Cartesio (René Descartes)

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vanni-merlin
00lunedì 22 ottobre 2007 23:46
Cartesio (René Descartes)



a cura di
Jean-Paul De Lucca
Università di Malta

Traduzione di
Miriam Ronzoni

Cartesio (René Descartes, 1596-1650) è generalmente considerato il fondatore della filosofia moderna, poiché prima di lui nessun filosofo aveva posto in discussione l’edificio conoscitivo e l’eredità culturale del passato in modo così convincente e radicale, cercando di costruire un nuovo sistema della conoscenza attraverso la ricerca di una nuova e più solida fondazione dell’impresa filosofica.

Cartesio nasce in un piccolo villaggio chiamato Le Haye nella regione della Touraine, in Francia, cui verrà in seguito imposto in suo onore il nome di “Descartes”. Compie i propri studi nel rinomato collegio gesuita di La Flèche, dove riceve una tipica formazione di carattere scolastico, prima di recarsi all’Università di Poitiers. Dopo la laurea in legge interrompe gli studi universitari per poter intraprendere un lungo viaggio in Europa. In seguito scriverà, nel Discorso sul Metodo (1637), di aver intenzionalmente abbandonato l’università per poter imparare “dal grande libro della natura”. Adrien Baillet, uno dei primi biografi di Cartesio, ci rende noto (in La vie de M. Descartes [1691]) un dettaglio interessante di questi viaggi, che viene spesso tralasciato. Nel freddo inverno tedesco del novembre 1619, mentre prestava servizio nelle truppe di Massimiliano di Baviera, Cartesio era solito trascorrere l’intera giornata nella propria stanza, godendosi il tepore del camino. In queste lunghe giornate sedentarie, riporta Baillet, il filosofo ebbe l’opportunità di conversare liberamente con se stesso a proposito dei propri pensieri e delle proprie riflessioni. Questo quadro non può non richiamare alla mente la famosa scena descritta da Cartesio nelle Meditazioni (1641).

Cartesio fu un uomo molto prudente, e cercò sempre, con molta discrezione, di tenersi lontano dall’attenzione generale. Dopo aver terminato di scrivere una delle sue più importanti opere giovanili, Il Mondo, ne interruppe la pubblicazione a causa dell’esito del processo contro Galileo. In quell’opera, Cartesio difendeva la teoria eliocentrica di Copernico e rigettava la tradizionale tesi aristotelica secondo cui il mondo celeste e il mondo terrestre andavano concepiti come intrinsecamente diversi l’uno dall’altro in sostanza e qualità. Non pubblicò l’opera per la semplice ragione che desiderava vivere una vita tranquilla, lontano dalle polemiche e dai problemi. Tuttavia, come rivelò in confidenza all’amico Marsenne, rimase sempre convinto della validità delle proprie argomentazioni.

Accettato l’invito della regina Cristina di Svezia a prestare servizio come suo precettore personale, Cartesio si trasferì a Stoccolma nel settembre del 1649. Al fine di non tralasciare i propri doveri regali, la regina ordinò al filosofo di darle lezioni ogni giorno alle cinque del mattino. Fin dall’infanzia, Cartesio aveva avuto l’abitudine di alzarsi tardi la mattina, per ragioni di salute. Questo cambiamento repentino di abitudini, ulteriormente aggravato dal durissimo inverno svedese, gli causò una forte polmonite, che fu la ragione della sua morte l’ 11 febbraio 1650, pochi mesi soltanto dopo il suo arrivo presso la corte della regina Cristina.

