PALERMO: PROCURA CHIEDE ASSOLUZIONE PER MORI E ULTIMO

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INES TABUSSO
00martedì 14 febbraio 2006 00:16
CORRIERE DELLA SERA on line
13 febbraio 2006
L'eventuale reato di favoreggiamento prescritto per la ex-Cirielli
Pm chiede assoluzione per Mori e «Ultimo»
Palermo: la procura chiede il proscioglimento del direttore del Sisde e del colonnello dei Cc accusati di aver favorito Cosa Nostra

PALERMO - Si va verso il proscioglimento. La procura, a conclusione della sua requisitoria, ha chiesto ai giudici l'assoluzione per il prefetto Mario Mori, direttore del Sisde, e per il tenente colonnello dei carabinieri Sergio De Caprio, il "capitano Ultimo", accusati di favoreggiamento nei confronti di Cosa nostra, per aver ritardato la perquisizione nel covo di Totò Riina, dopo il suo arresto.
REQUISITORIA - Davanti al Tribunale di Palermo presieduto da Raimondo Lo Forti, a conclusione della requisitoria iniziata stamani dall'altro pm, Michele Prestipino, il sostituto procuratore Antonio Ingroia ha chiesto ai giudici l'assoluzione perchè il fatto non sussiste e perchè non costituisce reato, riferendosi alle imputazioni che riguardavano la disattivazione dei controlli dell'omessa comunicazione alla Procura. Ingroia ha poi chiesto di non doversi procedere per il reato di favoreggiamento, che deve intendersi estinto per prescrizione in base alla legge ex Cirielli. La Procura non ha ritenuto che alla condotta dei due imputati venga applicata l'aggravante di favoreggiamento all'associazione mafiosa. «Le condotta di Mori e De Caprio - ha detto Ingroia ai giudici - sono state dettate da ragioni di Stato e non da altro»
In questo quadro, il reato «deve intendersi estinto a maggior ragione in considerazione dell'applicazione della così detta ex Cirielli, essendo il reato di favoreggiamento semplice compiuto nel 1993». La Cirielli prevede la prescrizione dopo sei anni.
LE OMBRE - «Questa vicenda se avesse un colore sarebbe il grigio: il bianco e il nero si confondono perchè ci sono stranezze, condotte incomprensibili e talune ombre che hanno minacciato di oscurare un'operazione di polizia così importante che ha portato all'arresto di Riina». Queste alcune delle parole pronunciate da Ingroia nella requisitoria del processo. Il magistrato ha sottolineato che in questa vicenda si è tenuto conto solo dei fatti giudiziari, lasciando fuori ipotesi, suggestioni e congetture che «spettano ad altri». «Le aule giudiziarie - ha detto Ingroia - non possono supplire ad altre eventuali inerzie». Ingroia ha voluto sottolineare che la procura di Palermo ha «applicato le leggi e adempiuto alle conseguenze del provvedimento del gip che imponeva l'imputazione coatta per Mori e De Caprio».
Il pm dopo avere «sgomberato il campo da ipotesi» e basandosi solo sulle reali condotte «penalmente rilevanti» di cui sono accusati i due imputati ha affermato la questione giuridica del reato di favoreggiamento. Ingroia ripete però più volte che è «un fatto semplice e banale» e cita Leonardo Sciascia per dire che è «una storia semplice». Per il magistrato, infatti, la perquisizione dopo l'arresto di un latitante è una cosa normale che venga fatta. Ma rifacendosi alla questione giuridica del favoreggiamento tiene a precisare che «il diritto va valutato e calato rispetto alle condizioni a cui fa riferimento».




