Giganti dell'Asia.

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cane...sciolto
00sabato 1 aprile 2006 21:20
Pechino, Shanghai e Canton spinte al confronto dalla riforma politica e sociale.

Pechino guarda a Parigi e impartisce una lezione sull'integrazione sociale. "Xinhua", organo di stampa del governo, riflette sulla crisi delle banlieue. Vi vede una "profonda spaccatura" della società francese che non può trovare una soluzione "legge e ordine" e invita a un approccio assai più costruttivo.
Da che puplito viene la predica, si diceva una volta.
Nuova Delhi guarda Pechino e teme di rimanere indietro anche nel modo di presentare al mondo un proprio modello culturale.
La considerazione e di C. Raja Mohan, il noto "editorialista strategico" passato da "Times of India" a "The Indian Express".
Su questo quotidiano apre una rubrica sugli affari cinesi; scrive sui festeggiamenti per il 2556° anniversario della nascita di Confucio.
I vertici del PC cinese hanno deciso di richiamare il pensiero del "maestro" come utile strumento per affrontare le "ineguaglianze economiche e le tensioni sociali". Il confucianesimo non è più "la cattiva erba sociale da estirpare", secondo l'etichetta del pensiero maoista. Il percorso ideologico della maturazione imperialistica cinese è accidentato, rimescola tutte le tradizioni.

La società armoniosa di Hu Jintao.
Con l'ideologia delle "tre rappresentanze", Jiang Zemin si proponeva come garante di tutte le classi e frazioni cinesi. Il divieto per gli imprenditori cinesi di aderire al partito veniva rimosso: gli imprenditori rinascevano come "intellettuali che sviluppano le forze produttive".
Hu Jintao si allarga: la ideologia riformista pretende di affrontare il nodo delle differenze sociali. Riprende da Confucio il concetto di "società armoniosa". Mohan spiega che per Confucio l'armonia è lo scopo "sia degli individui che dello stato", da realizzare osservando i principi della "benevolenza e reciprocità nella società gerarchica".
Mohan vede in questa riscoperta ideologica il collante etico per le fratture sociali interne e un possibile emblema per la politica estera cinese. A questo scopo Pechino vuole realizzare nel mondo un centinaio di Confucious Institutes dove insegnare la lingua e la cultura cinesi. A Delhi pensano che, in un tempo più breve di quanto si potesse immaginare, nel mondo si parlerà inglese e cinese.

Ostacoli per Hu.
"Asia Times Online" di Hong Kong, fondato nel 1999, si rivolge ai lettori di 17 paesi asiatici. Sostiene di voler presentare i problemi politici in una "prospettiva asiatica", distinguendosi dai media di lingua inglese che vedono le questioni asiatiche "da occidentali per occidentali". Sostiene che Hu, dietro il paravento della "società armoniosa", vuole accentuare il controllo di Pechino sulle province. La quinta sessione plenaria del Comitato Centrale dell'ottobre scorso ha discusso la linea di Hu, ma ha deciso di rinviare l'applicazione. Per "Asia Times" è stato "uno schiaffo" ad Hu: la spinta alla "società armoniosa" è stata raffreddata. L'elemento che ha accomunato tutti è stato la necessità di tenere alto il tasso di retorica

Shanghai frena.
I principali promotori del freno a Hu Jintao e Wen Jiabao vengono da Shanghai. Un episodio è portato all'attenzione. Nell'agosto scorso, a Beidaihe, la classica località di velleggiatura dell'elite cinese, si sono riuniti i dirigenti catalogati come "fazione di Shanghai", riconducibili a Jiang Zemin e a Zeng Qinghong, nel linguaggio politologico cinese la sua tradizionale "mano destra". La riunione ha assunto un particolare significato politico perchè Hu aveva annullato le tradizionali riunioni estive di Beidaihe.
A Beidaihe erano presenti tra gli altri questi personaggi che la stampa di Hong Kong valuta particolarmenti carattizzanti: Hua Jianmin, segretario generale dell'ufficio del Consiglio di Stato, ossia il funzionario che ha in mano tutte le pratiche che arrivano al premier Wen Jiabao. Poi Wan Gang, membro supplente del politburo e direttore dell'ufficio generale del comitato centrale; da lui passano le pratiche del partito che arrivano al segretario generale Hu Jintao.
In fine era presente il generale Xu Caihou, uno dei tre vicepresidenti della Commissione centrale generale.
La valutazione di "Asia Times" è che i membri della "fazione di Shanghai" hanno in mano le leve degli "affari quotidiani" del governo cinese. La ricostruzione del foglio on line di Hong Kong è un'interpretazione di cosa si muova nella Città proibita del potere politico cinese, ma i colori usati nel dipingere il quadro sembrano troppo forti. Non possiamo dimenticare che il pluralismo mandarino nello scontro sulla successione a Jiang Zemin presentò un analogo contrasto.
Hu Jintao ne uscì come la soluzione di compromesso delle correnti in alternativa a Zeng Qinghong, troppo schiacciato su Shanghai per esprimere la linea generale dei "quattro mari e cinque laghi".