La genialità di Cartesio si espresse in primo luogo nel campo della matematica. Il filosofo è tutt’ora considerato l’inventore di quel ramo della matematica che applica l’algebra alla geometria, vale a dire appunto la geometria cartesiana. Anche la rappresentazione grafica delle operazioni della geometria cartesiana è opera del filosofo, e le ascisse e le ordinate sono chiamate anche coordinate cartesiane. Cartesio nutriva una profonda stima per la matematica sin dai tempi di La Flèche. Nel Discorso sul metodo riconosce come la propria educazione lo avesse lasciato senza nessuna conoscenza vera e propria, con l’eccezione appunto della matematica. Cartesio era affascinato dalla chiarezza e dall’affidabilità delle certezze cui la matematica conduce e il tentativo di applicare il metodo della matematica ad altri campi della conoscenza rimase la sua più grande ambizione per tutta la vita. Ciò che lo colpiva era come le dimostrazioni matematiche, partendo dalle più semplici e indubitabili premesse e compiendo dei passaggi logici altrettanto semplici, per lo meno all’inizio, potessero, grazie al metodo deduttivo, spiegare le questioni più oscure ed intricate. Due erano, secondo Cartesio, le caratteristiche salienti del metodo matematico: la chiarezza e la distinzione. Tali caratteristiche avevano lasciato un’impronta profonda in tutti i campi della conoscenza, in particolar modo nella scienza moderna dopo I radicali cambiamenti apportati dalla rivoluzione scientifica. Per tali ragioni, come alternativa alle vecchie e barcollanti fondamenta del tradizionale sapere metafisico, Cartesio propose una nuova fondazione della conoscenza basata sulle verità chiare e distinte della matematica.

Il passo successivo nel pensiero cartesiano fu quello di chiedersi quale metodo potesse essere usato per la conoscenza non-matematica. Le fondamenta dovevano essere le stesse: quelle di una premessa assolutamente indubitabile. La metafisica tradizionale aveva dato per scontato troppe cose, giungendo così ad asserire tesi in contraddizione le une con le altri sulla base di premesse dubbie. Per queste ragioni, Cartesio giunse alla conclusione che il metodo del dubbio iperbolico fosse lo strumento adeguato per giungere a delle premesse indubitabili. Alcuni filosofi precedenti a Cartesio (ad esempio, Tommaso Campanella nelle 14 dubitationes della sua Metaphysica) avevano suggerito l’idea che il dubbio potesse essere uno strumento per avvicinarsi alla verità, ma nessuno aveva ipotizzato che il dubbio potesse essere il metodo per eccellenza dell’impresa filosofica. Una volta raggiunta una premessa indubitabile, riteneva Cartesio, se ne sarebbero potute dedurre logicamente conclusioni chiare e distinte. La più nota applicazione di tale metodo viene formita nell’argomentazione presentata nelle Meditazioni. Utilizzando il metodo del dubbio esteso ad ogni cosa (de omnibus dubitantium), inclusi i propri cinque sensi, Cartesio giunge a quella che ritiene essere una verità indubitabile, vale a dire la certezza della propria esistenza. Nelle Meditazioni egli presenta tale argomentazione nel modo seguente.

Seduto su di una poltrona di fronte al camino, Cartesio inizia a dubitare dei propri sensi. I sensi possono ingannare, come dimostrano le illusioni ottiche. Tuttavia, continua Cartesio, solo un pazzo dubiterebbe dell’esistenza delle proprie braccia e delle proprie gambe. Ma se sognassimo? Sognare di essere seduto in poltrona di fronte al camino guardando le proprie mani sarebbe del tutto possible. Pertanto, potremmo credere di vedere le nostre mani ma essere in realtà immersi in un sogno. Pertanto, i sensi non possono essere considerati affidabili.

Tuttavia, prosegue Cartesio, anche se i sensi ingannano, e anche se possiamo, per quanto ne sappiamo, illuderci costantemente di vivere, vedere, toccare quello che in realtà solamente sogniamo, le verità matematiche sono comunque sempre vere. Due più tre fa sempre cinque e un quadrato ha sempre quattro lati. Tuttavia, applicando il metodo del dubbio iperbolico, Cartesio giunge ad immaginare che il creatore dell’Universo possa non essere il benevolente Dio Cristiano, bensì un genio maligno il cui costante scopo sia quello di ingannare il genere umano (O Cartesio semplicemente, giacché, essendo i sensi ingannatori, non è lecito fare affidamento sull’esistenza degli altri). Per cui, anche il più semplice ragionamento matematico potrebbe essere falso. Come possiamo, infatti, essere sicuri che tale genio maligno non esista? L’intera realtà, pertanto, potrebbe essere il sogno di tale genio maligno.