MAFIA: COVO RIINA, PM "MORI E ULTIMO SOSPESERO OSSERVAZIONE"
(AGI) - Palermo, 13 feb. - "La decisione di sospendere i servizi di osservazione del residence di via Bernini fu presa dall'allora colonnello Mori e dal capitano Ultimo, e sarebbe stata sconosciuta almeno fino al 30 di gennaio ai vertici dell'Arma in Sicilia, dal generale Cancellieri al generale Cagnazzo al capo del Ros Subranni". Lo ha detto il pm Michele Prestipino, che ha iniziato stamani la requisitoria nel processo in cui il direttore del Sisde, prefetto Mario Mori, e il colonnello dei carabinieri Sergio De Caprio -l'ex "capitano Ultimo"- sono imputati di favoreggiamento aggravato per la mancata perquisizione del covo di Toto' Riina appunto nel residence di via Bernini subito dopo l'arresto del boss corleonese il 15 gennaio del 1993.
Il pm ha parlato del cosi' detto diario dell'allora procuratore aggiunto Vittorio Aliquo', un semplice "appunto manoscritto redatto a pochi giorni dai fatti" e "propedeutico a una relazione" da presentare al capo della Procura, Giancarlo Caselli, ha detto il magistrato. Una nota realizzata "traendo informazioni dallo scambio di notizie con colleghi e personale investigativo", e in cui "ci sono alcune imprecisioni che non possono mettere in dubbio la buona fede di tutti, visti i momenti di grande confusione che in quell'evento eccezionale si registratrono". Tuttavia, secondo il pm Prestipino, tra i "punti certi" c'e' che subito dopo l'arresto di Riina, nel corso del breve pasto presso la mesa del comando regione dei carabinieri, "la Procura era pronta a eseguire la perquisizione del residence di via Bernini, ma fu deciso di sospendere l'iniziativa in seguito alle insistenze del capitano Ultimo".
E' Aliquo' a confermare, anche al procuratore Caselli, che la decisione di sospendere "fu presa per consentire il proseguimento dell'attivita' di osservazione anche con l'ausilio di altri mezzi tecnici", ed e' stato sempre Aliquo' a riferire (oltre che ad appuntarlo nel suo manoscritto) che De Caprio era "sconvolto perche' una irruzione avrebbe mandato a farsi benedire tutto il lavoro fin li' svolto". (AGI) Cli/Rap (Segue) 131224 FEB 06 .
131237 FEB 06
COPYRIGHTS 2002-2005 AGI S.p.A.




MAFIA: COVO RIINA, PM "NON E' PROCESSO AL ROS"
"Questo non e', non vuole e non deve essere il processo all'operazione che porto' all'arresto di Toto' Riina, il 15 gennaio 93; ai carabinieri a quegli uomini valorosi, al prefetto Mori e al colonnello De Caprio che portarono a compimento una pagina fulgida e lucente di quell'Antimafia che in quel momento, con quest'operazione cosi' importante, comincio' d alzare la testa. Li' inizo' la riscossa, la primavera di Palermo. Una pagina su cui, per, ci sono alcune ombre che hanno smorzato la luce e ingrigito alcuni fatti". Lo ha detto il pm Antonio Ingoia, che ha proseguito la requisitoria iniziata dal collega Michele Prestipino dinanzi al Tribunale di Palermo nel processo al prefetto Mario Mori, direttore del Sisde, e al colonnello Sergio De Caprio, l'ex "capitano Ultimo", accusati di favoreggiamento aggravato a proposito della mancata comunicazione della sospensione del servizio di osservazione nei pressi del covo di Toto' Riina. E secondo Ingoia il nodo del processo sta proprio qui: "la perquisizione immediata del covo andava fatta. E' banale ma la prassi e le tecniche investigative dicono questo. Non fu fatta - ha detto Ingoia - su richiesta di Ultimo. La procura aveva gia' disposto l'ordine e il rinvio iniziale di 48 ore fu disposto in seguito alle motivazioni addotte da investigatori eccellenti. Su tutti il prosieguo dell'attivita' di osservazione controllo del 'covo'". (AGI)
(13 febbraio 2006 - ore 15.15)




Ateneonline
Testata giornalistica dell'Università degli Studi di Palermo
Quotidiano telematico della Scuola di Giornalismo "Mario Francese"
13 febbraio 2006

Oggi la requisitoria del processo al prefetto e al tenente

Covo Riina, Pm chiede assoluzione per Mori e 'Ultimo'

"Questa vicenda se avesse un colore sarebbe il grigio: il bianco e il nero si confondono perchè ci sono stranezze, condotte incomprensibili e talune ombre che hanno minacciato di oscurare un'operazione di polizia così importante che ha portato all'arresto di Riina". Così Antonio Ingroia nella requisitoria del processo al prefetto Mario Mori e al tenente colonnello Sergio De Caprio. Il magistrato ha sottolineato che in questa vicenda si è tenuto conto solo dei fatti giudiziari, lasciando fuori ipotesi, suggestioni e congetture che "spettano ad altri". "Le aule giudiziarie - ha detto Ingroia - non possono supplire ad altre eventuali inerzie". Ingroia ha voluto sottolineare che la procura di Palermo ha "applicato le leggi e adempiuto alle conseguenze del provvedimento del gip che imponeva l'imputazione coatta per Mori e De Caprio".

