CIAMPI E LA LEGGE PECORELLA

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INES TABUSSO
00domenica 15 gennaio 2006 00:40
LA STAMPA
14 gennaio 2006
IL CASO HA GIA’ SUSCITATO L’APERTA CONTRARIETA’ DEL CSM
Ciampi potrebbe non firmare la legge che abolisce l’appello
Anche dal Colle dubbi sulla costituzionalità del provvedimento
inviato a PALERMO

«Sarà il mio compito della prossima settimana». Alla fine della prima parte della cerimonia svoltasi ieri al Palazzo di Giustizia in memoria dei magistrati vittime della mafia, Carlo Azeglio Ciampi ha avvicinato, tra gli altri, il presidente della Corte d'Appello, Carlo Rotolo, che era stato uno degli oratori. L'episodio è stato raccontato più tardi da Fabrizio Vanorio, rappresentante dell'Associazione Nazionale Magistrati, che era stato un altro degli oratori. «E' stato il Presidente ad affrontare di sua iniziativa l'argomento - ha detto Vanorio. - Noi non ci saremmo mai permessi di interpellarlo sulla legge Pecorella». Ciampi, che poi avrebbe ripetuto la frase all'esterno, dopo lo scoprimento del basamento con sopra scolpiti i nomi dei magistrati uccisi nella nuova Piazza delle Memoria, ha dunque sentito il bisogno di anticipare che dedicherà un'attenzione particolare alla legge che elimina la possibilità di ricorrere in appello da parte dei pubblici ministeri. E questo, assieme ad altri indizi, induce a prevedere che l'esame sarà severo. Insomma, sembra molto probabile che la legge Pecorella sarà respinta alle Camere. Non si ricorda di una legge respinta alle Camere da un Presidente in pieno semestre bianco e con il Parlamento ormai quasi sciolto. Ma i sospetti di incostituzionalità sulla legge Pecorella sono molto forti e sono del resto già stati anticipati da Virginio Rognoni, che, come vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, può essere considerato una specie di vice-Ciampi in materia di giustizia. La legge Pecorella rischia di essere tacciata di incostituzionalità soprattutto perché crea uno squilibrio tra i diritti dell'accusa e quelli della difesa. Ma non si tratta solo di questo. Nel corso del suo intero mandato, Ciampi ha continuato a ripetere che il problema principale della giustizia italiana è costituito dalla lunghezza dei processi. Ora, l'eliminazione della possibilità di ricorrere in appello da parte dell'accusa in caso di assoluzione dell'accusato in primo grado finirà inevitabilmente per sovraccaricare di lavoro l'organo di terzo grado, cioè la Corte di Cassazione. Questa, non potendosi più limitare a un esame sulla correttezza procedurale del processo, si trasformerà di fatto in una specie di organo di secondo grado e, di conseguenza, dovrà studiare tutte le carte di ogni procedimento che verrà sottoposto al suo esame. E ciò, inevitabilmente, produrrà un ulteriore allungamento dei tempi processuali e un intasamento. La legge Pecorella, cioè, determinerà un effetto diametralmente opposto a quello più volte auspicato dal presidente della Repubblica. Ma possono esservi altre conseguenze preoccupanti.
I giudici, per esempio, in casi incerti potrebbero essere indotti a pronunciare comunque sentenze di condanna per evitare l'affossamento di un procedimento. E anche questo sarebbe un effetto molto preoccupante della legge. Ecco perché, anche se tutti i consiglieri del presidente avvertono che la legge non è ancora arrivata sul suo tavolo e che non può essersi già consolidato un orientamento, parecchi elementi inducono a concludere che l'esame che Ciampi compirà in fretta dalla prossima settimana condurrà molto probabilmente a una reiezione della legge. E questo potrebbe avvenire anche più velocemente del solito, considerato che sta per iniziare la campagna elettorale. A proposito di quest'ultima Ciampi ha rilanciato anche ieri, per il terzo giorno consecutivo, il suo appello a un confronto civile e corretto tra le forze politiche. «L'ho chiesto e lo ripeto in ogni mio discorso», ha detto il presidente in Piazza della Memoria, visibilmente preoccupato per la piega velenosa e «giudiziaria» che sta prendendo la campagna elettorale. Da questo punto di vista, è assai improbabile che Ciampi abbia approvato la decisione del presidente del Consiglio di scendere personalmente in campo sulla vicenda Unipol-Ds. Ma ieri, ancor più dei giorni precedenti, la questione della mafia è stata al centro delle riflessioni del presidente. A Siracusa aveva detto: «Non dobbiamo soltanto combattere la mafia, dobbiamo sconfiggerla». «E oggi aggiungo - ha detto ieri Ciampi - che siamo in grado di sconfiggerla e che abbiamo le armi per farlo». E alle armi solite (impegno della giustizia e collaborazione dei cittadini), il presidente ne ha aggiunta ieri un'altra: «Il buongoverno». «Quanto più lo Stato è presente - ha detto - tanto più è debole la mafia».


