Cuba: quando il comunismo è anche nazionalismo

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carib.e
00giovedì 31 agosto 2006 01:30

Dalla rubrica "Lettere al Corriere" del 30.08.06, risponde Sergio Romano.

[la parte che trovo molto interessante per il forum è quella in grassetto, nella risposta]


Mi ha colpito la sua analisi a proposito del legame tra Islam e nazifascismo. Lei sostiene, se non ho male inteso il suo pensiero, che non sia corretto affiancare quelle idee perché chi l’ha fatto stava inseguendo un suo obiettivo di liberazione nazionale (Sadat, Nasser, il partito Baath...). Se questo ragionamento fosse fondato, allora dovremmo pensare che anche il «comunismo» di Mao o di Fidel o di Ho Chi Min o di Lumumba non sarebbe mai stato vero comunismo, perché nato sulla scia di lotte di liberazione nazionale contro i giapponesi, gli americani, i francesi, i giapponesi, i belgi, ecc. Dovremmo forse concludere che il comunismo non sia mai esistito, poiché si trattava soltanto di movimenti di liberazione? A parte la facile battuta, resta il fatto incontestabile che la proibizione islamica del matrimonio tra una ragazza nata in quella fede e un «infedele» è un atto di razzismo (non dissimile dalle leggi fasciste del 1938?): un fenomeno non meno convinto e diffuso anche tra i cosiddetti musulmani «moderati». Io ho notato solo alcune similitudini tra Islam e nazifascismo.
Ma se lei riflette ne potrebbe trovare molte altre.

Alvise Bojago, abojago@yahoo.it

Caro Bojago,
la proibizione del matrimonio fra una donna musulmana e un «infedele » sarebbe razzismo soltanto se l’Islam proibisse anche il matrimonio con il cristiano convertito alla religione musulmana. Le ricordo che la posizione della Chiesa cattolica, anche se temperata dalla evoluzione della storia europea dopo la fine delle guerre di religione, è sostanzialmente la stessa.
Le leggi di Norimberga e quelle fasciste del 1938, invece, proibivano il matrimonio anche quando il coniuge di origine ebraica si era convertito prima della cerimonia.
Vengo ora all’altro punto della sua lettera. Nasser fu un socialista nazionale, Sadat fu più moderato del suo predecessore e il partito Baath, anche se ispirato dai modelli autoritari e dirigisti degli anni Trenta non può considerarsi interamente fascista. È certamente vero tuttavia che il comunismo, là dov’è nato da una guerra di liberazione nazionale, è alquanto diverso da quello che si è imposto con la forza durante una guerra civile o è stato instaurato dall’Urss nei Paesi occupati dall’Armata Rossa alla fine secondo conflitto mondiale.
Il caso di Cuba è particolarmente interessante. Quando Fidel Castro venne ricoverato in ospedale, qualche settimana fa, il governo americano dette l’impressione di credere che la sua morte avrebbe provocato un’insurrezione popolare contro il regime e annunciò che gli Stati Uniti avevano nel cassetto, in previsione di quell’evento, un programma di aiuti per l’isola. I fatti, per il momento, non hanno confermato le previsioni dell’amministrazione Bush. Castro è ancora in ospedale, forse destinato a restarvi per parecchio tempo, e il fratello Raul è un personaggio incolore, privo di qualsiasi seguito popolare.
Ma il Paese sembra essere tranquillo. Può darsi che la polizia segreta e i servizi di sicurezza abbiano raddoppiato la vigilanza e scoraggiato i dissidenti. Ma è possibile che questa tranquillità sia dovuta a un fattore nazionale di cui gli americani sembrano essere del tutto inconsapevoli.
Per molti dei suoi connazionali Castro non è soltanto il fondatore di uno Stato comunista.Èanzitutto un libertador, il primo uomo di Stato cubano che sia riuscito a strappare le redini con cui il potente vicino del nord aveva controllato Cuba nei sessant’anni che intercorrono fra la guerra ispano-americana nel 1898 e la rivoluzione del 1959. Le ricordo che nella costituzione cubana, scritta sotto dettatura, vi fu per molti decenni una clausola che autorizzava gli Stati Uniti a intervenire militarmente nell’isola ogniqualvolta Washington lo considerasse necessario.
Dopo due interventi (nel 1906 e nel 1912), la clausola venne finalmente abolita,mal’America ottenne, in cambio dell’abrogazione, la base militare di Guantanamo che è stata usata in questi ultimi anni come un carcere extraterritoriale.
È questa la ragione per cui il comunismo cubano ha goduto di una certa legittimità nazionale e Castro è riuscito a sopravvivere politicamente, nonostante l’embargo americano e la fine dei generosi sussidi che l’Urss garantiva all’isola prima della sua dissoluzione. Per un singolare paradosso gli americani sono la causa prima del nazionalismo cubano e gli ultimi, apparentemente, a esserne consapevoli.


Corriere.it
ocram71
00giovedì 31 agosto 2006 04:30
ahora esto cansado [SM=g27820]: mas allà me pongo violento [SM=g27827]: [SM=x82304]
=POLLYY=
00giovedì 31 agosto 2006 14:51
Ciao Carib.e
Interessante l’articolo. Io spero che la calma che è regnata a Cuba in queste settimane sia veramente frutto di un fattore nazionale e non solo “merito” della polizia.
Se cosi’ è però, difficilmente i Cubani potranno perdonare l’ennesimo errore di Fidel descritto in questo articolo del Corriere.
Ciao a tutti.

