TRAVAGLIO, BEHA, E IL CAMPO PROFUGHI

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INES TABUSSO
00martedì 14 marzo 2006 14:50

DA:
Dagospia 14 Marzo 2006


IL TRAVAGLIO DI BEHA – IN LIBRERIA IL NUOVO LIBRO “DIARIO DI UNO SPAVENTAPASSERI – L’INFORMAZIONE SCHIERATA È UN MALE NECESSARIO?” CON PREFAZIONE-KILLER DI MARCOLINO ROMPICOGLIONI (NON FATELA LEGGERE ALL’ANNUNZIATA)…


Tutti i fan di Oliviero Beha, si troveranno stasera alle 18.30 alla Sala Capranichetta, Piazza Montecitorio 125 a Roma, per la presentazione dell’ultima fatica del giornalista, “Diario di uno spaventapasseri – l’informazione schierata è un male necessario?” (Marco Tropea Editore). Partecipano all’incontro oltre allo stesso Beha, Sandro Curzi, Bruno Tabacci, Marco Travaglio, coordina il traffico il vigile Enrico Vaime…



“NON MI PREOCCUPA BERLUSCONI IN SÉ. MA IN ME”.
Prefazione di Marco Travaglio - Da “Diario di uno spaventapasseri”(Marco Tropea Editore).

Francamente, con tutto il bene che gli voglio, non capisco come possa Oliviero Beha pensare di lavorare ancora in televisione, o alla radio, o in un giornale medio-grande se continua a scrivere libri come questo.
Magari non ci pensa, e allora il problema non si pone. Ma, se ci pensa, se lo levi pure dalla testa. O la pianti di essere così, di scrivere così, di pensare così. Dovrebbe averlo capito, ormai, a cinquant’anni suonati, qual è il curriculum richiesto. Se poi seguita a fare tutto quel che non si deve fare e a non fare tutto quel che si deve fare, affari suoi.

Si rassegni all’idea che se nel 2002 il professor Baldassarre lo assunse alla Rai come vicedirettore di Raisport, fu per una svista. Uno spiacevole equivoco. Non essendo del ramo, il presidente pro tempore (poco tempore, fra l’altro) doveva essersi fidato di qualche voce di corridoio che incasellava Beha “in quota” a questo o quel partito della maggioranza pro tempore (troppo tempore, fra l’altro).
Se ne sono poi accorti gli altri capatàz di Raisport che non era in quota a nessuno. Infatti cominciò subito a rompere i coglioni, denunciando le marchette dello sport in tv. E fece la fine che si meritava: raus. Ogni tanto, avendo in testa soltanto “quote”, alla Rai come nei giornali medio-grandi si convincono che uno non possa che essere “in quota”.

Di solito ci azzeccano. Ma ogni tanto càpitano le eccezioni. Beha è una di queste, come pure Massimo Fini, che la destra considera di sinistra e non lo fa lavorare, e la sinistra lo considera di destra e non lo fa lavorare. Basterebbe controllare prima l’eventuale esistenza di collare, con tanto di targhetta, sotto la camicia, e certi equivoci non sorgerebbero.

Ora, dico io, ma è tanto strano se nella Rai presieduta da un ex comunista scelto da Berlusconi, cioè dal capo della concorrenza, e gestita da un consiglio d’amministrazione di parlamentari multicolori, nel “servizio pubblico” (molto servizio e poco pubblico) che promuove Marzullo capo della cultura della rete ammiraglia dopo aver abolito la satira politica, che innalza un tale Berti sul podio che fu di Enzo Biagi, che rimpiazza Michele Santoro con desertificatori di audience del calibro di Socci, Masotti e Anna La Rosa, finendo per trasformare un Floris qualsiasi nella punta di diamante della libera informazione, ecco è così strano se in un posto così Oliviero Beha non trova un posto nemmeno negli spot a pagamento?

Deve farsene una ragione. E ringraziare quel campo profughi che è diventata l’Unità, o la Bur, o questo editore, se riesce a piazzare ancora la sua firma da qualche parte. Onestamente: come può pretendere di scrivere o parlare od occuparsi di sport continuando a pensarla come la pensa su galantuomini come Carraro, Pescante e Moggi, o a pronunciare la parola “doping”? Già non frequenta il salotto della Angiolillo, non ha mai cenato a casa Previti e – pare – nemmeno al Circolo Canottieri Lazio, non ha consulenze da Billè, non ha un conto alla Banca Popolare di Lodi, non s’è mai occupato del delitto di Cogne, non è fidanzato con una velina, non ha mai elogiato nemmeno un ladro né un mafioso, anzi pare abbia persino parlato bene di qualche giudice onesto, non usa mostrare in diretta tv le sue eventuali dissenterie su un’isola deserta, non ha nemmeno la tessera dei Lions, quando fa un programma lo infarcisce di notizie e quando fa un’intervista ci mette dentro financo delle domande, e con tutti questi handicap pretende pure di lavorare?