Il pm dopo avere "sgomberato il campo da ipotesi" e basandosi solo sulle reali condotte "penalmente rilevanti" di cui sono accusati i due imputati ha affermato la questione giuridica del reato di favoreggiamento. Ingroia ripete però più volte che è "un fatto semplice e banale" e cita Leonardo Sciascia per dire che è "una storia semplice". Per il magistrato, infatti, la perquisizione dopo l'arresto di un latitante è una cosa normale che venga fatta. Ma rifacendosi alla questione giuridica del favoreggiamento tiene a precisare che "il diritto va valutato e calato rispetto alle condizioni a cui fa riferimento".

In mattinata il pm Michele Prestipino aveva iniziato la requisitoria nel processo in cui sono imputati il prefetto Mario Mori, direttore del Sisde, e il tenente
colonnello dei carabinieri Sergio De Caprio, conosciuto come "Capitano Ultimo", accusati di favoreggiamento nei confronti della mafia. Per gli inquirenti avrebbero ritardato la perquisizione al covo di Riina dopo il suo arresto avvenuto il 15 gennaio '93, ed inoltre non avrebbero avvertito la procura dello smantellamento dei servizi di osservazione alla villa del boss.

Il pm ha iniziato la requisitoria davanti ai giudici della quarta sezione del tribunale di Palermo. Sono presenti in aula gli imputati, protetti dai carabinieri e da agenti dei servizi segreti. "Questo processo è alla condotta dei due imputati e non al Ros e nemmeno all'attività di Mori e De Caprio". Così il pm Michele Prestipino durante la requisitoria in corso a Palermo davanti ai giudici della Quarta sezione presieduta da Raimondo Lo Forti.

Il pm ha ricostruito le fasi del processo e le testimonianze raccolte al dibattimento di magistrati e ufficiali. In particolare, Prestipino si è soffermato sulla richiesta avanzata la mattina del 15 gennaio '93 dall'allora capitano Sergio De Caprio, di rinviare la perquisizione in via Bernini 54, dove Riina aveva trascorso la sua latitanza insieme alla famiglia. Per l'ufficiale del Ros si trattava di proseguire l'osservazione del complesso immobiliare "per scoprire - disse De Caprio nel richiedere il rinvio della perquisizione - nelle 48 ore successive all'arresto, eventuali complici o persone insospettabili".

Prestipino ricorda che solo il 30 gennaio '93 il Ros comunicò alla Procura che i controlli erano cessati nel pomeriggio dell'arresto del capo mafia e la perquisizione venne effettuata il 2 febbraio. "Gli inquirenti - afferma il pm - accertarono che l'unità immobiliare di via Bernini 54 era stata abitata dalla famiglia Riina solo grazie alla scoperta di un piccolo frammento di una lettera scritta da uno dei figli del boss". Il pm punta su tre circostanze che avrebbero determinato il favoreggiamento a causa del ritardo nella perquisizione: che la mattina dell'arresto Riina doveva partecipare ad un summit con altri capimafia, che in seguito alla sua cattura sfuggirono; che i mafiosi Giovanni Sansone, Gioacchino La Barbera e Antonino Gioè curarono il trasferimento della moglie di Riiina e dei figli prima alla stazione Centrale di Palermo e da qui a Corleone.

E poi, al fatto che a più riprese i tre mafiosi, dopo aver bruciato alcuni oggetti, riuscirono a rimuovere i mobili di via Bernini e a imbiancare le pareti. Il pm Antonio Ingroia ha chiesto ai giudici l'assoluzione perchè il fatto non sussiste e perchè non costituisce reato, riferendosi alle imputazioni che riguardavano la disattivazione dei controlli dell'omessa comunicazione alla Procura. Ingroia ha poi chiesto di non doversi procedere per il reato di favoreggiamento, che deve intendersi estinto per prescrizione in base alla legge ex Cirielli.

La Procura non ha ritenuto che alla condotta dei due imputati venga applicata l'aggravante di favoreggiamento all'associazione mafiosa."Le condotta di Mori e De Caprio - ha detto Ingroia ai giudici - sono state dettate da ragioni di Stato e non da altro".

