FRANCO CORDERO E L'ALLEGRA BARBARIE SULLA COSTITUZIONE

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INES TABUSSO
00venerdì 13 gennaio 2006 13:26


LA REPUBBLICA
13 gennaio 2006
L´allegra barbarie sulla Costituzione
Franco Cordero

QUEL che colpisce in B. è la dirittura geometrica delle traiettorie: punta all´obiettivo sul segmento breve senza badare ai costi, meno che mai morali. Ad esempio, gli riesce molesto l´appello del pubblico ministero contro sentenze che l´abbiano prosciolto. Come disfarsene? «Elementare Watson», basta ritoccare il codice. Ha i numeri, no? L´avvocato difensore, parlamentare forzaitaliota, firma la relativa proposta: Montecitorio la vota; mancava solo il voto dell´altra Camera; era atteso nel solstizio d´inverno; degli accidenti l´hanno rinviato ma eccolo; i proscioglimenti diventano inappellabili.
Anche i meno proceduristi allibiscono. Il processo penale è materia dialettica: il pubblico ministero lo instaura affermando che il tale abbia commesso un reato; nel caso più frequente l´avversario contraddice; i temi controvertibili sono due, se siano avvenuti i fatti x, y, z, e cosa significhino in chiave penale; quando vada bene, le prove fanno luce sul fondo storico; quanto al resto, «iura novit curia»; il giudice, conoscitore delle norme, le applica stabilendo ad esempio che i fatti emersi costituiscano una «corruzione in atti giudiziari» (art. 319-ter del codice penale). Da almeno due secoli esiste un contraddittorio penale (ignoto all´antica prassi inquisitoria). Lo richiede l´art. 111 della Costituzione, comma 2: sarebbe invalida qualunque norma che alterasse l´equilibrio delle rispettive chances; è presupposta una «condizione di parità». Il contraddittorio dura quanto l´intero processo, la cui forma non è predefinita: emessa una sentenza, il soccombente può impugnarla aprendo una nuova fase; le impugnazioni cosiddette ordinarie sono due, appello e ricorso in cassazione; le chiamiamo ordinarie perché hanno termini perentori, decorsi inutilmente i quali, la decisione diventa irrevocabile; res iudicata. L´appello è un secondo giudizio nel quale la corte esercita gli stessi poteri del tribunale: se glielo chiedono, assume nuove prove rinnovando il dibattimento; indi conferma la decisione appellata o, riformandola, assolve ovvero condanna. Davanti alla Cassazione, invece, non sono acquisibili prove: questa Corte, situata al vertice, giudica sulle carte stabilendo se la sentenza abbia inteso correttamente le norme e nel ricostruire i fatti contenga storture logiche (nel qual caso annulla, rinviando gli atti nella sede da cui venivano, affinché il giudizio sia ripetuto).
Inutile dire quale momento decisivo del contraddittorio sia l´atto con cui la parte impugna. Impugnano gli interessati ossia i soccombenti: sarebbe inammissibile, perché manca l´interesse, un appello dell´imputato assolto nei termini più favorevoli; e chi è il soccombente?; la parte le cui domande siano respinte. Consideriamo l´imputato vittorioso sulla quaestio facti: erano terribili le prove d´accusa; ma esce salvo grazie all´alibi che gli forniscono due testimoni; il giudice li ha creduti o almeno lo scrive. Secondo il pubblico ministero, mentivano spudoratamente: consta da parole, mimica, precedenti, sui quali vanno uditi altri testimoni; e appella affinché sia rinnovato il dibattimento. M´accorgo d´avere sbagliato il tempo del verbo: poteva appellare, prima che gli onorevoli ubbidienti al mago d´Arcore storpiassero l´art. 593; non può più; i proscioglimenti sono inappellabili, né guadagna qualcosa dal ricorso in cassazione; le questioni del cosiddetto «libero convincimento» non sono teoremi; supponendo che il cattivo giudice abbia motivato con un minimo d´abilità verbale, la conclusione non è sindacabile attraverso il ricorso. L´unico rimedio sarebbe vagliare ancora quei due nella cross-examination. L´assurdo salta agli occhi: l´imputato che il giudice condanni, ritenendo attendibili testimoni d´accusa, appella e li riescute; nel caso inverso l´articolo 593, sfigurato da mani villose, nega l´appello al pubblico ministero; così questi signori intendono la «condizione di parità» nel contraddittorio. Sebbene conti su qualche esperienza clinica, non avevo mai visto una norma così macroscopicamente invalida. Notiamo ancora come lo scempio non finisca qui: i gentiluomini Cdl volevano disarmare il pubblico ministero; tra loro covano faide permanenti, litigiosi fino al parossismo, ma ubbidiscono come docili chierichetti sui punti che premono a chi li comanda, disponendo dei famosi quarantamila miliardi, nonché degli schermi dove imperversa quotidianamente; l´hanno ubbidito; e en passant stravolgono la Cassazione trasformandola in un terzo giudice del merito, impotente a correggere gli errori sul fatto, perché gli manca l´arnese istruttorio (darglieli sarebbe contro natura). La procedura penale è materia sciagurata ma fino a qualche anno fa asinerie simili non erano pensabili.
Nessuno negherà che la scorreria berlusconiana sia riuscita. Era spaventosamente ricco: qualcosa i processi dicono su come lo fosse diventato; che taumaturgo sia, lo gridano le bestialità commesse al governo, ma nella guerra da corsa è un Satanasso; e moltiplica il patrimonio sotto lo scudo dell´oscena legge che l´assolve dal conflitto d´interessi. Al mondo sono pochi i più ricchi. Se ne vanta: «le mie aziende vanno bene»; «ho quarantamila miliardi». Qualche anno fa era indebitato fino al collo. Potere personale crudo, d´un genere piratesco. Le Signorie tre-quattrocentesche attuano visioni politiche oltre i particolarismi comunali, prefigurando lo Stato moderno, mentre l´Italia 2005 affonda nell´allegra barbarie. Conflitto d´interessi? Dissolto dal voto popolare. Idem gli episodi delittuosi degli anni in cui rampava. Qui l´analisi politica diventa sonda antropologica. Il berlusconismo è egomania, rifiuto fobico delle norme, soperchieria, frode, ignoranza.
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