Quando Zeno correva con gli sci di legno

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vanni-merlin
00mercoledì 22 febbraio 2006 23:34
di Enzo Biagi


Quando Zeno correva con gli sci di legno



Le Olimpiadi hanno portato Torino al centro del mondo. Una grande festa fortemente voluta dall'avvocato Agnelli


Finalmente le Olimpiadi sono arrivate e il tedoforo, nonostante le tante insidie, è riuscito ad accendere il braciere. Certo, essendo un simbolo poteva essere un fuoco più modesto, visto i problemi che abbiamo col gas. Ma è l'atleta che rende lo sport popolare e con le sue imprese lo fa amare ed è questo che voglio raccontare anche se non ho mai fatto una discesa nemmeno con uno slittino e quando dalle mie parti arrivava la neve non si vedeva l'ora della primavera. Tra i monti l'inverno è più lungo. Ho sempre, invece, amato le imprese degli sportivi e vederli con gli sci ai piedi mi ricorda gli acrobati del circo.

Negli anni la magia di questo sport è entrata nelle case di tutti grazie alla televisione. Nel 1988, addirittura, fu interrotto il Festival di Sanremo per trasmettere l'ultima gara di Alberto Tomba che gli procurò la seconda medaglia d'oro a Calgary, in Canada.

Sono nato nel 1920 come Zeno Colò, anche lui di un paese dell'Appennino tosco-emiliano, io di Pianaccio, lui di Abetone, distanti poco più di 30 chilometri. Io credo che Zeno Colò sia stato il più grande campione di sci alpino: iniziò a 14 anni e a 15 era già in Nazionale. Era quello che si dice un talento naturale: due medaglie d'oro nel 1950, una in discesa libera, l'altra in slalom gigante ai Campionati del Mondo in Colorado, Stati Uniti. Due anni dopo, oro in discesa libera, la sua specialità, alle Olimpiadi di Oslo.

Era straordinario guardare Colò mentre volava sulla neve, in quella posizione 'a uovo', da lui inventata e sperimentata. Figlio di boscaioli, nella stretta di mano aveva la forza dei montanari e anche le loro poche parole. Le vittorie di Zeno Colò divennero leggenda in tutto il mondo.

Nel 1956 i Giochi invernali arrivarono a Cortina d'Ampezzo, ma lui, il campione, non poté difendere i nostri colori perché nel frattempo squalificato con l'accusa di professionismo: aveva dato il suo nome a un paio di scarponi. Lo incontrai all'inizio del 1959, scrivevo per 'La Stampa': "Vai all'Abetone a intervistare Zeno Colò, ma prima passa da Modena, hanno appena chiuso i casini", mi disse il direttore.

Quando incontrai l'ormai ex campione in lui c'era tutta l'amarezza dell'uomo a cui erano stati tolti, tra guerra e squalifica, gli anni più importanti. Allora gareggiava tra i maestri di sci. Gli raccontai la mia fermata a Modena, e l'incontro con una garbata signora, tenutaria di una 'casa', la quale per dimostrarmi il danno e il dolore, riaprì il locale. Spalancò addirittura le finestre. Tutto era in ordine. "Senta", diceva, "senta che materassi". Intanto faceva rimbalzare le molle. "E guardi che pulizia". Tutto era rimasto come prima: i salottini, la sala da pranzo per le 'pensionate', mancavano soltanto le signorine. C'era ancora un lieve sentore di acqua di colonia, di disinfettante, di sudore. La signora aggiunse: "E adesso a Modena abbiamo gli allievi dell'Accademia e 500 soldati della caserma di fanteria di sorientati. Cosa faranno quei poveri giovanotti?".

Ricordo ancora la fragorosa risata di Zeno Colò, la nostra generazione era cresciuta con i casini. Dopo aver visto in tv l'inaugurazione dei Giochi olimpici di Torino penso che se anche le discese di Colò fossero state riprese, avrebbe avuto gli stessi ingaggi dei suoi eredi e quindi il boscaiolo dell'Abetone non avrebbe avuto la necessità di usufruire della legge Bacchelli per poter sopravvivere. Voglio ricordare il mio conterraneo per quello che fece nel 1947, quando realizzò il record di velocità scendendo dal Cervino con ai piedi sci di solo legno e senza casco, sfiorando i 160 all'ora.

Sono contento che le Olimpiadi si svolgano a Torino perché è un po' distante da tutto e per questi 15 giorni sarà al centro del mondo. Alla città sono legato perché, quando gli altri giornali mi licenziavano, Giulio De Benedetti, che fu un grande direttore, mi diceva: "Che bella notizia", e 'La Stampa' mi offriva un posto di lavoro.

Penso anche che se i Giochi sono in Piemonte una parte del merito va sicuramente all'avvocato Giovanni Agnelli che tanto li aveva voluti. Dei nostri incontri ne ricordo uno in particolare: mi portò a visitare il Museo nazionale del Risorgimento a palazzo Carignano: ci fermammo nell'aula del Parlamento Subalpino, dove erano stati seduti Cavour, D'Azeglio, Gioberti, Garibaldi, Balbo. L'Avvocato mi disse: "Quando uno pensa alla storia d'Italia, dovrebbe partire proprio da qui". Lasciamo le malinconie e, come ha detto Luciana Littizzetto, "Godiamoci la festa".



da: www.espressonline.it/eol/free/jsp/detail.jsp?m1s=o&idCategory=4817&idContent...

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