Le richieste dei pm fanno riferimento a due differenti condotte di favoreggiamento contestate agli imputati: avere mentito sull'intenzione di tenere sotto controllo il covo del boss Totò Riina, dopo l'arresto; avere interrotto il servizio di telecamere installato davanti al rifugio, tacendolo ai magistrati ed impedendo loro di disporre una tempestiva perquisizione.

Quanto alla prima condotta, secondo i magistrati il fatto non sussisterebbe e non costituirebbe reato. Mancherebbe cioè sia l'elemento oggettivo del favoreggiamento che l'intenzionalità. Diversa la valutazione data sulla decisione di non comunicare la disattivazione del sistema video alla procura di Palermo. In questo caso i pm escludono che gli imputati abbiano agito con l'intenzione di favorire Cosa nostra: dal favoreggiamento aggravato si passa dunque a quello semplice ormai prescritto, soprattutto alla luce delle norme introdotte dalla ex Cirielli che riduce i termini di prescrizione del reato a sei anni. Da qui la decisione di chiedere il non doversi procedere.
red


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cfr.
CORRIERE DELA SERA
19 febbraio 2005

LA VICENDA
LE TAPPE

IL RIFUGIO La fuga
Dopo l’arresto di Totò Riina (nella foto) , il 15 gennaio ’93, la moglie Ninetta Bagarella e i figli che hanno condiviso con lui la latitanza lasciano il covo di via Bernini a Palermo
LE POLEMICHE
Mancati controlli
La casa non viene né sorvegliata né perquisita. I carabinieri del Ros, comandati dal generale Mori arrivano 18 giorni dopo
L’INCHIESTA
Sotto accusa
La Procura di Palermo apre un’inchiesta. Sotto accusa per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra finiscono l’allora vicecomandante del Ros Mario Mori e l’allora capitano Sergio De Caprio, nome di battaglia «Ultimo». Per due volte i pm chiedono l’archiviazione, ma il gip, il 2 novembre scorso, ordina l’imputazione coatta
IL PROCESSO
Le richieste
Il 3 febbraio scorso
I pm chiedono il non luogo a procedere «perché il fatto non costituisce reato». Ma il giudice ieri li ha rinviati a giudizio



CORRIERE DELA SERA
20 febbraio 2005
Caso Mori, pm pronti a lasciare
«Rappresentiamo l’accusa senza crederci».
Domani vertice per decidere

Antonio Ingroia e Michele Prestipino, i due pm del processo per la mancata perquisizione nel covo di Riina, sono pronti a farsi da parte perché, come dice Ingroia, non si può rappresentare l’accusa «senza crederci»: «Meglio affidare il compito a magistrati "immuni", a colleghi scevri da condizionamento...». I due pm avevano infatti finora chiesto il proscioglimento del generale Mario Mori e del colonnello Sergio De Caprio, imputati nel processo fissato per il 7 aprile. Domani, alla riunione della Direzione distrettuale antimafia convocata dal procuratore Piero Grasso, sarà presa una decisione. Intanto continuano le reazioni politiche. Il ministro Gasparri ha invocato l’intervento del Csm, ma il vicepresidente dell’organo di autogoverno, Virginio Rognoni, ha risposto: «Va rispettata la decisione del gup».