Almeno togliesse la parola e mettesse giù il telefono a chi chiama per criticare il governo: avrebbe un futuro come conduttore di “Zapping” su Radio1. Invece tutto il contrario. Nella sua “Radio Zorro”, poi “Radio a colori”, faceva parlare soprattutto chi denunciava gli scandali di tutti i governi, nazionali e locali.
Almeno parlasse in dialetto sarnese, sbagliasse qualche congiuntivo, scrivesse gettando a caso i verbi, i complementi e i segni di interpunzione: avrebbe qualche speranza come presidente di garanzia della Rai. Invece niente: parla e scrive in italiano corretto, e pure brillante. Temo che, per giunta, legga anche dei libri. Quando ne scrive, poi, inventa bei titoli come “Crescete & prostituitevi” e “Diario di uno spaventapasseri”.

Uno dice: sarà almeno diplomatico? Saprà stare al mondo? Dispenserà sorrisi e complimenti a tutti? Macchè. Sorride poco. Quando uno gli sta sulle palle, si nota subito. E appena annusa che un partito sta per vincere le elezioni, comincia a punzecchiarlo e si butta dall’altra parte. E’ un criticone, un brontolone, non gli va mai bene niente.
Deve aver letto il “Candide” di Voltaire, o almeno il “Candido in Sicilia” di Sciascia: il migliore dei mondi possibili non riesce proprio a vederlo. Né in versione sinistrese (“sol dell’avvenire”), né in versione craxiana (“ottimismo della volontà”), né in versione berlusconiana (“nuovo miracolo italiano”), né in versione bushesca (“esportazione della democrazia”), né in versione ulivista (“boh?”).

Lo cacciano via dalla Rai e lui che fa? Invece di strisciare, di prendere una tessera, di fare l’autodafè, denuncia tutto, fa causa, parla di “censura” e persino – che Dio lo perdoni - di “regime”. Non può neanche voltare gabbana per diventare “molto intelligente” come Giuliano Ferrara, per la semplice ragione che una gabbana non ce l’ha. E questo è francamente troppo. Ma ‘ndo vai, se la gabbana non ce l’hai?
In questo libro, Beha lamenta l’assenza di un Pasolini. Ma benedett’uomo: meno male che Pasolini non c’è più. Dove sarebbe relegato, oggi, uno che osava dire “io so” in un panorama informativo dominato dagli “io non so, e se sapessi non lo direi perché non mi conviene”?

Pasolini scriveva sulla prima pagina del Corriere, là dove oggi, quando va male, s’incontrano Ostellino e Panebianco e, quando va bene, Alberoni. Dice: è finita l’egemonia culturale della sinistra. Ma non sarà finita la cultura? In fondo, negli anni 70, almeno la sinistra si occupava di cultura, mentre la Dc preferiva le banche. Oggi anche la sinistra preferisce le banche. E le barche.

Questo diario minimo degli ultimi anni del nostro precipizio è dedicato a Paolo Sylos Labini, il più grande economista italiano del dopoguerra, morto senz’aver mai messo piede in televisione. Non perché gli facesse schifo. Perché nessuno, in televisione, lo chiamava: nessuno sapeva chi fosse, e quei pochi che lo sapevano non avrebbero saputo che cosa domandargli.

Dobbiamo essere grati a Silvio Berlusconi. Anzitutto perché, con le sue epurazioni di regime, ha finalmente imposto una selezione naturale, darwiniana nel mondo del giornalismo, una selezione che nessun’ordine professionale aveva mai osato: quelli bravi e liberi da un parte (cioè fuori), quelli pessimi e servi dall’altra (cioè dentro).

E poi perché, spingendo al parossismo i vizi e i cancri italici, dal familismo amorale e immorale all’autoritarismo congenito delle culture politiche alla lottizzazione censoria (o censura lottizzata che dir si voglia), il Cavaliere li ha resi più evidenti e più scandalosi. Facendoli finalmente notare. Non a molti. A qualcuno, che ora ha voglia di guarirne. Come diceva Giorgio Gaber, altro pericoloso rompicoglioni, “non mi preoccupa Berlusconi in sé. Ma in me”.


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