La battaglia delle rime nella Cuba di Compay Segundo

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carib.e
00sabato 16 settembre 2006 14:58
Sezione: letteratura poesia - Pagina: 043
(13 settembre, 2006) Corriere della Sera


TRADIZIONI Dalle sfide improvvisate a colpi di poesie sono nati i versi ora raccolti in un' antologia

La battaglia delle rime nella Cuba di Compay Segundo


Ci sono stati in tutte le epoche degli improvvisatori, capaci d' inventare al momento le loro poesie su argomenti suggeriti loro dal pubblico. Essi adottano schemi metrici preesistenti, e li osservano senza sgarrare. È evidente che, con un esercizio sistematico, questi rimatori hanno assimilato rime e ritmi, ma anche l' assieme del linguaggio poetico della loro epoca, con gli attributi e i verbi che accompagnano più spesso ogni sostantivo, classificato mentalmente da loro secondo i temi.

In certe epoche, per esempio nel Cinque e nell' Ottocento, le improvvisazioni vennero a costituire un vero spettacolo, e i rimatori erano oggetto di entusiasmi e sopravvalutazioni. Anche a livello popolare, le improvvisazioni hanno spesso grande seguito, specie nella forma di contrasti o dibattiti fra improvvisatori.

Uno dei Paesi in cui questa pratica è ancora diffusissima è Cuba. Si tratta certo di un fenomeno diverso ma collegato a quella musica popolare che, già ben conosciuta da tempo, ha avuto e ha tuttora un' impennata di successo grazie a Wim Wenders, e al suo film sul «Buena vista social club» e su figure carismatiche come Compay Segundo.

Nel nostro caso incontriamo spettacoli (canturías), frequentatissimi, e ora trasferiti anche alla televisione, basati sul confronto tra due, o anche tre improvvisatori; e vere scuole (confrontabili con le scuole di samba in Brasile) in cui si addestrano all' improvvisazione gli scolari sin da giovanissimi.

Di questo fenomeno c' informa il recente volumetto Cuba improvvisa. Antologia del repentismo cubano, a cura della ricercatrice senese Giuliana Della Valle e dello scrittore e critico cubano David Mitrani, con un prologo di Antonio Melis (edito da Gorée, pagine XXVII-120, 18; accluso un dvd).

Questi testi sono tutti in decime, strofe di dieci ottonari il cui schema risale alla poesia spagnola del Cinque e Seicento, ed è stato abbandonato dalla letteratura colta sino al Novecento, quando, per influsso popolare, è stato ripreso in Spagna e nell' America latina, anche nella scia del grande Rubén Darío. Vengono cantati con l' accompagnamento di liuti e chitarre, e pure di strumenti a percussione.

Un quesito cui non sempre si può rispondere è quello sulla genuinità dell' improvvisazione, dato che qualche volta il poeta può avere attinto a un suo repertorio mnemonico di testi, adattandoli all' occasione in superficie: la Della Valle espone i criteri di verifica da lei adottati, e con sigle apposite indica il grado di attendibilità dell' asserita improvvisazione.

Gl' improvvisatori a confronto cercano di soverchiarsi satireggiando i difetti del rivale o le proprie qualità. Un tema comune è la celebrazione di un' origine contadina, della vita dura e dei cibi semplici della propria infanzia.

Così Ernesto Ramírez si vanta di essere figlio di un «professore della zappa», e Arnaldo Figueredo seppellisce l' avversario sotto un cumulo di anafore: «Non sei mai stato graffiato/ in fronte da un rovo», «Non ti sei mai curvato/ per lavorare con la zappa», «Non sei mai andato con la falce/ a tagliare il riso maturo», «Non hai mai fatto con la voce/ paura ai colombi».

Ne vengono quadretti efficaci anche se convenzionali, che certo alludono a situazioni reali, anche se ormai spinte a diventare ricordi da un' incipiente meccanizzazione.

Interessante è la vera gara che si sviluppa tra gl' improvvisatori: una gara di metafore e comparazioni che è uno sfoggio d' inventiva linguistica. Così il vento, che passa per i solchi «come volendo spianare/ i pennacchi del palmeto/ e il fiore del cocomero» (Emelio Alfonso), secondo Ernesto Ramírez «ha aiutato il fiume a correre/ e ha aiutato ad accendere il fuoco». Non solo, ma il vento, fatto anche oggetto della grande storia, «quando la traversata/ era quasi fallita/ fu capitano delle tre/ caravelle di Colombo».

E se Pablo León vede il fiume come «un puledro selvaggio/ con gli zoccoli al contrario», Luis Quintana parla di un fiume che nitrisce e di un «galoppo di cristallo», sentendosi «fantino di uno stallone/ che ha la groppa così fredda». In complesso, il livello stilistico di questi testi è notevole; essi chiudono probabilmente una vicenda poetica nata in tempi lontani e in ambienti ancora più lontani.

Segre Cesare

Corriere.it


pedro68
00sabato 16 settembre 2006 16:38
Un motivo in più per andare fiero delle mie origini che affondano le radic9i nel paese dei

poeti a braccio e...


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