DAL NOSTRO INVIATO
Felice Cavallaro
PALERMO - Diventa un paradosso giudiziario il processo per la mancata perquisizione al covo di Riina. Perché al dibattimento fissato per il 7 aprile contro il generale Mario Mori e il colonnello Sergio De Caprio i due pubblici ministeri che avevano finora chiesto il proscioglimento degli imputati dovrebbero smentire se stessi. Rappresentando l’accusa «senza crederci», come dice Antonio Ingroia, pronto a tirarsi indietro insieme al suo collega Michele Prestipino: «Meglio affidare il compito a magistrati "immuni", a colleghi scevri da condizionamento...».
Si deciderà domani, alla riunione della Direzione distrettuale antimafia convocata dal procuratore Piero Grasso, mentre dal mondo politico scatta un (quasi) corale sostegno al capo del Sisde e al segugio soprannominato «Ultimo». Con il ministro Gasparri che invoca l’intervento del Csm, inascoltato dal vicepresidente dell’organo di autogoverno, Virginio Rognoni: «Va rispettata la decisione del gup». Con Rocco Buttiglione solidale, e Francesco Rutelli dubbioso: «Non vorrei pronunciarmi. Questa è una materia molto delicata».
Da un punto di vista tecnico, la questione resta nelle mani di Grasso: «Stabiliremo la linea tutti insieme, come è finora accaduto». Ma pesa il dilemma di Ingroia sul «condizionamento» legato alle convinzioni maturate nei mesi scorsi. Quando, prima al gip Vivetta Massa e poi al gup Marco Mazzeo, ha continuato a chiedere per i due imputati il proscioglimento o la prescrizione, nonostante il ripetuto invito del gip a riformulare ogni volta il capo di imputazione.
Un contropiede fra gip da una parte e, dall’altra, una ricompattata Procura. Ingroia, considerato il pm più vicino all’ex procuratore Caselli, ha infatti operato d’intesa con Prestipino, a sua volta considerato il più vicino a Grasso, e gran regista delle recenti operazioni a caccia di Provenzano. Insomma, le due anime della Procura spesso su posizioni divergenti si sono ritrovate unite per sanare la devastante ferita degli anni Novanta fra l’ufficio e il Ros dei carabinieri.
Un’opera di riequilibrio che stona con il rinvio a giudizio per favoreggiamento a Cosa Nostra disposto dal giovanissimo giudice Mazzeo, adesso bersaglio di un fuoco incrociato dal quale si difende offrendo ai colleghi della prima sezione penale le carte inserite nel fascicolo.
A cominciare da un bel malloppo di fotocopie dalle quali emerge una dirompente tesi lanciata l’anno scorso dall’ex procuratore generale di Palermo, Vincenzo Rovello, sostenitore dei magistrati che nei tumultuosi anni Novanta si trovarono al centro dello spinoso scontro con il Ros per il dossier mafia-appalti: «La perquisizione per me è stata fatta. Dai carabinieri o dai "servizi"... Avranno trovato l’archivio di Riina. E credo che questo archivio contenga delle cose che forse è meglio, non lo dico da magistrato, coprire con il segreto di Stato».
Una mazzata. È il nocciolo degli atti giudiziari arrivati da Milano, sottoscritti dal giudice Gaetano Brusa chiamato a pronunciarsi su una querela di «Ultimo» contro due cronisti irriguardosi (e assolti). Ma proprio i sospetti legati al rifiuto di perquisire il covo di Riina subito dopo l’arresto del boss sono stati ritenuti legittimi da Brusa sulla base di alcune testimonianze di magistrati allora impegnati a Palermo.
Si tratta delle lettere di contestazione al Ros firmate da Caselli, degli appunti dell’ex procuratore aggiunto Vittorio Aliquò e, soprattutto, della «mazzata» di Rovello, il magistrato scomparso l’anno scorso dopo aver deposto a Milano, dopo avere indagato su «veleni» e «corvi» siciliani, dai tempi di Sica e Falcone, autore di due inchieste sui misteri del covo di via Bernini.
Di qui il rilievo dato a Milano e Palermo dai giudici Brusa, Massa e Mazzeo alle parole di Rovello: «Un fatto di assoluta gravità "che grida vendetta"». E alle domande dell’avvocato Caterina Malavenda rispondeva secco: «Fra Ros e Procura c’era una diffidenza di fondo». Poi, ricordando un incontro fra i magistrati e Mori: «Ci disse che lui non dava la speranza, ma la certezza che nel giro di pochi giorni avrebbe arrestato Provenzano».
Ma il Ros non aveva inviato una relazione alla Procura generale e Rovello se ne lamentava: «Scoprii che l’avevano mandata alla Procura generale di Roma considerando che il Ros operava sull’interno territorio nazionale. Ho appurato che la segnalazione era stata archiviata de plano . E mi sono meravigliato». Altra sorpresa: «Ho indagato e riferito al ministro della Giustizia perché a sua volta ne riferisse al Parlamento. Poi mi sono rivolto al Csm e alla Procura generale della Cassazione. Ma nessuno ha ritenuto di procedere». Una somma di silenzi. Una pentola ricca di misteri, senza il coperchio dei gip.
Una pentola in cui galleggia una seconda inchiesta sempre a carico di Mori e di alcuni suoi uomini per la mancata cattura di Provenzano. Un blitz bloccato nel ’95, sostiene un colonnello dei carabinieri, con un’accusa mai archiviata dalla stessa Procura domani in forzato conclave.
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