Rivoluzione e dinastia
di
Pierluigi Battista

La rivoluzione che aveva acceso nell'immaginazione del mondo il fuoco della rivolta e dell'assalto al cielo si irrigidisce nelle lugubri liturgie di una dinastia gerontocratica. Con la consegna (provvisoria?) dei poteri al fratello Raul, Fidel Castro, l'uomo della guerriglia trionfante, dell'utopia tropicale, del teatro rivoluzionario, nell'ora del suo crepuscolo umano e politico trasforma se stesso nel protagonista di quelle satrapie che trasmettono i segni del comando e del dominio attraverso le vie della gerarchia familiare. Il potere come affare personale, di famiglia, di sangue. Quale rovesciamento simbolico più radicale, nella Cuba che doveva riscaldare il sogno della fine di ogni gerarchia e decretare la fine stessa della famiglia tra i figli della rivoluzione devoti soltanto al loro líder máximo?
L'annuncio di Fidel Castro, sebbene macchiato dal sospetto del colpo di scena e della finzione, genera l'attenzione, e persino l'apprensione, che si deve a uno degli uomini più rappresentativi della storia del Novecento. Perciò, mentre il mondo si interroga su cosa resterà di quell'isola della rivoluzione sulle cui sorti si è addirittura sfiorata la tragedia di una nuova guerra mondiale, sarà il caso di sospendere (solo momentaneamente) il giudizio sull'oppressione che il castrismo ha inflitto al suo stesso popolo, sulle rotte disperate in mare dei cubani in fuga dall'inferno della repressione all'Avana, sulle carceri stracolme di dissidenti, sull'economia alla rovina in omaggio ai dogmi della pianificazione rivoluzionaria, sugli omosessuali rinchiusi nei campi di concentramento (costruiti con la collaborazione di Ernesto Che Guevara, racconta la storia e non il mito), sui giornali vietati, i libri proibiti, gli scrittori in esilio, sull'onnipotenza spionistica della polizia politica al servizio di un potere sempre più prigioniero della paranoia e della sindrome del sospetto generalizzato.
Ciò che conta in questo momento, insomma, non è tanto misurare la qualità dispotica della dittatura castrista, ma capire le ragioni per cui il passaggio delle consegne del potere non rispetta nemmeno le tappe conosciute nelle altre dittature. Capire perché la difesa di un sistema e di un partito abbia finito per identificarsi a Cuba nella difesa di un gruppo familiare, nel fratello che prende il posto in altre situazioni assegnate a un delfino, nella confusione di legame ideologico e legame di sangue che non conosce esempi neanche nelle dittature più feroci.
L'identificazione di una rivoluzione con il suo leader raggiunge, nell'annuncio della successione al fratello Raul, il suo acme. Sulle reali condizioni di salute di Fidel permane la nebbia della disinformazione e del mistero. Ma prima nella volontà di Fidel Castro di far coincidere le celebrazioni del suo ottantesimo compleanno con quelle del cinquantenario dell'epopea del «Granma», e adesso nella diffusione delle ultime disposizioni epistolari sul futuro del castrismo in assenza del suo principale artefice, questa identificazione diventa totale e senza residui. Che quella di Castro fosse una dittatura era una cosa nota. Ma che Cuba assomigliasse in modo così macroscopico alla Corea del Nord di Kim Il Sung o a uno di quegli staterelli africani in cui il potere si trasmette o attraverso i vincoli di sangue oppure con un cruento golpe militare, questo non era ancora così evidente. Con grande sconcerto di chi, credendo di assistere a una grande rivoluzione, ha finito per assistere alla degenerazione personalistica di una delle ultime intoccabili dinastie dell'Occidente.
02 agosto 2006


[SM=x82287]
carib.e
00giovedì 31 agosto 2006 16:00

Ciao Carib.e
Interessante l’articolo. Io spero che la calma che è regnata a Cuba in queste settimane sia veramente frutto di un fattore nazionale e non solo “merito” della polizia.
Se cosi’ è però, difficilmente i Cubani potranno perdonare l’ennesimo errore di Fidel descritto in questo articolo del Corriere.
Ciao a tutti.



Ciao Polly

avevo già letto l'articolo che segnali. Tra l'altro oggetto di numerose critiche.
Il discorso è piuttosto complesso e, forse, si presta anche poco al forum, però credo che i cubani siano disposti a perdonare a Fidel qualsiasi cosa.

[SM=x82287]


ilcanarrdo
00mercoledì 6 settembre 2006 19:51
I cubani non sono disposti a perdonare Fidel. Quantomeno la stragrande maggioranza dei giovani è contro Fidel. Contro Fidel e soprattutto contro la CDR che la chiamano i pejor mentirosi de cuba (se si scrive così). Sono vicini a Fidel alcuni dei vecchi, quelli che hanno posizioni consolidate, che riescono a vivere degnamente senza fare un beato cazzo, rubano da anni e se dovesse cambiare il regime dovrebbero iniziare a lavorare veramente. e si allora a quel punto che se trovassero chi ha inventato il lavoro lo farebbero a pezzi!!!!!!
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