Continua....
cane...sciolto
00sabato 1 aprile 2006 21:34
La valutazione di "The Standard".
"The Standard", quotidiano do Hong Kong, valuta che lo scontro tra le correnti cinesi sia spinto dalle necissità di "riforme sociali e politiche". Sarebbe un nodo ineludibile prodotto dallo sviluppo cinese
Da questa versione si è spinti a leggere la tesi elaborata da Hu Jintao sull'"armonia sociale" come foriera di uno scontro politico sul ritmo delle "riforme sociali". Anche "The Standard" vede che lo scontro politico riguarda il tipo di mediazione che Hu e Wen sono in grado di realizzare con Shanghai. La corrente di Hu impugna la "società armoniosa" ma, per procedere verso le riforme della sanità, della casa, dell'istruzione, delle abitazioni, delle misure a sostegno delle migrazioni interne, non può fare a meno del consenso di Shaghai. Gli alti costi di una "via riformista" richiedono il consenso dei "quattro mari e cinque laghi".

I migranti e l'equazione Hu.
Zheng Bijian, del China Reform Forum, scrive su "Xinhua" che la linea di Hu può così riassumersi: salvaguardare la sovranità nazionale e ralizzare le modernizzazioni. In questo ambito si deve realizzare l' "armonia sociale e rendere felice il popolo".
Le priorità che questa linea richiede spingono allo scontro le frazioni della classe dominante cinese. Il mutamento sociale che scuote l'Impero di Mezzo scuote gli equilibri politici.
"Xinhua" descrive l'emergere con forza del problema dei diritti dei lavoratori migranti.
I dati ufficiali li valutano in 120 milioni.
Un migrante guadagna un terzo del reddito del lavoratore residente, ma due volte di più del lavoratore rurale (6.421 contro 2.936 yuan all'anno). L' 80% dei migranti è occupato nel settore delle costruzioni; diffusa è la protesta contro i padroni che non pagano i salari.

"Xinhua" riporta la valutazione di Liu Kaiming dell'Istituto di osservazione contemporanea di Shenzhen.
Descrive la seconda generazioni di migranti, quelli che "non hanno conosciuto la fame": hanno il cellulare, sono integrati nella vita della città, ma "vivono fra loro"; i governo locali li vedono come "fonti di problemi".
Saranno forse i futuri serbatoi di casseur cinesi, per la quota che finirà ai margini dello scorrimento sociale, ma già oggi sono i reparti di un moderno proletariato urbano, coinvolto anche in Cina nelle classiche contraddizioni della modernizzazione sociale e politica.

Nuovi operai nell'Impero di mezzo.
Fonti del governo di Pechino sostengono che in quattro aziende a capitale privato su cinque non esiste contratto di lavoro.
Ciò significa niente assistenza medica, niente assicurazione contro gli infortuni, niente fondo pensionistico.
In Cina si valuta che questo tipo di aziende siano già oltre 2 milioni.

Si manifesta un nuovo problema in particolare nel Guangdong. La "provincia dell'apertura" nel 2004 ha avuto una crescita del PIL che i dati ufficiali danno al 25%. Tale ritmo ha provocato una carenza di braccia da occupare. Secondo valutazioni del governo locale mancherebbero 2 milioni di operai; secondo fonti di Hong Kong ne mancherebbero 4 milioni.
A Guangzhou, la vecchia Canton, i migranti sarebbero 1,3 milioni. La mancanza di lavoratori avrebbe già spinto il governo locale ad alzare il minimo salariale da 70 a 83 dollari al mese. E' il livello della Thailandia.
"Business Week" scrive che la mancanza di forza-lavoro penalizza soprattutto le piccole e medie fabbriche con sede a Hong Kong e Taiwan, orientate all'export. Li vive la legge del massimo sfruttamento per estorcere il massimo di plusvalore assoluto.
"Time" scrive che l'uso dello sciopero per salario, mensa, ferie, pagamento dello straordinario porta ad alcuni successi.
Si manifestano i primi segnali di tradeunionismo sul "Delta del fiume delle perle". A Shenzhen lo sciopero di una fabbrica di DVD con 3000 occupati ha costretto il vicegovernatore della città a intervenire per imporre di triplicare i salari.
Joseph Kahn, attento osservatore della questione cinese, scrive su "International Herald Tribune" che se Marx visitasse il Guangdong, vi rivedrebba la sua Manchester dove, a cause delle condizioni di lavoro, su tre generazioni di operai una vedeva cancellata la sua esistenza prima prima di potersi riprodurre.
Dal manifestarsi delle prime schegge di tradeunionismo in Europa, all'inizio degli anni 60 dello scorso secolo, passò almeno un decennio prima del pieno dispiegarsi delle lotte operaie.
E' un parametro per valutare i tempi della Cina blu.
Una nuova carta si prepara per essere calata sul tavolo delle lotte politiche dell'Impero di Mezzo.

R. C. "Lotta Comunista" febbraio 2006

Se avrete voglia di leggervi il pistolotto, in modo particolare la "seconda parte" capirete il gran movimento di gente, nuovi salariati, nuovi sfruttati che sta avvenendo in Cina.
Capirete anche perchè noi marxisti di Lotta Comunista, non consideriamo certo la Cina, un paese comunista, come dice nel finale l'articolo...

"che se Marx visitasse il Guangdong, vi rivedrebba la sua Manchester dove, a cause delle condizioni di lavoro, su tre generazioni di operai una vedeva cancellata la sua esistenza prima prima di potersi riprodurre."...

La borghesia di oggi in Cina, è come quella di allora, non cambia.
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