C.F. GROSSO: MAGISTRATI E GIUSTIZIA SPORTIVA

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INES TABUSSO
00giovedì 25 maggio 2006 01:03


LA STAMPA
24 maggio 2006
LA PROCURA DI TORINO SOTTO ESAME GIÀ NEL 1998 IL CSM CHIESE AI MAGISTRATI DI NON ASSUMERE RUOLI NELLA GIUSTIZIA SPORTIVA
Vietare i doppi incarichi per eliminare i sospetti
di Carlo Federico Grosso


Circa otto anni fa il Csm del quale ero vicepresidente aveva all'ordine del giorno il rinnovo delle autorizzazioni ai magistrati a ricoprire incarichi negli organi della giustizia sportiva.

Una parte consistente dei consiglieri era contraria a tale rinnovo, e proponeva che si decidesse l'incompatibilità a rivestire il doppio incarico: le funzioni della giustizia sportiva potevano essere esercitate altrettanto bene da altre categorie di giuristi.

Ero assolutamente d'accordo. Ritenevo infatti che non fosse opportuno che persone investite del compito di amministrare la giustizia comune e che in quanto tali dovevano, secondo un antico detto, apparire oltre che essere imparziali, rifiutando contatti abituali con ambienti influenti del mondo degli affari e della politica, ricevessero una investitura che li poneva automaticamente in contatto, appunto abituale, con un mondo dove denaro e potere erano sovrani.

Non perché ciò significasse necessariamente coinvolgimento nelle abitudini di quel mondo, ma per una questione di immagine, per evitare cioè che potesse emergere anche il più piccolo sospetto di una qualche connivenza o condizionamento. Vi fu ampia discussione all'interno e all'esterno del Consiglio. Per i dirigenti delle organizzazioni sportive, eliminare d'improvviso le presenze di magistrati nei loro organi di giustizia avrebbe significato bloccare i campionati in corso, data l'impossibilità di reperire in tempi stretti sostituti affidabili provenienti da altre professioni. Adottammo, perciò, una soluzione di compromesso. Chiedemmo quale fosse il numero minimo di magistrati indispensabile per l'esercizio della giustizia sportiva e riducemmo radicalmente il numero delle autorizzazioni. Si affermò comunque, non ricordo se nella delibera o nel corso del relativo dibattito, che in seguito le autorizzazioni avrebbero dovuto progressivamente diminuire, fino a ridursi a zero.

Nel luglio 1998 il Csm di cui facevo parte terminò il suo mandato e non ebbi più occasione di occuparmi del problema.

Le vicende delle ultime settimane stanno dando ragione alle preoccupazioni emerse in quella lontana discussione. Basta considerare le critiche all'attività della Procura della Repubblica di Torino apparse nei giorni scorsi su alcuni quotidiani del Paese, dove la si accusa di non essere stata insensibile ai condizionamenti del mondo del calcio in talune sue decisioni. Uno dei nodi cruciali del problema consisterebbe nel fatto che uno dei Procuratori aggiunti di Torino sia stato per anni, e sia tuttora, esponente di spicco della giustizia sportiva nel settore del calcio professionistico.

L'onestà personale di tale Procuratore è fuori discussione. Eppure, la sua doppia presenza negli uffici dell'autorità giudiziaria ordinaria e della giustizia sportiva ha costituito humus favorevole alla cultura del sospetto.

Era un rischio prevedibile, che si doveva/poteva evitare vietando ai magistrati di far parte degli organi della giustizia sportiva. Che dire, d'altronde, delle critiche specifiche formulate? Non conoscendo gli atti dei processi gestiti dalla Procura di Torino, non ho elementi per esprimere giudizi.

Mi limito ad osservare che all'archiviazione richiesta da tale Procura su asseriti episodi di corruttela sportiva ha fatto da controcanto una inchiesta napoletana dagli effetti deflagranti. Non per questo è tuttavia possibile sostenere automaticamente che la Procura di Torino abbia commesso un errore. Essa, d'altronde, ha dimostrato grande determinazione in processi quali il doping della Juventus o il falso in bilancio in cui fu coinvolto Romiti e sta conducendo, al pari di altre procure, inchieste su episodi di illecita sopravvalutazione di giocatori e di violazioni della legge sul calcio-scommesse.

Quanto ai biglietti omaggio ed alle cene, è ovvio che, nel nome di quel dovere di «apparire ancora prima di essere» del quale ho parlato poc'anzi, una maggiore cautela sarebbe stata opportuna. Ma coi tempi che corrono non si può sicuramente gettare la croce addosso a un magistrato per il solo fatto di aver richiesto ad una società di calcio qualche piccolo «donativo d'uso». Né conta che quella società sia, oggi, nell'occhio del ciclone.

Pare che l'attuale Csm intenda aprire una pratica sugli incarichi dei magistrati quali giudici sportivi. Sarebbe il caso che l'auspicio espresso nel lontano 1998 dal Csm del quale facevo parte venisse accolto e che l'incompatibilità fosse definitivamente sancita. Alle necessità dello sport bene potranno far fronte avvocati, notai, professori universitari.


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