Dobbiamo dunque, si interroga a questo punto Cartesio, giungere alla conclusione che non vi è nulla di indubitabile? No, dal momento che vi è in effetti qualcosa di indubitabile, vale a dire la certezza della propria esistenza: chi dubita, sta riflettendo, e chi riflette, o pensa, esiste (cogito, ergo sum). Questo sarebbe vero, e necessariamente vero, anche se i sensi e un genio maligno ci ingannassero in continuazione. Tale verità non può essere negata e posta in discussione senza cadere in contraddizione (se dico “dubito di esistere”, sto in realtà dimostrando la mia esistenza). E’ importante notare, già a questo punto, come Cartesio punti sul fatto che sia la coscienza (l’attività mentale, il cogito) ad essere indubitabile, e non la certezza dell’esistenza del proprio corpo. Questa è la base del cosiddetto dualismo cartesiano.

L’argomentazione a partire dal cogito è legata al nome stesso di Cartesio. L’affermazione “Penso, dunque sono” è pertanto, secondo Cartesio, l’unica certezza indubitabile. Egli parte dunque da tale premessa indubitabile per dimostrare l’esistenza di Dio (che può essere considerate una riformulazione della prova ontologica a priori) e del mondo. In sintesi, le due dimostrazioni procedono come segue. L’unica cosa la cui esistenza è indubitabile, vale a dire la propria mente, contiene delle idee innate (una nozione essenzialmente platonica). Tra queste, l’idea di “sé”, di “Dio” e di “sostanza”. L’esistenza di Dio può essere dimostrata a partire da tali idee innate con una prova ontologica a priori (come in Anselmo d’Aosta, tale prova non fa affidamento sul mondo esterno, dato che a questo stadio l’esistenza del mondo esterno è ancora sotto l’ipoteca del dubbio). L’idea innata di “Dio”, infatti, essendo l’idea di qualcosa di perfetto ed infinito, non puo’ essere stata creata dalla mente stessa, e pertanto deve essere stato Dio stesso a imprimere tale idea di se stesso nella mente umana. Una volta dimostrata l’esistenza di Dio, il genio maligno non può più essere considerato come il possible creatore dell’universo, e pertanto si può tranquillamente fare affidamento sulle verità matematiche, dal momento che l’ipotesi del genio maligno era l’unica obiezione che si potesse avanzare contro di esse. Pertanto, se la matematica può essere accettata con certezza come insieme di verità chiare e distinte, allora possiamo anche legittimamente credere che la rappresentazione della realtà attraverso l’uso di verità matematiche fornita dalla fisica sia corretta (e pertanto, verità scientifiche come quelle avanzate da Galileo non sono da considerarsi incompatibili con la fede cristiana). Così, dal momento che le verità della fisica sono affidabili, secondo Cartesio può considerarsi dimostrata l’esistenza del mondo esterno.

Pertanto, possiamo concludere, Cartesio usa il metodo scettico del dubbio proprio per confutare lo scetticismo stesso, dal momento che il dubbio ci conduce in ultima analisi a verità chiare e distinte, e quindi indubitabili.

Un altro aspetto della filosofia cartesiana, criticato quasi immediatamente da Spinoza, è il suo dualismo. Memore della distinzione platonica tra il corpo e la mente, Cartesio ritiene che la mente sia una sostanza puramente pensante (res cogitans) e che il corpo sia una sostanza puramente materiale (res extensa), una mera estensione materiale all’interno della quale la mente opera. Questa assunzione di partenza induce Cartesio ad una concezione meccanicistica del corpo, a tal punto che Cartesio considera gli animali come delle pure e semplici macchine. Nonostante la convincente critica di Spinoza, il dualismo cartesiano esercitò una notevola influenza all’interno della filosofia occidentale fino al ventesimo secolo, e anche oggi alcuni filosofi sposano una forma di dualismo di cartesiana memoria. L’argomentazione di Cartesio può essere riassunta nel modo seguente: la dimostrazione a partire dal cogito ha dimostrato la certezza della propria esistenza in quanto attività mentale, ma non la certezza dell’esistenza del proprio corpo. Pertanto, l’esistenza della mente è indipendente dall’esistenza del corpo, e non è nemmeno possible essere certi di esistere quando non si sta pensando. Ciò significa che la nostra esistenza dipende dal fatto che pensiamo. Pertanto, gli esseri umani sono essenzialmente esseri pensanti (res cogitans), vale a dire sono essenzialmente mente, anima. Il nostro corpo non è nient’altro che una macchina, materia estesa (res extensa) che serve come veicolo e strumento della mente.

