LUCIA: SI' ALLA PUBBLICAZIONE DEL CONTENUTO DELLE INTERCETTAZIONI (MA DOPO UNA DECINA D'ANNI)

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INES TABUSSO
00lunedì 29 maggio 2006 01:26

LA STAMPA
28 maggio 2006
Spiamo, con regola
Lucia Annunziata


E’ un dilemma di vecchia data ma non per questo risolto. Le intercettazioni ancora una volta rivelano i mali nascosti della nostra società. Ma quando, come in questi giorni, diventano un diluvio, una diffusione a ciclo continuo di stralci senza contesto, sono ancora efficaci? Strumento di trasparenza per eccellenza, a che punto divengono il perfetto contrario, cioè uno strumento di confusione e manipolazione?

Eccetto per un breve accenno del ministro della Giustizia, la politica per ora sembra non aver ancora focalizzato la sua attenzione su questa domanda. Ne sta lontano intanto perché nella nuova ondata di scandali i politici inclusi (almeno per ora) sono ben pochi. Ma anche perché è una domanda estremamente divisiva per un governo come quello attuale le cui radici culturali sono nella «rivoluzione» di Mani pulite. Tuttavia, la questione è sul tavolo, ed è abbastanza difficile da aggirare.

Val la pena, intanto, definire esattamente davanti a cosa ci troviamo. L'uso sempre più ampio e capillare delle intercettazioni è una conseguenza quasi obbligata della nuova società tecnologica: dal modo di spendere (carte di credito) al modo di comunicare (Internet/telefonia) al modo di fare la guerra, l'attività umana si è organizzata differentemente negli ultimi venti anni, e il suo controllo passa ora dunque per queste nuove autostrade. Per certi versi le intercettazioni sono il semplice adeguamento elettronico degli antichi pedinamenti dei sospetti da parte della polizia.

La necessità e l’efficacia di questo strumento sono visibili intorno a noi in tutto il mondo: basta allargare lo sguardo fuori dall'Italia per vedere che l’intera guerra alla criminalità e al terrorismo è affidata proprio al controllo elettronico massiccio, esteso, e non dichiarato. Un controllo che è una efficace (e forse unica) alternativa all'uso delle armi.

L'opinione pubblica occidentale rimane tuttavia divisa e dubbiosa su queste misure. Negli Stati Uniti, di recente, è stata denunciata una vasta rete di controllo del governo sui telefoni di migliaia di cittadini americani. Scoperta che ha provocato scandalo e proteste. Come del resto è successo in tutti i Paesi quando si è saputo del progetto Echelon. Contro le intercettazioni si sono schierate soprattutto le aree democratiche delle opinioni pubbliche, in nome del pericolo di un subdolo insinuarsi del potere dentro la sfera dei diritti fondamentali dell'individuo.

In Italia invece c'è stato un totale rovesciamento delle parti. Essendo state strumento di denuncia di scandali che altrimenti non sarebbero mai venuti a galla (e quello del calcio ne è la puntuale conferma), le intercettazioni sono state sempre difese dalla sinistra, e attaccate dalla destra. Con la paradossale conclusione che la sinistra ha lasciato alla destra una sua tradizionale e fondamentale battaglia: quella del «garantismo», cioè della difesa dei cittadini da uno strapotere dello Stato. L'eccezione italiana spiega sicuramente la differenza: la natura particolarmente opaca e serrata del potere italiano ha reso probabilmente necessario l'uso dell'ascia. Ma ora? Ora che la politica si trova di fronte a scandali non strettamente politici, ora che al governo ci sono forze che sostengono che la moralità pubblica è il fondamento del loro operato, non si sono forse create le condizioni per poter riflettere, oltre che sulla bontà, anche sui limiti dell'uso delle intercettazioni?

Questi giorni dimostrano che, dall’eccezionalità i controlli sono passati a essere così massicci da divenire quasi massa amorfa. Le trascrizioni sono così tante da essere troppe, il materiale è un grande groviglio, i dettagli sono sullo stesso piano di colpe gravi, e il pettegolezzo spesso diventa dominante: rappresentano infatti il vero reality in corso, come è stato acutamente scritto.

Le intercettazioni sono rese note senza contesto: dove sono state fatte, in che sequela, qual era il resto della conversazione? E, che è quel che più conta, arrivano a noi sulla stampa ancora prima che siano rese note agli stessi intervistati.

Serve tutto questo materiale al pubblico, prima ancora di essere letto e organizzato nella logica e con la forza di un processo? Non è un po’ come mandare nelle edicole gli articoli iniziati, non editati, invece che il giornale finito?

E' importantissimo che noi cittadini sappiamo il massimo possibile di tutto e tutti. Ma, proprio ai fini della conoscenza, sarebbe meglio che il materiale ci venisse dato dopo: dopo che un giudice lo ha valutato, selezionato, spiegato in una accusa, e formalizzato in un’aula di tribunale. Solo allora infatti i vari pezzi di una indagine divengono incontrovertibilmente storia pubblica.

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