». «Lo vede allora che avevo ragione? È davvero fantascienza». Poi, Fiorello ha chiesto a D’Alema: «Faccia conto di essere già al 10 aprile. Che direbbe?». «Vittoria, da oggi siamo tutti più liberi».


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