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CORRIERE DELLA SERA
14 gennaio 2006
Ciampi verso il no alla legge sull’appello
Il presidente: la sto studiando. Tre i punti critici. Clima elettorale definito «scoraggiante»
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

PALERMO - Formano un dossier pesante come un macigno, i fascicoli di osservazioni e critiche allegate alla legge Pecorella che ieri pomeriggio è stata recapitata al Quirinale. E un indizio di quanto quelle carte riempiano i suoi pensieri, emerge quando Carlo Azeglio Ciampi, alla fine della cerimonia per i magistrati siciliani assassinati dalla mafia, si avvicina con la mano tesa a Fabrizio Vanorio, giovane rappresentante dell’Anm. «A proposito del funzionamento della giustizia - gli dice - adesso che c’è sul tappeto questa nuova riforma, sarà mio compito studiarla approfonditamente nei prossimi giorni».
Una sottolineatura breve e magari scontata, ma che suggerisce l’idea di un ansioso impegno, sul pacchetto di norme messe a punto da Gaetano Pecorella, avvocato di Berlusconi e parlamentare di Forza Italia, e varate in gran fretta dal governo. Un impegno oltretutto non richiesto, come confida il giudice: «Non avremmo mai osato tirare per la giacca il presidente della Repubblica, e dunque non ci siamo permessi di fargli il minimo cenno sulla riforma. Ma è stato lui a venire tra noi e a volercene parlare...». Sottinteso: quell’annuncio è una prova della sua preoccupazione e del suo turbamento. Anzi: di un umore «urtato», come ammettono nell’entourage del Colle.
Insomma, è molto difficile che il capo dello Stato firmi la legge che rivoluziona il sistema processuale. Certo, dovrà soppesare i pareri tecnici che gli presenteranno i suoi uffici giuridici, guidati dal professor Salvatore Sechi. Tuttavia farà davvero fatica, stavolta, a ignorare i vizi di costituzionalità denunciati da più parti e in particolare l’allarme e i dubbi espressi da Virginio Rognoni, che lo affianca come «vice» al Consiglio superiore della magistratura e che spesso pianifica con lui le proprie sortite.
Tre i principi sui quali il pacchetto Pecorella avrebbe effetti lesivi, con riguardo agli articoli 111 e 112 della Carta costituzionale: la parità delle parti, la ragionevole durata del processo, l’obbligatorietà dell’azione penale in capo al pubblico ministero.
Un problema supplementare riguarda poi i tempi della decisione, ormai strettissimi, dato che il 29 gennaio Senato e Camera saranno sciolte e congedate per consentire il voto il 9 aprile, come annunciato anche dal premier. Ciò che imporrebbe a Ciampi, entrato da novembre nel «semestre bianco», di fare la sua scelta entro la prossima settimana. E se sarà un «no», come tutto lascia intendere, non resterebbe che percorrere l’impervia strada di una riapertura straordinaria del Parlamento per un riesame della riforma (e a tale proposito esiste il precedente del presidente Francesco Cossiga, che nel ’92 rinviò 4 leggi, obbligando un’Assemblea già sciolta a riconvocarsi).
Ma quale sarebbe l’impatto politico di una mancata promulgazione a fine legislatura e in un clima elettorale tesissimo e intossicato dai veleni? Questa è la variabile ulteriore che incombe sulla decisione del capo dello Stato. Il quale, nei tre giorni trascorsi tra Ragusa, Siracusa e Palermo, non si è risparmiato in appelli al «rispetto reciproco» dei contendenti, per «evitare uno scontro frontale» che «genera soltanto sfiducia, in Italia e verso l’Italia».
Non è stato ascoltato. Ed è chiaro che gli ultimi sviluppi del duello tra centrodestra e centrosinistra, con accuse e controaccuse che rimbalzano persino davanti ai giudici, è degenerato anche per il presidente in «una situazione scoraggiante», come riferiscono i suoi consiglieri. Così, non gli resta che ripetere pure a Palermo l’ormai platonica esortazione a «un dialogo pacato», facendo sapere che non si rassegna e che insisterà sino a quando potrà parlare, prima che la campagna elettorale sia formalmente aperta. Gli restano solo due tappe, Pavia a Foggia, per sperare in un miracolo.
Marzio Breda



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