L’aspetto problematico di questa argomentazione consiste nel fatto che non è detto che, semplicemente per il fatto che non possiamo dubitare del fatto che stiamo pensando mentre possiamo dubitare di avere un corpo, ciò significa che possiamo esistere indipendentemente dal nostro corpo. Cartesio sembra sostenere che, semplicemente per il fatto che possiamo dubitare di qualcosa, questo qualcosa abbia uno statuto d’esistenza inferiore a ciò di cui non possiamo dubitare. Sarebbe come dire che dal momento che possiamo dubitare che ci sia vita su altri pianeti (poiché non ne abbiamo la certezza), allora è probabilmente falso - invece che semplicemente non certo – dire che ci deve essere vita da qualche altra parte nell’universo. Cartesio sembra commettere l’errore di usare il dubbio come una qualche forma di verifica definitive non solo della verità, bensì anche della falsità di una tesi.

La distinzione radicale tra corpo e mente conduce Cartesio alla questione del rapporto e del punto di incontro tra l’una e l’altro nella persona umana. La risposta di Cartesio, che radicalizza ulteriormente il proprio dualismo, consiste nel sostenere che il punto di contatto tra mente e corpo ha luogo nella ghiandola pineale. Anche se ciò fosse vero, si potrebbe tuttavia sostenere che collocando la res cogitans nella ghiandola pineale, Cartesio confuta la propria tesi secondo cui la collocazione nello spazio sarebbe una proprietà della res extensa e non del pensiero. Cartesio, tuttavia, non si preoccupò granché di difendere ulteriormente la propria tesi dualista, che fu del resto ben presto rifiutata da altri grandi filosofi, anche da quanti si definirono, in seguito, “cartesiani” o “razionalisti”.

La filosofia di Cartesio è interessante anche dal punto di vista letterario, non solo per il suo stile tipicamenbte chiaro e comprensibile ma anche per il suo splendido uso del Francese e, soprattutto, per il suo stile autobiografico. Ciò riflette non solo il suo intento di fare della filosofia una disciplina applicata piuttosto che un mero dibattito accademico, bensì segna anche un importante evoluzione nella scittura filosofica fino a quell momento caratterizzata dalla forma del dialogo e del trattatto. Da una prospettiva contemporanea, all’interno della quale un lavoro è apprezzato tanto per il suo contenuto quanto per il suo stile, questo mutamento risulta particolarmente significativo.




Le principali opere di Cartesio:

Regole per la guida dell'intelligenza (1625-28)
Il mondo o Trattato sulla luce (1629-1633)
Diottrica, Meteora e Geometria (1637)
Discorso sul metodo (1637)
Meditazioni metafisiche (1641)
I principi della filosofia (1644)
Le passioni dell'anima (1649)

Queste opere, come le Lettere filosofiche, sono state pubblicate in italiano da Laterza in quattro volumi col titolo Cartesio: Opere Filosofiche. Le opere sono state inoltre pubblicate da altre case editirici, quale Bompiani - che ha pubblicato le opere non come collezione ma in volumi singoli.

Alcune opere su Cartesio:

Geneviève Rodis-Lewis, Cartesio: Una biografia (Calmann-Lévy, 1995), Editori Riuniti (1997)
Brianese, G., Il «Discorso sul metodo» di Cartesio e il problema del metodo nel XVII secolo; Paravia (1988)
Cottingham, J., Cartesio; Il mulino (1991)
Crapulli, G., Introduzione a Descartes; Laterza (1988)
Di Bella, S., Le meditazioni metafisiche di Cartesio. Introduzione alla lettura; Carocci, (1997)
Garin, E., Vita e opere di Cartesio (1967); Laterza (1986)
Gori, G.B., Cartesio; Isedi (1977)
Scribano, E., Guida alle lettura delle Meditazioni metafisiche di Descartes; Lateza (1997)
Verga, L., L'etica di Cartesio; Celuc (1974)




da: lgxserver.uniba.it/lei/filosofi/autori/cartesio-scheda.htm

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